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L’organizzazione funzionale delle colonie

1. Varese: dalla città giardino alla città di regime, uno stato dell’arte

1.7 Le colonie e il rapporto con il territorio

1.7.2 L’organizzazione funzionale delle colonie

Nel 1972 si svolse a Perugia un seminario organizzato dal CIGI (Comitato Italiano per il Gioco Infantile) che tra le altre finalità aveva individuato anche quelle della trasforma- zione delle strutture ormai decrepite delle colonie. Anzi, venivano evidenziati i termini restrittivi in cui la vecchia denominazione rimandava sotto il piano educativo e sociale, proponendo per i “soggiorni di vacanza” una terminologia più adatta alla democratizza- zione dell’evento ricreativo e igienistica. Effettivamente i caratteri della colonia tradizio- nale richiamano a strutture militaresche, dove le gerarchie interne vengono espresse an- che dalle forme spaziali dell’edificio. La “tolda della nave”, postazione del comandante, il pennone alzabandiera, l’infilata dei locali di riposo in lunghi corridoi, i grandi cameroni collettivi, richiamano quel prototipo che Clemente Busiri Vici propose a Cattolica nel 1932 per la già ricordata ex-colonia marina “28 ottobre”.

A parte la benigna considerazione di Fulvio Irace che ne parla come esempio che sembra essere stato il solo “a considerare le esigenze dei bambini, dando vita ad una realtà varia- mente vivibile in chiave fantastica”, arrivando a richiamare caratteri costruttivi disneyani, non si può negare che l’esperienza della colonia ricalca in veste moderna schemi propri del cameratismo filantropico ottocentesco dei collegi rieducativi. Da qui quelle forme di auto-isolamento e segregazione degli ospiti più deboli, emarginati all’interno del gruppo una volta individuati i più spavaldi. All’entrata il bambino veniva privato del tradizionale rapporto affettivo con la famiglia. Consegnati gli effetti personali, indossava uniformi numerate, smistato in squadre di 20-25 unità, con un posto letto e un posto tavola che non potrà più cambiare per tutto il tempo della permanenza.

e la tensione mal contenuta da incitamenti e rimproveri da parte dei sorveglianti. Si so- vrappone cioè la normale condizione di vita di tutti i giorni a quella che dovrebbe essere invece un periodo felice e di svago. Gli elementi salutari di un soggiorno come il bagno, si svolgono entro rigidi schemi temporali e spaziali: al suono del fischietto i bimbi si tuf- fano in acqua e allo stesso segnale ne escono. Nelle brevi escursioni esterne vige la legge delle marce in colonna. I pasti diventano un vero e proprio incubo, specialmente per i più delicati e gli inappetenti: non si può variare il menù, non si può parlare, bisogna mangiare tutto e in fretta, non si può bere più di tanto, spesso è esclusa la forchetta, quasi sempre il coltello per motivi di sicurezza. Anche una semplice breve indisposizione fisiologica diventa motivo di scherno da parte dei compagni più rudi. Il riposo quotidiano è conside- rato un obbligo accettato a fatica da bambini di sei anni in sù, dove non ne esiste una vera necessità fisica. Per i responsabili della discisciplina le due ore sono di rigida sorveglian- za nelle camere silenziose, dove una risata sommessa o un parlottare può significare una punizione e un assurdo prolungamento della siesta, vista perciò come un castigo. Così si doveva svolgere la vita nelle tre settimanee di permanenza all’interno delle colonie e, nel caso di quelle marine, i disagi erano ancora più manifesti per il calore e per la difficoltà di acclimatamento. Nonostante tutto questo, la permanenza in colonia era considerata un privilegio. Negli Archivi segreti del P.N.F vi sono conservate numerosissime lamentele circa il fatto che fossero i figli dei più raccomandati ad essere invitati al mare o in mon- tagna. In particolare erano quei “cittadini”, secondo queste note, ad essere privilegiati nei confronti della povera e lontana provincia rurale. I figli dei contadini sembravano così chiusi dentro quel loro misero destino, sottolineato fra l’altro dalla differenza d’istruzio- ne, confermata dai libri di testo correnti, nella distinzione tra “Corsi di Scuole rurali” e “Scuole per centri Urbani” editi dalla Libreria dello Stato, con evidente beneficio per la borghesia. La colonia poteva anche divenire un formidabile mezzo di propaganda per i territori d’oltremare, facenti parte del Regno, o per i paesi considerati amici. Venivano in questa prospettiva ospitati gruppi di bimbi che si mostravano di eccellere principalmente nello studio della cultura romana e nella mistica fascista. Somali, abissini, ma anche in- glesi e italoamericani furono accolti durante le vacanze estive. Molti gli albanesi che con i grandi occhi sgranati dallo stupore rivivevano il mito del “mare nostrum”. Molto signi- ficativa a proposito la lettera inviata nel 1939 al comitato Federale di Reggio Emilia dove i bimbi del paese delle Aquile, ospitati presso la colonia marina “Amos Marmotti” di Riccione, ringraziavano personalmente Mussolini per l’ospitalità ricevuta. La lettera che inizia con un lapidario “Duce” prosegue in bella calligrafia con le seguenti parole: “Sia- mo bimbi albanesi della Colonia Reggiana. Sarebbe la nostra più grande gioia vedervi e dirvi a voce il nostro amore e la nostra riconoscenza”. Il documento, sicuramente frutto

ed è vistato con la V (vista) con la quale mussolini personalmente siglava la posta che riceveva. E’ questo un esempio eclatante di come le colonie fossero state concepite anche come importante strumento di propaganda. Anche se in condizioni politiche ed ideologi- che completamente diverse.

Credo che la nuova indicazione di utilizzazione degli edifici ancora oggi corrisponda in modo ottimale al loro iniziale concepimento, anzi, occasione per trasportare in modo dif- fuso sul territorio lo stesso concetto di salvaguardia a strutture analoghe. Si ricreerebbe così un nuovo tessuto socio-culturale che avrebbe come finalità la tutela dell’ambiente e contemporaneamente la rivalutazione di uno straordinario patrimonio edilizio, unico solo in Italia, relativamente al secolo appena trascorso.

Note

1. Si vedano in particolare: gli studi condotti dall’architetto Eugenio Guglielmi nell’ambito dei corsi di Storia dell’architettura I e II, presso il Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, negli anni 1982/1986; la conferenza tenuta presso il “Circolo Turati” di Cremona nel gennaio del 1991 sul tema della “riutiliz- zazione del lungo Po a Cremona”, “Le colonie fluviali e le società canottieri come elemento qualificante del progetto: Giochi d’acqua” di Eugenio Guglielmi su “Habitat Ufficio” ottobre novembre 1990. Dalle ricerche sempre condotte dall’Arch. Guglielmi è emerso che il riferimento alla “tipologia a nave” doveva rappresentare un’immagine del Regime. La forma derivava infatti da tutta una letteratura ideologica che aveva identificato l’Italia fascista all’interno del pensiero anarco-socialista (pensiero da cui nasce il Re- gime) di Alceste de Ambris, che identificò le conquiste africane dell’Italia attraverso la famosa frase “la grande proletaria si è mossa”. Gabriele d’Annunzio si appropriò di questo aspetto, identificando l’Italia con l’immagine di una prora che, solcando il mare, portava la civiltà nel mondo.

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