• Non ci sono risultati.

Il meccanismo reputazionale: presidio sufficiente al

C APITOLO III

7. Il meccanismo reputazionale: presidio sufficiente al

corretto operare delle agenzie di rating?125

Tema importante ed imprescindibile di ogni lavoro che intenda indagare sulle agenzie di rating del credito è quello che riguarda l’importanza che la reputazione126

ha per le medesime. A questo punto della trattazione, visti quali sono i principali problemi riscontrabili nell’attività di classamento del merito creditizio, resta da stabilire come essi incidano sulla reputazione di cui godono le agenzie di

rating del credito e sulla possibile perdita della stessa.

Sino a pochi anni or sono le agenzie di rating operavano pressoché libere da vincoli di tipo normativo; le uniche regole che erano state dettate in materia erano contenute in codici di condotta e codici di autodisciplina,

125

A proposito di reputational interests e reputational sanctions v. ZENO-ZENCOVICH V., L’informazione finanziaria fra regolazione

dei mercati e disciplina dell’attività giornalistica, cit., pp. 247 ss., Comunicazione, reputazione, sanzione, in Dir. dell’informazione e dell’informatica 2007, 2, pp. 271 ss..

126

Cfr. GABBI G., Definizione, misurazione e gestione del rischio

reputazionale degli intermediari bancari, in Banca Impresa Società, 2004, 1, p. 52: «Il termine “reputazione” coinvolge

numerosi concetti, ovviamente non solo economici tra i quali considerazione, apprezzamento, valutazione, credito, stima, credibilità, fama, nome, opinione, marchio, onore. (…) In generale, si può affermare che il rischio reputazionale è la possibilità che un dato evento modifichi negativamente la stima che all’interno di un’organizzazione si ha di uno o più soggetti a prescindere dal fondamento giuridico del giudizio. In ambito economico la reputazione è il risultato del comportamento di un insieme assai più ampio di soggetti e la sua definizione necessariamente si complica. Si può comunque affermare che essa è l’insieme di attività intangibili, il cui decadimento può provocare un significativo peggioramento del valore globale dell’azienda».

176

non aventi forza cogente e sprovvisti di meccanismi sanzionatori. In un regime di deregolamentazione pubblica (deregulation) e di autoregolamentazione privata

(self-regulation), la quale sorge autonomamente dal mercato e

dal libero svolgersi dei rapporti tra le parti, le uniche sanzioni127 sono quelle del mercato, e, in particolare, la perdita di reputazione dell’operatore nel caso in cui lo stesso non svolga al meglio la propria attività.

Questo argomento viene tuttora sovente impiegato dalle agenzie di rating del credito per difendere la bontà del proprio operato ed affermare la propria indipendenza. Le agenzie sostengono, infatti, di avere tutto l’interesse a bene operare per rilasciare rating di qualità, quanto più possibile corretti ed indipendenti, essendo la loro permanenza sul mercato condizionata dalla conservazione di una buona reputazione128; il rilascio di rating scarsamente affidabili avrebbe, per le stesse, importanti ripercussioni negative, dal momento che la perdita di credibilità del valutatore porterebbe il mercato a non affidarsi più ai giudizi dal medesimo espressi, con la conseguenza che il valutatore considerato incapace o in

127

O, meglio, le uniche sanzioni efficaci, dotate di reale forza deterrente. Come si vedrà infatti nel capitolo IV, le sanzioni della responsabilità civile, pur astrattamente ammissibili, erano assai raramente impiegate e perciò incapaci di orientare la condotta delle agenzie di rating verso comportamenti virtuosi.

128

Perché godere di buona reputazione sia tanto importante lo spiega chiaramente PARTNOY F., The Paradox of Credit Ratings, cit., p. 67: «if an individual’s reputation improves, and other members of society begin to hold that individual in higher esteem, that individual acquires a stock of reputational capital, a reserve of good will, which other parties rely on in transacting with that individual. Reputational capital leads parties to include “trust” as a factor in their decision-making; trust enables parties to reduce the costs of reaching agreement».

177

mala fede non riceverà più incarichi professionali e (ovviamente) nemmeno la relativa remunerazione.

La buona reputazione genera fiducia, e la fiducia rappresenta il presupposto fondamentale in un mercato particolare e delicato come quello del rating del credito129: se l’attività di classamento del merito creditizio prospera è perché (o dovrebbe essere perché) essa colma quel gap di informazione e di fiducia nella bontà dell’informazione esistente tra il lato della domanda ed il lato dell’offerta. Se il rating ha acquistato grande rilievo sui mercati finanziari è perchè l’investitore, bisognevole di informazioni, comprensibilmente nutre maggior fiducia nel giudizio di un soggetto esperto estraneo al rapporto di finanziamento, rispetto al giudizio del soggetto (controparte contattuale) che cerca di finanziare la propria attività facendo ricorso al mercato130. Non a caso il direttore generale per l’Italia di

129

Cfr. PIANESI L., op. cit., p. 194: «Si tocca, qui, il punto centrale

del tema della reputazione delle agenzie di rating. Da un lato, vi è, infatti, lo stretto collegamento del concetto di credito con quelli di fiducia e di credibilità, tanto che il rischio di credito che un finanziatore sopporta dipende in gran parte dalla reputazione del finanziato; dall’altro, il successo e la funzione stessa del rating e delle agenzie sono strettamente dipendenti dalla fiducia e dalla credibilità che le stesse acquisiscono sul mercato»

130

Cfr. COFFEE J.C., Understanding Enron: It’s About the

Gatekeepers, Stupid, cit., pp. 5-6: «Characteristically, the

professional gatekeeper essentially assesses or vouches for the corporate client’s own statements about itself or a specific transaction. This duplication is necessary because the market recognizes that the gatekeeper has a lesser incentive to lie than does its client and thus regards the gatekeeper’s assurance or evaluation as more credible. To be sure, the gatekeeper as watchdog is typically paid by the party that it is to watch, but its relative credibility stems from the fact that it is in effect pledging a reputational capital that it has built up over many years of

178

Standard&Poor’s è arrivato ad affermare che «la reputazione è tutto quello che noi abbiamo, di fatto, sul nostro bilancio»131. La reputazione diventa un fattore talmente importante che viene addirittura utilizzata la locuzione di “capitale reputazionale”: la buona reputazione di cui il soggetto gode viene vista come una parte fondamentale del suo patrimonio, capace di produrre ritorni economici e rendimenti132.

performing similar services for numerous clients. In theory, such reputational capital would not be sacrificed for a single client and a modest fee. Here, as elsewhere, however, logic and experience can conflict. Despite the clear logic of the gatekeeper rationale, experience over the 1990’s suggests that professional gatekeepers do acquiesce in managerial fraud, even though the apparent reputational losses seem to dwarf the gains to be made from the individual client».

131

Audizione della dott.ssa M. Pierdicchi, cit., p. 49.

Cfr. altresì BECKER B. e MILBOURN T., How Did Increased Competition Affect Credit Ratings, cit., pp. 6-7: «By providing

accurate ratings, they improve future business opportunities. Industry sources confirm this logic. According to a Bear Stearns & Co equity analyst in June 2007, S&P claimed that “reputation is more important than revenues”. Bloomberg news cites Moody’s CEO Raymond McDaniel stating that “we are in a business where reputational capital is more important”. Former executive VP of Moody’s Thomas McGuire stated in 1995 that “what’s driving us is primarily the issue of preserving our track record. That’s our bread and butter.”».

132

Cfr. FERRI G. e LACITIGNOLA P., Le agenzie di rating, cit., pp. 80-81: «Strettamente collegato al valore informativo del rating è il “valore di reputazione”. Gli operatori di mercato credono che il rating sia di buona qualità solo se l’agenzia ha una buona e consolidata reputazione. Da questo punto di vista, la reputazione stessa può essere considerata un prodotto delle agenzie. In questo senso la reputazione può essere considerata un’attività vera e propria (capitale di reputazione). In questo contesto, i rating non

179

Secondo il reputational-capital model un meccanismo di reputazione ben funzionante fornirà alle agenzie di

rating incentivi ottimali per la produzione di rating di alta

qualità133. Il mercato sarebbe in grado di autoregolamentarsi, consentendo, da un lato, agli operatori migliori di prosperare ed espellendo, dall’altro, quelli che si dimostrano meno meritevoli.

Con riferimento all’attività di classamento del merito creditizio, la dottrina ha posto in luce come la buona reputazione delle agenzie di rating si fondi più sulla capacità di predire un default che non sulla capacità di predire il miglioramento del merito creditizio dell’emittente; sicché l’immagine dell’agenzia di rating rimarrà assai più danneggiata nel caso in cui un emittente classificato investment grade fallisca che non nel caso opposto, in cui un emittente con rating speculative grade abbia delle buone performaces134. In un’ottica di capitale

solo forniscono informazioni sul merito di credito, ma incorporano anche la reputazione dell’agenzia che ha emesso quel rating».

133

Riferimenti alla dottrina che sostiene questa tesi si trovano in HUNT J.P., op. cit., p. 16, nt. 68. La reputazione si lega alla possibilità di monitorare la qualità dei rating: «Although some assert that it is impossible to monitor quality because it is impossible tell even after the fact whether rating agencies performed poorly, or just experienced bad luck, that contention is inconsistent with any argument that reputation guarantees high quality. A reputation for quality presumes that market participants are able to engage in ex post monitoring of product quality. If customers can never determine whether good or services are of high quality or not, there can be no meaningful “reputation” for high-quality production. Thus, if reputation plays a role in rating-agency markets as agencies and many observers assert, it is possible to monitor quality» (HUNT J.P., op. cit., p. 40).

134

Cfr. KUHNER C., op. cit., p. 7: «The agency will succeed in maintaining its reputation if firms rated investment grade survive,

180

reputazionale, risulterebbe dunque più pernicioso per un’agenzia emettere rating errati per eccesso (ossia eccessivamente favorevoli) che rating errati per difetto.

Il capitale reputazionale ha avuto un’importanza centrale agli albori dell’attività di rating135

, quando le agenzie hanno dovuto conquistarsi la loro fetta di mercato dimostrando di offrire un servizio utile; la sua importanza è, però, andata via via scemando nel corso del tempo.

La reputational capital view riferita alle agenzie di

rating del credito, infatti, sembra essere sostanzialmente

or if firms rated speculative grade fail. If a speculative-grade debtor survives, the agency’s reputational losses are at a comparatively low level. The agency’s reputation will be damaged to a greater extent if an investment-grade debtor defaults. (…) Arguably, the ultimate users of rating information, i.e., the creditors, will attach higher value to precision in investment-grade rating assignments than they will to precision in speculative-grade assignments, at least if we assume risk aversion. Moreover, a debtor’s insolvency is usually an event that will attract much more public attention than his unexpected survival. Finally, prediction errors are generally easier to avoid for debtors of apparently strong financial condition: Not only will low-quality creditors trade in an environment of enhanced volatility, they will also have incentives to increase their earnings’ volatility by adopting gambling-for-resurrection-strategies. For all these reasons, the public will be less inclined to forgive if highly rated creditors fail».

135

Cfr. PARTNOY F., The Paradox of Credit Ratings, cit., pp. 68 ss.. In particolare, spiega l’A., «[t]hroughout the 1920s, credit ratings were financed entirely from subscription fees, and rating agencies competed to acquire their respective reputations for independence, integrity, and reliability. In a market with low-cost barriers to entry, a rating agency issued inaccurate ratings at its peril. Every time an agency assigned a rating, that agency’s name, integrity, and credibility were subject to inspection and critique by the entire investment community. Reputational considerations would have been especially acute in such an environment».

181

corretta sino agli anni ‘70 del secolo scorso: sino a quell’epoca le società di rating continuarono ad operare sul mercato in quanto ivi godevano di una buona reputazione, che portava investitori ed emittenti a confidare nella bontà delle loro valutazioni. Proprio a partire dagli anni ‘70 questo meccanismo ha, però, cominciato ad incrinarsi, in concomitanza con gli importanti cambiamenti che in quegli anni hanno interessato le agenzie di rating del credito, quali l’utilizzo sempre più massiccio del rating a fini regolamentari nonché la creazione della categoria delle NRSRO136. L’introduzione di queste novità ha avuto importanti ripercussioni sull’attività di rating e sul funzionamento del suo mercato: da un lato, il rating ha cominciato ad essere acquistato non soltanto più per il suo valore informativo, ma anche (e, forse, soprattutto) per il suo valore regolamentare, sicché la qualità dei rating emessi (perno centrale del meccanismo reputazionale) è passata in secondo piano; dall’altro lato, non tutti i rating possono essere utilizzati indistintamente, poiché gli unici che hanno valore a fini regolamentari sono soltanto quelli rilasciati dalle (poche) agenzie che hanno ottenuto la qualifica di NRSRO.

Nonostante le importanti novità intervenute negli anni ‘70, ancora due decenni dopo era diffusa la convinzione che il mercato del rating fosse in grado di autoregolamentarsi e che la perdita di capitale reputazionale fosse un deterrente sufficiente per le agenzie rispetto all’assegnazione di giudizi eccessivamente favorevoli per compiacere gli emittenti, ossia coloro che,

136

182

nel business model ormai predominante (il c.d. issuer paid

model), pagano per l’emissione della valutazione137.

Il mito della capacità delle agenzie di rating di autoregolamentarsi e della sufficienza delle sanzioni di mercato imperniate sul meccanismo reputazionale è però svanito alla fine del secolo scorso, quando la dottrina (il primo a svolgere uno studio accurato del fenomeno è stato Partnoy) ha posto in evidenza le gravi lacune del

reputational capital model. Attualmente, la capacità delle

agenzie di autoregolamentarsi e la sufficienza del meccanismo del capitale reputazionale quale disincentivo efficace rispetto a comportamenti scorretti ed opportunistici delle agenzie di rating sono nozioni fortemente compromesse, che alla prova dei fatti sembrano avere gravemente disatteso le aspettative che in loro erano state (probabilmente ingenuamente) riposte. Risulta allora interessante indagare attraverso quale percorso si sia passati, nell’arco di pochissimi anni, da una visione positiva e fiduciosa nei confronti delle agenzie di rating ad una più disillusa e diffidente. La domanda che sorge spontanea è per quale motivo, se una buona reputazione è così difficile da costruire ed è così importante da mantenere, in tempi recenti i market gatekeepers paiono avervi abdicato in modo tanto grossolano, come abbia potuto manifestarsi un così marcato «conflitto fra logica ed esperienza»138 (logica, che vorrebbe che le agenzie di

rating, nel timore di perdere la propria reputazione, siano

stimolate a produrre giudizi di qualità elevata; esperienza, che mostra invece come nell’ultimo decennio del secolo scorso ed ancor più nel nuovo millennio le agenzie di

rating abbiano mostrato acquiescenza rispetto ai

137

In tal senso cfr. CANTOR R. e PACKER F., op. cit., p. 4.

138

183

comportamenti fraudolenti dei managers delle società emittenti).

Una prima risposta viene offerta da Partnoy, il quale contesta la teoria (a suo dire dominante) secondo cui «the credit-rating industry is competitive and reputation-driven»139. La tesi di Partnoy è che l’introduzione sempre più massiccia dei rating all’interno della regolazione abbia finito per snaturare l’essenza originaria degli stessi, che da valutazioni aventi un contenuto informativo e soggette al meccanismo del capitale reputazionale sono diventate mere licenze regolamentari, acquistate dagli emittenti non per il loro valore informativo, ma perché permettono di soddisfare determinati requisiti stabiliti a livello regolamentare: «Information intermediaries function best when they have reputational capital at stake and will suffer a loss if their assessments are biased, negligent, or false. Over time, however, rating agencies have shifted from selling information to selling “regulatory licenses,” keys that unlock the financial markets»140. Dal momento che i

rating non vengono più acquistati per l’informazione che

in essi è incorporata, ma soltanto per il loro valore

139

PARTNOY F., The Paradox of Credit Ratings, cit., p. 67. Contra SCHWARCZ S.L., op. cit., p. 14, secondo il quale il modello reputazionale funziona: «The reliability of ratings can be explained by reputational costs: the profitability of rating agencies is directly dependent on their reputations. Inaccurate ratings will impair, if not destroy, a rating agency’s reputation (…) Thus, rating agencies should want to continue to provide accurate ratings, whether or not there is regulation. Regulation, on the other hand, could impair the reliability of ratings by increasing the potential for political manipulation, and by diminishing the importance of reputational costs as would occur, for example, if regulation were based on considerations other than ultimate ratings reliability».

140

184

regolamentare, il meccanismo reputazionale non funziona più; sicché, anche se la qualità dei rating si rivela essere bassa, ciò non danneggia più di tanto l’agenzia responsabile della cattiva valutazione141.

Ecco allora spiegato quello che Patrnoy chiama il “paradosso delle agenzie di rating”: il rating perde il proprio valore informativo, ma, nonostante ciò, la sua importanza non diminuisce e le agenzie non solo non subiscono conseguenze negative, ma, anzi, prosperano come non mai. Concorda con Partnoy Kormos: «While some argue that the CRAs’ desire to maintain their “reputation” regulates them, this is a logically invalid argument, because it presumes that the CRAs have a reputation at all. In fact, they do not. The status legislatively granted to them proclaims them “recognised” and “approved” authorities, and requires substantially the entire investment market to purchase bonds stamped with the CRAs’ approval – the investors must purchase securities on the CRAs’ authority, rather than their

141

Cfr. PARTNOY F., The Paradox of Credit Ratings, cit., p. 73: «In theory, rating agencies have good reason to avoid conflicts of interest and to protect the accuracy of their ratings, because they need to preserve their reputations. However, once the ratings of a small number of credit rating agencies are enshrined by regulators who incorporate credit ratings into substantive regulation, the markets become less vigilant about the agencies’ reputations». Ed ancora: «By employing ratings as a tool of regulation, regulators have fundamentally changed the nature of the product rating agencies sell, as issuers pay rating fees to purchase, not only credibility with the investor community, but also a license from regulators. The web of regulation added from 1973 until today has given the rating agencies a valuable and powerful franchise in selling regulatory licenses. Those lucky few rating agencies now have a product to sell regardless of whether they maintain credibility with the investor community» (p. 77).

185

reputation. Therefore, they do not even have a

“reputation” to regulate them; they are positively de-regulated, and shielded from liability»142.

Anche se la visione di Partnoy appare forse un po’ estrema (escludere del tutto che i rating abbiano un qualche valore informativo pare, in effetti, un po’ eccessivo), il problema di un affievolimento della preoccupazione delle agenzie di rating circa la bontà della propria reputazione, a tutto scapito della qualità dei rating, sembra in effetti sussistere.

Oltre alla ragione individuata da Partnoy (la vendita di licenze regolamentari), altri fattori sembrano aver contribuito alla perdita di qualità dei giudizi di rating ed all’abbandono del reputational-capital model. Tra questi, in particolare, la difficoltà di attribuire rating a determinati prodotti, quali i prodotti strutturati. Vi è, infatti, chi si concentra ad indagare l’efficienza del meccanismo reputazionale con riferimento a particolari tipi di emissione; in particolare, Hunt concentra la propria attenzione sui giudizi che le agenzie di rating rilasciano rispetto a prodotti nuovi. Secondo Hunt il modello reputazionale, anche ove operi al meglio delle sue possibilità, non sarebbe comunque idoneo a garantire una qualità elevata dei giudizi di rating di prodotti finanziari nuovi, perché l’agenzia di rating non saprebbe come effettuare la valutazione143. Il problema riguarda

142

KORMOS,B.J., op. cit., p. 30.

143

HUNT J.P., op. cit., pp. 4-5: «It is not plausible to argue that