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1. CONSUMO CRITICO

1.5 Il Consumo simbolico e l’alimentazione

1.5.3 Simbolismo e alimentazione

In un mercato sempre più saturo di prodotti simili e perfettamente interscambiabili, il processo di acquisto del consumatore è sempre più suggestionato dal significato che una determinata scelta porta con sé. Ciascuna scelta alimentare infatti si impossessa oggigiorno di una particolare valenza simbolica, laddove nell’incessante percorso di cambiamento che l’essere umano vive, il consumo è mezzo di espressività, ricco di valori identificativi. Parlando di simbolismo e alimentazione, sono numerosi gli autori che hanno trattato questo argomento, soffermandosi sulle varie sfumature che tale fenomeno sociale possiede.

Barthes (1961), proprio cercando di esaltare l’aspetto simbolico del cibo, finisce per affermare che la “circostanza”, in una società moderna in cui è il significato a farla da padrone, superi il valore della “sostanza”, dei contenuti nutritivi del cibo , tant’è che un prodotto come il caffè, noto per la sua funzione di eccitante, viene consumato in situazioni rilassate e di socializzazione.

32 Adottando l’analisi proposta da Russo (2015), una certa importanza va attribuita alla distinzione che Richins (1994) fa tra valore privato e valore pubblico. Il pr imo proviene dall’esterno, cioè da tutti gli individui che si trovano nell’atto di osservare un particolare soggetto, ed è dato da ciò che essi pensano e dal significato che attribuiscono a qualcosa. Il secondo invece proviene dal profondo di un individuo, aggregato di tutti i valori e significati che un soggetto attribuisce a qualcosa. Ed è il secondo dei due valori che Siri (2001) ricollega a gran parte delle scelte dei consumatori, mezzo per raggiungere un equilibrio tra il Sé ideale, ciò che loro vorrebbero essere, e il Sé reale, ciò che loro effettivamente sono.

“Il consumo, e in particolare il consumo critico, diventa un utile strumento per ridurre lo stato di discrepanza tra Sé reale e Sé ideale” (Russo, 2015)

I consumatori quindi cercherebbero beni con determinati valori simbolici, in modo da completare i tasselli mancanti che lo separano dal raggiungimento del loro Sé ideale. Si evince quindi l’impegno nel sottolineare l’importanza che il consumo critico riveste in questo processo compensativo, in virtù della sua ricchezza di simboli e valori. All’interno del consumo critico poi, viene attribuito ulteriore valore al consumo alimentare, forma di consumo notoriamente ricca di significati molto particolari, nella sfera personale come in quella relazionale. Nel trattare questa parte, verranno ancora ripresi alcuni punti del lavoro di Russo (2015), che è riuscito a cogliere in maniera molto precisa aspetti rilevanti per il tema in questione, facendo largo rimando agli autori più disparati, dalla psicanalisi a studi socio -economici. Un primo aspetto fortemente caratterizzante il consumo alimentare riguarda quello che in psicanalisi viene chiamato il processo di introiezione: tale consumo presuppone un’introduzione di qualcosa nel nostro corpo, il cui ingerimento può avere ripercussioni positive o negative su di esso. Gli viene quindi attribuita una capacità che non appartiene a nessun altro tipo di prodotto, quella di modificare una persona, non esteriormente ma dall’interno, cambiandone il fisico e lo stato di salute.

Un secondo aspetto da analizzare è il fatto che il cibo possiede una valenza simbolica già nella fase di sviluppo infantile (Klein, 1959). Secondo la psicanalista austriaca un primo passo per l’individuo, nel suo processo evolutivo dall’infanzia alla maturità, avviene all’interno del rapporto che il bambino ha con il seno materno. Nella prima

33 fase della vita il bambino, nutrendosi dalla madre ed esclusivamente solo da essa, inizia a rendersi conto di come esso possegga un Sé separato dal seno materno, nel momento in cui necessita di cibo ma non può soddisfare la sua esigenza in mancanza della madre: si rende conto così di quanto la sua autonomia e indipendenza siano limitate.

Il cibo viene investito quindi di un ruolo comunicativo molto forte, portando il bambino a una scoperta enorme nel suo processo di crescita. Tale ruolo comunicativo non ha però solo importanza in età infantile, ma anche in età adulta. Cucinare per qualcuno vuol dire infatti manifestare il desiderio di prendersi cura dell’altra persona; consumare o non consumare un determinato cibo mostra la propria appartenenza socio-culturale a un gruppo o religione; scegliere un determinato prodotto comunica quali sono i nostri valori o quelli a cui ambiamo. Attraverso il cibo viene comunicata anche la personalità di un individuo, la sua forza e capacità di gestire o meno i propri istinti.

Nell’ambito del consumo simbolico e nel ruolo che esso detiene nel dettare le scelte del consumatore postmoderno, un aspetto interessante è quello analizzato da Cicia et al. (2012) sul binomio “alimentazione-tecnologia, neofilia-neofobia”, in virtù del ruolo enorme che tale aspetto sta avendo nell’evoluzione del sistema agroalimentare. Nel loro studio gli autori giungono a evidenziare i due comportamenti del consumatore postmoderno, combattuto tra una domanda di novità (neofilia) e una paura e preoccupazione verso ciò che è nuovo e poco conosciuto (neofobia). Tale contrasto si origina da diversi aspetti, in primis da un atteggiamento di preferenza dell’uomo verso il naturale, definito “biofilia”: con tale termine si vuole intendere una predilezione verso tutti quegli alimenti che hanno subito poche lavorazioni e trasformazioni, senza alterazioni industriali. Tale preferenza spingerebbe gli individui a considerare più naturali gli alimenti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale; allo stesso modo, agli occhi del consumatore i cambiamenti chimici e i processi di manipolazione ridurrebbero la naturalità di un prodotto.

A questa preferenza si contrappone un interesse crescente verso le innovazioni e la modernità, nei confronti del quale il settore agroalimentare sta rispondendo facendo ricorso ad alcune tecnologie molto innovative, come le biotecnologie.

34 Le imprese provano a rispondere ad ambedue le tipologie di domande, cercando di rendere il prodotto finale compatibile con entrambe, arricchendolo di valori simbolici in grado di dare una risposta alla domanda di significati dei consumatori. Cicia et al. (2012), adottando i risultati dei lavori di Rozin et al. (2012) e di Mintel (2009), riflettono sul valore positivo che viene attribuito all’aggettivo “naturale”, soprattutto quando legato al cibo. Spesso viene utilizzato tale aggettivo per contrappore determinati prodotti a quelli in cui si è fatto uso di ingegneria genetica. L’adozione di “naturale” nell’etichettatura di prodotti è aumentata progressivamente negli anni, così come nei testi pubblicitari di tutto il mondo, insieme ai termini “sano” e “puro”.

Se da una parte il termine “naturale” viene contrapposto alle innovazioni, dall’altra l’uso che si fa di tale aggettivo e di tutti gli aspetti simbolici ad esso collegati ha spesso la finalità di rendere più attraenti prodotti che fanno proprio uso di queste nuove tecniche produttive, non solo utilizzando direttamente la parola ma andando a modificare il packaging e i testi pubblicitari con il fine di evocare gli aspetti della naturalità.