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Neoclassicismo, Razionalismo e Novecentismo

1. Varese: dalla città giardino alla città di regime, uno stato dell’arte

1.6 Novecento e Novecentism

1.6.1 Neoclassicismo, Razionalismo e Novecentismo

Gli anni Trenta sono indicati in modo più ampio come quelli della reazione al movimen- to del “Novecento”. Questo avvenne soprattutto in pittura, partendo dai Sei di Torino, e acquisì nel tempo una caratteristica politica che prese forma evidente nelle posizioni successive di “Corrente”.

In architettura questo parallelo che alcuni critici trasferirono nel Razionalismo come fatto analogo, non può essere sostenuto. È proprio un’analisi di questo tipo che ha creato con- fusione, trascurando, perché non collocabile “nella catalogazione di parte”, la numerosis- sima produzione architettonica insieme ai suoi esecutori. Il confronto diretto delle opere evidenzia invece come siano stati troppo stretti i termini che hanno visto il Razionalismo italiano anteposto alle diverse anime culturali, inteso come corrente a sé stante, con pochi “coraggiosi” esponenti. Diventa troppo pesante dover ammettere che il Razionalismo, che si diceva “unica coraggiosa boccata di ossigeno proveniente dall’Europa” contro la stagnante situazione autarchica, è stato per un buon periodo movimento di Regime che lo favorì, giustificato da precise esigenze di ricerca per una nuova architettura nazionale. Anzi, proprio nel nostro Paese assunse caratteristiche di vera architettura mediterranea, ben assimilabile a precise esigenze climatiche e al grande sforzo per un nuovo model- lo di vita dell’italiano stesso, dove lo spazio abitativo rispecchiava l’aspetto culturale e socialmente più valido. Il Razionalismo è ormai riconosciuto come primo prodotto e risposta colta ad una esigenza di architettura nazionale e popolare, con interpreti che non nascosero la loro adesione al Fascismo. Questo almeno in una prima fase. Questa stagione non durò molto a lungo, mettendo in grossa difficoltà coloro che credevano nella sincera voglia di innovare la cultura nazionale. Lo stesso Mussolini fu costretto a scelte che in

Di questa contraddizione di giudizio se ne occupò come riflessione critica anche Carlo Ludovico Ragghianti in un commento nella sua rivista “Critica d’Arte”, specificando il rapporto tra il Razionalismo e il Fascismo 10.

Giulio Carlo Argan in “Architettura e ideologia” del 1957, e pure in “Progetto e desti- no” del 1965 (edizioni Il Saggiatore), affermava che l’architettura Razionale “Radicale”, come proponeva di chiamarla, nacque “come creatura di regime e come tale fu allevata a tutte le sue contraddizioni. È in questa educazione corruttrice che lasciò il segno anche quando il regime cadde”. Proprio in quel periodo fu coniato il termine “architettura me- diterranea” definendo una tipologia edilizia che potesse essere facilmente riconducibile a caratteristiche ambientali fatte di spazi aperti dove la luce, il sole, l’aria potessero diven- tare i vincoli di una scelta sia formale che di ordine tecnologico.

Da qui il grande uso delle vetrate, del vetro-cemento, dei pilastri scanditi per ovviare a tamponamenti troppo frequenti, coperture piatte per permettere spazi maggiori di inso- lazione, derivati tra l’altro da precedenti elementi coloniali che furono successivamente reinterpretati e riportati nelle terre d’oltremare, durante gli interventi in Libia, Eritrea e Somalia.

A tal proposito Silvia Danesi afferma: “In complesso la mediterraneità, che appare de- notare una fase involutiva del movimento razionalista, era sufficientemente collegata ai miti ufficiali da poter costituire un porto sicuro o una trincea, un passaporto in cui i nostri artisti in difficoltà cercarono di munire sé stessi e le proprie opere negandolo ai propri avversari, in quella che fu non solo e non tanto una corsa di riconoscimenti ufficiali e alle commesse, quanto e soprattutto la conquista di una terra di nessuno, sita tra la tradizione e la modernità in cui potere operare, ricorrendo di volta in volta, secondo l’andamento delle polemiche, all’uno o all’altro opposto termine artificiosamente così confinanti” 11.

Il dibattito sulla “mediterraneità” che si originò fra il 1930 e il 1934 ebbe anche più am- pie risonanze in un tentativo mai riuscito di “europeizzare” il problema. È Carlo Enrico Rava che su “ Domus” nel gennaio del 1931 apre la polemica circa il presunto pericolo che vede gli architetti tedeschi del “Ring”, del gruppo di Francoforte e della Bauhaus, guardare con simpatia le “tendenze unificatrici, livellatrici, socialitarie dell’ultima archi- tettura russa”. Queste parole si rivolgevano a personalità come Gropius, Mendelsohn, May e Mies Van der Rohe. Lo stesso Rava utilizzò la formula “spirito mediterraneo” per descrivere le caratteristiche delle nostre coste, di Capri, di Amalfi, della riviera Ligure, affermando: “Tutta una architettura minore tipicamente latina e nostra, senza età eppure razionalissima, fatta di bianchi, lisci cubi e di grandi terrazze...” 12.

La voce di dissenso maggiore a questo fu di Edoardo Persico, senza però riuscire ad evitare ancora successive confusioni sull’interpretazione dei termini. La trasposizione di

“luce-sole-aria” si risolse a soli scopi “igienici”, soprattutto negli interventi pubblici come colonie elioterapiche, ospedali, dispensari, asili d’infanzia. Furono proprio i “Novecenti- sti”, tardo epigoni della scuola d’architettura, che verso la fine degli anni Trenta, in piena preparazione alla guerra, colsero, senza riuscire a decifrarla in modo chiaro, la situazione. Gli stessi interpretarono le esigenze altisonanti del Regime per una architettura monu- mentale e di rappresentanza, con la funzionalità “razionale” ormai divulgata dalla scuola europea. In questo quadro troviamo le opere del giovane Alberto Sartoris che inserisce, in rigorosi volumi da scomposizione “neoplastica”, elementi curvi sui lucernari o su oggetti che, standardizzati, diverranno poi le torrette in vetrocemento o in muratura delle Case del Balilla, dei GUF o dei Consorzi di Bonifica, come architettura minore sparsa su tutto il territorio nazionale, sorta di pseudo-razionalismo navale. Lo stesso per le contrastanti opere di Giuseppe Pagano, come il Palazzo degli uffici Gualino, o di Giuseppe Vaccaro con il Palazzo delle Poste di Napoli. Arriviamo alle coerenze “razionali” di Carlo Enrico Rava (progetto di Ostia del 1932), per incontrare le ambigue tendenze di Umberto Cuzzi (mercato Torino del 1933) o i presupposti appena prossimi di Adalberto Libera (comples- so di villini di Ostia 1932) e di Nicola Mosso (Stazione di Cosato Biellese, 1932/1934). Solo Terragni sembra sfuggire a questa continua ambivalenza, per arrivare ad essere ra- zionale fino in fondo con l’ormai riconosciuta “Casa del Fascio” di Como del 1932/1936. Anche in pittura persino i cosiddetti “astratti”, che nulla sembravano avere a che fare con il continuo richiamo al figurativo tradizionale che caratterizzava l’immagine ufficiale di Regime, trovarono all’interno del Fascismo la possibilità di una loro ricerca autonoma di grande livello, con indiscussi richiami alla cultura europea. Fu tra queste contraddizioni che il “Razionalismo” entrò nel circuito della cultura nazionale, mischiato ad esigenze monumentali, celebrative, equivocato nel termine “funzionale”, applicato con una serie incredibile di varianti che andavano dall’uso di materiali cosiddetti leggeri (vetro-cemen- to, alluminio, ferro) all’aspetto formale in particolare (finestre continue, abolizione delle cornici, suddivisione di superfici quadrate o rettangolari, uso di pilastri). Tutto questo portò anche alla forma più scadente e bassa che derivò da questa corrente, il “geometri- smo”, pensando che si potesse fare del Razionalismo schematizzando elementi amorfi o situazioni decorative di basso livello sia culturale che estetico. Già nei primi anni Trenta, in riviste locali ma di larga e qualificata diffusione come “RICA”, Rassegna Italiana di Cultura ed Arte, edita a Bologna, troviamo nel 1934 un’ulteriore prova della degenera- zione che il termine “Razionalismo” aveva già raggiunto secondo i modelli ufficiali. Così viene descritta la nuova Città degli Studi: “È il primo edificio pubblico bolognese che ostenti la severa e pratica semplicità dello stile razionale, già tanto e così utilmente sfrut- tato in Italia e all’estero, specie negli Istituti del genere”. Se analizziamo bene le parole,

avanti sia sinonimo di “modernità”, di “luminosità” e di “servizi tecnici e perfetti”. Siamo ormai di fronte alla sua completa gerarchizzazione, al suo completo inserimen- to nella macchina burocratica dello Stato, ben lontani dalle premesse di qualità di quel “Gruppo 7” (Figini, Frette, Larco, Libera, Pollini, Rava, Terragni) che aveva esposto i suoi progetti alla Biennale di Monza nel 1927, proseguendo poi le nobili premesse nelle esposizioni di architettura razionale di Roma nel 1928 e nel 1931. Anche l’onnipresente Piacentini abbraccerà questa proposta di “aggiornamento” giocando però sui due fronti tra passato e presente senza nessuna coerenza. Basterebbe fornire l’esempio di questa sua ambivalenza “a ritroso” con il rettorato della Città Universitaria di Roma del 1935 e il Banco di Napoli del 1940. Lo stesso filone prosegue nel Palazzo di Giustizia di Milano che Luciano Patetta assegna al cosiddetto “classico semplificato”, una specie di sintesi cioè tra l’accademismo conservatore che guarda alla monumentalità e alle simmetrie di certi elementi razionalisti.

È significativo che lo stesso Ugo Ojetti in quella occasione lo accuserà di avere abbando- nato “gli archi e le colonne”.

Giovanni Muzio non fu immune da questi influssi, basterebbe citare la concezione for- male del suo “Palazzo dei Giornali” di Milano, edificato tra il 1938 e il 1940, definito dall’architetto “di una austera semplicità che esprime maschia forza”. Ritroviamo esempi di questo tipo in molta architettura “di Stato” anche nelle zone del Meridione e delle iso- le, arrivando fino all’attuale tribunale di Palermo. Una testimonianza altrettanto utile ci è data da quanto Alziro Bergonzo afferma circa la coesistenza di queste due anime: del monumentalismo del tardo Piacentini per esempio e dello strano “geometrismo” che era usato dai giovani architetti del suo periodo13.

Note

1. Oltre agli aggiornamenti bibliografici riportati nella tesi, alcune importanti mostre sul periodo: “Gli anni Trenta, Arte e Cultura in Italia”, Milano 1982; “Pompei e il recupero del classico”, Ancona 1982; “Bergamo 1935/1955, Maniera e Simbolo dell’Architettura”, Bergamo 1987, già ampiamente documentata nel catalo- go “L’immagine della città, il Novecento architettonico a Bergamo”, marzo 2003.

2. Sempre alla fine del 1980, “Marcatré” aveva promosso quattro rassegne espositive presso lo showroom di via Manzoni per illustrare l’evoluzione e la ricerca architettonica di quegli anni. In particolare, la prima mostra (10 dicembre 1987) era dedicata a due architetti, Muzio e Andreani, ed al tema dell’“isolato”. Di Giovanni Muzio compariva l’edificio costruito a Milano sul lotto compreso fra via Moscova, via Turati e via Appiani: quello soprannominato “Ca’ Brutta” e che, in un certo senso, costituisce il manifesto del neoclassicismo architettonico (1919/1923). Di Aldo Andreani che, a differenza di Muzio, era più legato alla tradizione eclettica, vi erano esposti i disegni per il quartiere residenziale progettato sul giardino Sola- Busca (compreso fra le vie Serbelloni, Melegari e Mozart), 1924-1930. Successivamente, la seconda ini- ziativa (2 febbraio 1988), presentava Piero Portaluppi e Pier Giulio Magistretti con due progetti per edifici

Nella terza esposizione (il 23 marzo 1988), venivano considerati gli architetti Lancia/Ponti e Rimini, ed il tema della casa-torre. Infine ad Emilio Lancia e Gio Ponti, col loro ultimo progetto in collaborazione: la casa-torre Rasini, nei Bastioni di Porta Venezia (1933-1934). La seconda casa-torre fu quella progettata da Alessandro Rimini per la Snia-Viscosa in piazza San Babila (1933-1937). La quarta e ultima mostra rias- suntiva, collocata insieme alla tavola rotonda, oltre a raccogliere i temi trattati in precedenza era stata inte- grata con altri significativi esempi come il palazzo di Piazza Duse di Gigiotti Zanini, il Palazzo della Toro Assicurazioni di Lancia/Merenti e la torre di Borgato in Piazza Piemonte, oltre agli edifici della Camera del Lavoro di Caneva, l’università Cattolica di Muzio, le sale Cinematografiche “Colosseo” e “Massimo” di Rimini, nonché la villa di Lancia/Ponti in via Randaccio.

3. Il tema del presente saggio prende spunto da un analogo lavoro presentato sul n. 34 della rivista Habitat Ufficio, ottobre/novembre, 1988.

4. Il termine “Novecentismo”, come interpretazione “ideologica” del Razionalismo inizia a trovare confer- ma nella sua corretta interpretazione come dimostrano alcuni ultimi studi pubblicati recentemente, in par- ticolare “Pavia moderna - Architettura moderna in Pavia e provincia”, 1925-1980 Edizioni Cardano, Pavia 2003. La stessa declinazione storica del significato di “Novecentismo” nei confronti del “Neoclassicismo” e del “Razionalismo” è stata ufficializzata in occasione di una sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima, n. 24/40/04) circa la tutela dell’edificio in via Monte Nero n. 78, nella controversa attribuzione all’architetto Rimini, così da divenire anche parte integrante dall’appara- to normativo a disposizione della Sopritendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali della Lombar- dia, per le iniziative di sua competenza.

5. Il ruolo e la figura dell’architetto bergamasco e milanese d’adozione in questo ambito vengono bene rappresentati dal quadro “Giovanni Muzio dialoga con Vitruvio” olio su tela che Luigi Filocamo dipinse nel 1940. Non a caso fu adoperato quasi a simbolo da Sergio Polano per la copertina del suo volume “Guida all’architettura italiana del Novecento”, edito da Electa.

6. Per la questione sulle origini del Razionalismo in Italia e i suoi rapporti con quello europeo, si vedano in particolare le testimonianze riportate nell’intervista ad Alberto Sartoris, presenti in “Architettura e ideolo- gia, 1930/1945”, Catalogo in occasione della mostra a cura di E. Guglielmi, Ordine degli Architetti, Piani- ficatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo, Consiglio Nazionale Architetti, Consulta Regionale lombarda dell’Ordine degli Architetti, Provincia di Bergamo, Bergamo, dicembre 2004.

7. In effetti la parte più reazionaria del Fascismo etichettò il razionalismo in modo grottesco come “arte degenerata”, “giudaica” o “bolscevica” a seconda delle opportunità, senza però mai scalfire l’effettiva so- stanza delle opere o dei valori morali degli autori.

8. Questo aspetto è stato trattato anche nel saggio di E. Guglielmi il “Novecento architettonico” a Berga- mo anche se riguardo l’arte figurativa (pagg. 43-45) e più approfonditamente per l’architettura nel saggio di Adriano Alpago Novello, “A proposito di classicismo e funzionalità” (pagg. 111-120). Vedi Catalogo “L’immagine della città” op.cit.

Una testimonianza diretta della questione fu fornita sempre allo stesso Guglielmi da Alberto Alpago Novel- lo durante una delle ultime interviste concesse prima della sua morte, che avvenne nel 1985. “In effetti, noi Neoclassici”, sosteneva Alpago “ci sentivamo più moderni dei Razionalisti, perché per noi, il loro uso del sistema trilitico per l’impostazione dell’edificio, era visto come un ritorno alla preistoria, mentre l’arco era per noi l’emblema, il simbolo della grande vera novità architettonica che avvenne nella storia del costruire. Il problema era adoperarlo bene o male”.

che”, del 1972. Operazioni più vaste furono quelle della Biennale di Venezia del 1976 con la mostra “Il Razionalismo e l’architettura in Italia durante il Fascismo” con catalogo a cura di Silvia Danesi e Luciano Fatetta. Prima ancora le documentazioni che Vittorio Gregotti pubblicò nell’ormai classico numero di “Edi- lizia Moderna” (dicembre 1963) dedicato al “Novecento”.

10. Critica d’Arte Nuova Serie, 1954-1955, Ed. Vallecchi, Firenze.

11. “Aphorie dell’architettura italiana in periodo fascista, mediterraneità e purismo”, contenuto nel Catalo- go della Mostra Veneziana (op. cit.nota 8).

12. Alberto Sartoris ha più volte dichiarato che il Razionalismo nacque addirittura dalla conoscenza della nostra architettura mediterranea da parte dei più importanti interpreti dell’architettura europea del periodo. 13. “Probabilmente la ragione principale di questa differenza è determinata dalla formazione culturale. Piacentini veniva venti anni prima di noi che invece eravamo alla vigilia del modernismo, quindi sentiva- mo l’aspirazione alla semplificazione, a manifestazioni più pure. Uscivamo dai canoni cui erano legati i Giovannoni, i Piacentini, tutti coloro che ci hanno preceduto e che sono stati dei maestri, ma che in fondo erano legati ad una tradizione diversa dalla quale noi ci siamo liberati.

Siamo alla vigilia insomma delle facciate di vetro, anche se in fondo esisteva una perplessità nel realizzarle perché pensavamo fossero opere che non dessero garanzia di durata”. L’intervento tratto dal Saggio di E. Guglielmi, “Habitat Ufficio”, n. 34, op. cit.

49. Marcello Piacentini, Palazzo delle Poste, Piazza della Vittoria, Brescia, 1932

50. Giovanni Muzio, Vestibolo della Banca Popo-

lare di Bergamo, 1926-1927 G. Bergomi, L. M. Caneva, Progetto per una casa di campagna , Veduta prospettica del cortilet- to interno, 1930

51. G. Bergomi, L. M. Caneva, Progetto per una casa di campagna

53. Emilio Lancia e Gio Ponti, Casa Torre (Casa Rasini), 1932-1935

54. Alessandro Rimini, Casa Torre (Torre SNIA), Corso Matteotti, Milano, 1935-1937

60. Marcello Piacentini, Palazzo di Giustizia, Milano, facciata principale, 1932-1940

68. Luigi Piccinato, Casa della Gioventù Balilla, Benevento, 1936-1937 66. Alberto Sartorius, Notre Dame du Phare, as-

sonometria, 1931

69. Istituto Superiore di Ingegneria, Bologna,

1940 70. Pietro Aschieri, Città Universitaria, Roma, Istituto di Chimica, 1933

71. Marcello Piacentini, Città Universitaria,

Roma, il Rettorato, 1935 72. Alziro Bergonzo, Casa Littoria di Bergamo, 1938-1940

75. Ludwing Moshamer, Ambasciata del Giappo-

ne in Germania, Berlino, 1943 76. Alziro Bergonzo, Casa Littoria di Bergamo, 1938-1940, atrio

77. Camillo Greco-Nardi, Lorenzo Castelli, Casa

80. Alziro Bergonzo, Casa Littoria di Bergamo,

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