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3. LA QUALITATIVE CONTENT ANALYSIS NELLA NETWORK SOCIETY

3.2 La metodologia di analisi

3.2.3 La Content Analysis

La seconda tecnica qualitativa adoperata consiste nella Content Analysis o Opinion Analysis (come definita da Ceron et al. (2014)). Sebbene l’origine di questo termine sia controversa e oggetto di discussione tra gli studiosi in materia, che hanno cercato di individuare i precursori recenti di questa tipologia di analisi, facendoli risalire addirittura al XVI secolo, è nel 1952 che tale espressione si afferma definitivamente per indicare una metodologia precisa. Adottando una delle definizioni più recenti e complete, con Content Analysis si fa riferimento a “un insieme ampio ed eterogeneo di tecniche manuali o assistite da computer di interpretazione contestualizzata di documenti provenienti da processi di comunicazione in senso proprio (testi) o di significazione (tracce e manufatti), aventi come obiettivo finale la produzione di inferenze valide e attendibili” (Tipaldo, 2014). I documenti definiti come “testi” possono essere scritti, iconici, multimediali e audiovisivi, mentre tra i do cumenti provenienti da processi di significazione si includono le tracce (cioè documenti del passato) e i manufatti (documenti non linguistici).

La rinnovata popolarità della Content Analysis viene legata principalmente ai progressi che la tecnologia ha raggiunto recentemente, e in particolare alla diffusione del Web 2.0, argomento trattato nei paragrafi precedenti. La digitalizzazione dei testi ha così messo a disposizione dei ricercatori una vastità e una varietà di materiale senza precedenti, e in continuo aumento. Sempre Tipaldo (2014) discute su quale tecnica risulti più adeguata in un contesto del genere: da una parte si trova l’annotazione manuale, che se in passato risultava l’unica alternativa possibile, oggi non è più così, potendo svolgere tale procedimento anche con il supporto dei computer e di software per l’analisi automatizzata dei dati. Anche qui si pone lo stesso problema riscontrato nella Sentiment Analysis, dovendo scegliere tra la maggiore affidabilità della componente umana e la maggiore efficienza (in termini di tempo) dei computer. Una soluzione ibrida sicuramente rappresenta la soluzione migliore, laddove si abbia a che fare con una ridotta mole di testi.

119 Entrando ora nel merito della trattazione della Content Analysis, si farà principalmente rimando al lavoro di Krippendorff (2004), professore di Cibernetica, Linguaggio e Cultura presso l’Università della Pennsylvania. Nei suoi studi, Krippendorff giunge alla definizione di una struttura concettuale da adottare per la Content Analysis, costituita da poche componenti concettuali:

 Un insieme di dati a disposizione dell’analista per lo svolgimento del lavoro  Una domanda alla base della ricerca, alla quale si cerca di rispondere

attraverso l’analisi dei dati a disposizione

 Un contesto all’interno del quale l’insieme dei dati assume significato. Il contesto specifica il mondo nel quale i testi possono essere collegati alle domande di ricerca dell’analista

 Un costrutto analitico che esprima in termini operativi ciò che l’analista sa del contesto, e in particolare l’insieme di correlazioni che possono spiegare come i testi disponibili sono connessi con le possibili risposte

 Inferenze che riescano a rispondere alla domanda della ricerca, e questo rappresenta il risultato atteso della Content Analysis

 Una prova in grado di convalidare i risultati. Questo elemento in alcuni casi è impossibile nella pratica, cioè quando non ci può essere un’evidenza diretta basata sull’osservazione, come nei casi di analisi costruite su domande riguardanti eventi passati o futuri. E quindi richiesto da Krippendorff che una Content Analysis sia validabile in linea di principio, attraverso ad esempio un sondaggio, o altri lavori sul tema.

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Figura 3.5: La struttura della Content Analysis

Fonte: Krippendorff (2004)

Secondo Krippendorff (2004), per far sì che una ricerca possa essere ritenuta fondata e affidabile da altri soggetti, è richiesto di indicare a priori il proprio “disegno di ricerca” (cioè l’insieme di passaggi procedurali seguiti dal ricercatore) e la logica adottata per definire tale disegno, che deve avere come scopo l’efficienza e l’imparzialità.

I principali passaggi della Content Analysis, così come riportato da Lai e To (2015), tradizionalmente possono essere riassunti nei seguenti dieci punti: definire il tema di analisi; decidere il campione da analizzare; definire i concetti o le unità da considerare; costruire le categorie; creare le strutture di coding; effettuare il training dei codificatori; raccogliere i dati; determinare l’affidabilità inter -coder; analizzare i dati; fare il resoconto dei risultati.

Come si evince anche dall’elenco di passaggi da seguire, attraverso la Content Analysis è possibile attribuire parole e frasi a determinate categorie, assumendo che una volta classificate al loro interno, queste condividano lo stesso significato (Cavanagh, 1997). Nella determinazione delle classi di analisi, possono essere adottati due metodi: quello induttivo e quello deduttivo. La decisione di usare uno oppure l’altro metodo dipende dall’obiettivo dello studio.

Riprendendo il lavoro di Elo e Kyngas (2008), se non esiste una conoscenza passata sufficiente del fenomeno o se tale conoscenza è frammentata, allora conviene adottare il metodo induttivo, muovendosi dallo specifico al generico. Viceversa, se

121 esiste una conoscenza precedente del fenomeno sulla quale viene costruita la struttura dell’analisi, allora si consiglia di adottare il metodo deduttivo (Figura 3.6).

Figura 3.6: Metodo induttivo e metodo deduttivo

Fonte: Elo e Kyngas (2008)

Il metodo induttivo prevede una fase iniziale di coding da effettuare sui testi in analisi, per poi ricavare dai risultati così ottenuti le categorie, che vengono generate in maniera libera. L’obiettivo successivo sarà quello di ridurre tutte le categorie così generate in un numero minore di esse, creando in questo modo delle macro categorie. La fase finale di questo processo consiste nell’astrazione, ovvero nella descrizione del fenomeno in analisi attraverso i risultati ottenuti.

Il metodo deduttivo invece viene applicato quando si desidera sottoporre a nuovi test determinati dati all’interno di un nuovo contesto. Questo metodo non richiede di ricavare le categorie attraverso il processo di coding, ma di creare una matrice di categorie preesistenti nella letteratura e di codificare i dati in analisi nelle classi a cui appartengono: tale matrice può essere sia strutturata che libera.

122 Una matrice libera permette di creare diverse categorie, rimanendo all’interno dei “confini” di queste ultime. Utilizzando quella strutturata invece, possono essere scelti gli aspetti che rientrano nella cornice di riferimento, oppure quelli non compresi in essa: questi ultimi possono essere poi utilizzati per creare ulteriori classi, seguendo la logica del metodo induttivo (Elo e Kyngas, 2008).

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4. ANALISI EMPIRICA