C APITOLO III
8. L’utilizzo del rating a fini regolatori
Nel paragrafo precedente si è visto come il modello reputazionale, che ben descriveva la realtà del rating agli albori della comparsa delle agenzie di rating del credito, abbia via via perso la propria validità con il ricorso sempre più massiccio al rating a fini regolamentari150. Occorre, perciò, soffermarsi sull’aspetto dell’utilizzo del rating a fini regolatori.
Come visto supra151, le agenzie di rating in origine si sono imposte sul mercato come intermediari
nel discorso pubblico così come nei circuiti professionali, dalle forze interessate a sostenere comunque il buon nome delle Cra. Si potrà trattare dei soggetti mal valutati (perché il rating era troppo generoso), o degli altri soggetti sottoposti a valutazione e timorosi che l’adeguatezza del proprio rating possa essere messa in discussione dalla caduta di prestigio del valutante; oppure si potrà trattare delle schiere di professionisti che lavorano (o aspirano a lavorare) per l’industria del rating e il suo indotto. Insomma, i fattori reputazionali non possono essere considerati, in sé e per sé, come uno scudo effettivo, o pure significativo, né nei riguardi dei potenziali conflitti di interesse , né – soprattutto – nei confronti delle vittime dei danni economici causati dalle stesse agenzie».
150
In generale, «[c]on “valenza regolamentare” si intende la capacità del rating di condizionare (a seconda del posizionamento lungo la scala valutativa utilizzata dall’agenzia) l’ottenimento o meno di un determinato trattamento giuridico per l’entità valutata ovvero, a seconda del caso, l’assoggettamento ad una disciplina di favore» (SACCO GINEVRI A., Le agenzie di rating, cit., p. 122, nt. 13).
151
190
dell’informazione, «entities that step in to assess product quality when sellers cannot credibly make claims about product quality themselves»152. Se in origine le valutazioni delle agenzie di rating si sono imposte grazie alle proprie forze, in quanto intercettavo le nuove esigenze del mercato, e vi sono rimaste in quanto i loro giudizi erano ritenuti affidabili, col tempo (già a partire dai primi anni ‘30 del XX secolo) i giudizi delle agenzie di rating sono stati ammantati di una veste nuova: una veste regolamentare. I regolatori ed i legislatori – dapprima quelli statunitensi, poi quelli di tutto il mondo – hanno sempre più spesso fatto ricorso ai rating inserendoli in diverse normative per disciplinare banche, assicurazioni, intermediari finanziari in genere, etc.
Anche se la situazione sta mutando rapidamente153, nel senso di una maggiore responsabilizzazione delle agenzie di rating per i danni cagionati dalle proprie inesatte valutazioni e di un progressivo distacco dall’affidamento incondizionato ed acritico al rating per la pianificazione delle scelte di investimento e la regolazione dei mercati, quando il fenomeno del rinvio al rating da parte dei regolatori in funzione (per così dire) para-legislativa ha esordito si è venuta a creare una situazione del tutto peculiare, che, con il senno di poi, già lasciava presagire i possibili futuri sviluppi negativi154.
152
DARBELLAY A. e PARTNOY F., op. cit., p. 3.
153
Cfr. la sezione II del presente capitolo.
154
Rilevano PARMEGGIANI F. eSACCO GINEVRI A., op. cit., pp. 49-50 che «[q]uesto ruolo di complementarità delle agenzie rispetto al regolatore può portare a due conseguenze potenzialmente pregiudizievoli per il mercato. In primo luogo, l’adozione dei
rating come parametri regolamentari comporta degli effetti
automatici che accentuano le conseguenze di un downgrade per gli emittenti soggetti a tale giudizio. Infatti, i titoli degli emittenti che
191
Da un lato, infatti, i vari legislatori hanno demandato importanti funzioni nell’ambito della vigilanza prudenziale alle valutazioni emesse dalle agenzie di rating del credito, assegnando alle stesse un rilievo ben superiore a quello originario, che si esauriva nella sfera dei rapporti privati155; dall’altro, però, non hanno assoggettato le agenzie di
hanno subito un downgrade rischiano di essere oggetto di vendite di massa in quanto il possesso di essi non risulta più conforme agli
standard prudenziali imposti dalla legge. Ne consegue che il
soggetto destinatario del downgrade non solo deve scontare il fisiologico inasprimento dei tassi di interesse richiestigli per reperire liquidità sul mercato, ma deve anche subire una consistente perdita di valore dei propri titoli, in quanto la normativa stessa induce gli investitori istituzionali a venderli, non considerandoli più idonei ad essere tenuti in portafoglio se non a condizioni onerose. Accanto a questo problema di aumento dell’effetto prociclico del rating, la funzione “quasi regolamentare” ricoperta dalle agenzie può inoltre indurre il mercato a fidarsi troppo ciecamente dei giudizi da esse emessi. Infatti, se i rating godono di un esplicito riconoscimento legislativo, difficilmente verranno messi in discussione dagli investitori, i quali saranno al contrario portati ad accettarli acriticamente ogni volta che siano chiamati ad effettuare scelte di investimento ponderate e razionali (c.d. fenomeno della over-reliance on credit rating)».
155
ENRIQUES L. e GARGANTINI M., op. cit., p. 475 parlano di “abdicazione regolamentare”; PARMEGGIANI F., I problemi
regolatori del rating e la via europea alla loro soluzione, cit., p.
493 parla di “una vera e propria opera di outsourcing normativo”; PIANESI L.,op. cit., parla di privatizzazione di funzioni pubbliche o
pubblicizzazione di funzioni private; PRESTI G., Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, cit., p. 72 parla di “delega regolamentare in bianco”, in quanto «erano le agenzie di rating a decidere, nella più totale e opaca discrezionalità, la nozione di
investment grade, a stabilire la metodologia per accertare se una
determinata emissione integrasse o no tale nozione, a condurre infine l’esame concreto delle singole emissioni sulla base delle loro procedure».
192
rating a particolari controlli, né hanno previsto sanzioni
specifiche a carico delle stesse per il caso in cui le loro valutazioni si fossero rivelate ex post inesatte, cagionando gravi danni ai singoli (investitori ed emittenti) in particolare ed al mercato in generale. Si aggiungano anche le elevate barriere all’ingresso al mercato del rating (in particolare negli Stati Uniti, con la creazione della categoria delle NRSRO), che hanno permesso a poche agenzie di agire e prosperare senza temere la concorrenza di competitors più diligenti ed affidabili. Insomma, le agenzie si sono viste assegnare un grande potere, ma nessuna responsabilità: «legislators have released the fox into the henhouse – then closed the door»156.
L’attribuzione di valore regolamentare ai rating del credito ha (se non in tutto, almeno in parte) mutato la funzione del rating (e così delle agenzie che lo rilasciano), che da valutazione contenente un’informazione sul merito di credito del soggetto valutato si è (parzialmente) modificato in biglietto di accesso al godimento di un particolare trattamento normativo: insomma, «le agenzie si trasformano da soggetto che vende un giudizio che incorpora un valore informativo in soggetti che vendono una regulatory licence», ossia una disciplina normativa157.
Ma quali sono gli albori di questa metamorfosi del
rating?
L’approccio regolamentare, che fa ricorso alla tecnica normativa di incorporare il rating nella regolamentazione, è nato negli Stati Uniti d’America già a partire dai primi anni Trenta del secolo scorso (ossia dopo poco più di due decenni di vita della prima agenzia di rating, Moody’s), in conseguenza della spaventosa crisi economico-finanziaria
156
KORMOS,B.J., op. cit., p. 30 e 37.
157