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2.2 Una panoramica a livello globale

2.3.2 La Corea del Sud

modo da mitigare così i rischi a livello normativo. Anche gli exchange hanno cambiato giurisdizione, infatti Huobi, che un tempo era uno degli exchange di criptovalute più grandi al mondo, si è trasferito dalla Cina per avviare operazioni in Giappone.

Le decisioni delle autorità hanno quindi depresso tale mercato, basti notare che a settembre del 2017, nel giro di un paio di settimane, il prezzo del bitcoin crollò di circa $1.500, secondo i dati forniti da coindesk.com. Parte del motivo della forte caduta è da imputarsi all’inizio della politica ostile del Paese, il quale era il principale motore di tale fenomeno. Fino a poco tempo prima infatti il mercato cinese aveva rappresentato quasi la totalità del volume degli scambi globali di bitcoin. Ora invece, come si vedrà nel prosieguo del capitolo, gli scambi sono decisamente più distribuiti nel mondo ed in particolare, con il crollo della Cina, è il Giappone ad aver acquisito maggior centralità.

2.3.2 La Corea del Sud

Il Paese è un altro importante mercato per il bitcoin. Anche in Corea del Sud le criptovalute non hanno corso legale, mentre gli exchange, seppur legali, sono attentamente monitorati dal punto di vista normativo. È infatti prevista un’autorizzazione e la registrazione presso la Financial Supervisory Services (FSS), il regolatore finanziario del Paese, che opera sotto la supervisione della Financial Services

Commission. Sebbene girassero voci su una possibile chiusura del Paese nei confronti del

fenomeno, essa non si è mai materializzata, tuttavia la regolamentazione si è fatta sicuramente più stringente.

A fine dicembre del 2017 la Financial Services Commission, per limitare le speculazioni, vietò agli exchange di emettere nuovi account di trading con una conseguente caduta importante del prezzo del bitcoin. Successivamente, a gennaio del 2018, il Paese passò a vietare l’anonimato degli account. Infatti, dal momento che gran parte del trading avveniva in modo anonimo, il governo sudcoreano introdusse una regola secondo la quale gli utenti per negoziare criptovalute avrebbero dovuto usare conti bancari con nomi reali e, di conseguenza, il trading anonimo non sarebbe stato più permesso (Cheng & Ming, 2017). Vennero inoltre imposti obblighi di segnalazione più rigorosi alle banche con account collegati agli exchange, le quali avrebbero dovuto denunciare qualsiasi attività finanziaria sospetta. Infatti, oltre ai timori per l’elevata speculazione attorno a

questo mercato, la principale preoccupazione delle autorità era legata ad un possibile utilizzo di questi strumenti per attività illegali come il riciclaggio di denaro.

Sempre ad inizio gennaio del 2018, proprio sulla scia delle critiche globali per i possibili rischi legati ad attività criminali, il Paese aggiunse che stava anche valutando la possibilità di chiudere gli exchange di valuta digitale, andando così a vietare definitivamente il trading di criptovalute. Tale dichiarazione impattò negativamente sul bitcoin facendogli perdere ulteriormente valore, tuttavia il divieto non si materializzò.

Infatti, in seguito ad una petizione da parte di molti sudcoreani, il governo ritornò sui

suoi passi comunicando che non si sarebbe spinto fino al punto di chiudere tali piattaforme, sebbene le visioni fossero molto differenti e contrastanti.

Ad ogni modo il Paese, con le regole introdotte finora, ha chiarito la sua posizione. Oltre a permettere agli exchange di avere solamente clienti che utilizzano conti bancari con nomi reali, si richiede a tali piattaforme, ad esempio, di avere conti separati per gestire il denaro dei clienti e le proprie spese operative. Vi sono inoltre altre regole, come il fatto che gli exchange devono avere contratti con le banche per quanto riguarda il trading di valute virtuali e gli istituti di credito devono esaminare i sistemi di gestione e di sicurezza informatica di tali piattaforme prima di firmare il contratto (Staff of Global Legal Research Directorate, 2018). Tutto ciò per ridurre al minimo gli “effetti collaterali” legati alle criptovalute come il riciclaggio e l'evasione fiscale.

Il 20 febbraio del 2018, il direttore del Financial Supervisory Service, Choe Heung-sik, affermò che il governo intendeva sostenere il "normale" trading di criptovalute ed incoraggiò le istituzioni finanziarie a facilitare le transazioni con gli exchange, portando ad una ripresa di prezzo del bitcoin (Staff of Global Legal Research Directorate, 2018). In seguito la FSC venne riorganizzata per creare una nuova divisione chiamata Financial

Innovation Bureau, incaricata di promuovere iniziative per l'innovazione finanziaria,

includendo anche nuovi sviluppi in ambito di valute digitali.

Per quanto riguarda la tassazione del bitcoin (e degli altcoins in generale) la questione non è chiara: dal momento che non sono considerate né valute né asset finanziari, le transazioni di criptovaluta sono attualmente esenti da tassazione, sebbene si stia pianificando un futuro quadro fiscale.

Lontana dal chiudere le porte al fenomeno, la Corea del Sud sta ora cercando di portare il nuovo mercato sul piano normativo.

2.3.3 Il Giappone Mentre da un lato la Cina ha dato una stretta al fenomeno, il Giappone, dall’altro, ha colto l'opportunità di assumere un ruolo guida introducendo una politica “accomodante” per le criptovalute. Il Paese ha infatti uno dei regimi normativi più progressisti al mondo: riconosce il bitcoin come valuta e mezzo di pagamento legale ed inoltre è ugualmente progressista anche la regolamentazione degli exchange, i quali sono legali nel territorio. Dopo il caso Mt.Gox, uno dei maggiori exchange di bitcoin con sede a Tokyo che nel 2014 denunciò il furto di circa 850.000 bitcoin (750.000 dei suoi utenti, 100.000 propri dell’exchange) e dichiarò il fallimento, il governo giapponese iniziò a sviluppare nuove regolamentazioni a riguardo ed intensificò gli sforzi per regolare il trading su tali piattaforme. Un gruppo di studio ed un gruppo di lavoro furono istituiti nel 2014 e nel 2015 all’interno della Financial Services Agency (FSA), il regolatore finanziario del Paese. Essi raccomandarono l'introduzione di un sistema di registrazione per tali operatori, suggerirono di rendere le transazioni di criptovaluta soggette alle normative sul riciclaggio di denaro nonché di introdurre un sistema per proteggere gli utenti.

Conseguentemente venne presentata al Parlamento giapponese una proposta di legge per modificare la Payment Services Act e la legge venne modificata nel 2016 con le modifiche che entrarono in vigore il primo aprile del 2017.

Nel Paese gli exchange sono dunque regolati da questa legge, la quale conferisce all’FSA poteri di controllo. Essi devono, tra le altre cose, essere autorizzati e registrarsi presso l’autorità per poter operare; ciò implica che devono mantenere adeguatamente i registri contabili delle transazioni e tutta la documentazione necessaria, adottare misure di sicurezza per proteggere le informazioni, costruire un forte sistema informatico nonché adottare misure per tutelare i clienti e gli investitori da frodi ed altri abusi supportando al contempo l’innovazione finanziaria. Inoltre, con l’appena citata modifica di legge, anche gli exchange sono diventati soggetti alle norme sul riciclaggio di denaro, con l’obbligo di controllare e verificare le identità degli utenti che aprono un account e comunicare alle autorità eventuali transazioni sospette.

La registrazione di tali operatori pone quindi tutta una serie di condizioni e requisiti, sia in merito alla sicurezza informatica sia in ambito di verifica dei clienti. Tali requisiti devono essere ottemperati, anche perché l’FSA è autorizzata, se necessario, ad effettuare ispezioni al fine di garantire una corretta condotta e può inoltre revocare la

registrazione o sospendere l’attività fino a sei mesi se, ad esempio, l'attività dell’exchange non soddisfa più uno dei requisiti.

Nel 2017, sempre grazie a tale modifica normativa, il Giappone consentì ai commercianti di accettare legalmente il bitcoin come metodo di pagamento, riconoscendolo come valuta legale. Il fatto fu accolto in maniera decisamente positiva, infatti, sebbene la criptovaluta avesse risentito negativamente dei dibattiti circa il suo futuro, il supporto del Giappone apportò nuova fiducia. Nel momento in cui il Paese passò la legge che legalizzava e legittimava il bitcoin come mezzo di pagamento, il suo valore salì di $100 in una sola settimana e superò quota $1200, arrivando a valori mai visti da metà marzo 2017. La capitalizzazione di mercato salì in quella settimana di oltre $1 mld, da 18.34 mld a 19.5 mld, secondo i dati forniti da coinmarketcap.com.

Mentre da un lato la Cina voltava le spalle alle valute virtuali e ne deprimeva il mercato, dall’altro il Giappone, anche grazie alla Payment Services Act, stava invece diventando rapidamente l’epicentro e la forza trainante del bitcoin.

A settembre del 2017 l’FSA riconobbe una serie di exchange come operatori registrati e

legali ed una di queste società era bitFlyer, con più di 800.000 utenti, la quale fu

entusiasta dell’apertura dell’autorità e delle nuove regole che rendevano il Giappone protagonista nel mercato del bitcoin.

In seguito purtroppo si verificarono una serie di attacchi hacker. A gennaio del 2018 all’exchange Coincheck, uno dei più grandi exchange giapponesi, furono rubate criptovalute NEM per un valore di oltre $500 mln (Cheng, 2018). Quest’attacco hacker seguiva la notizia di un exchange sudcoreano chiamato Youbit, il quale verso fine dicembre del 2017 perse il 17% dei suoi asset digitali. Come in ogni attacco hacker, tali eventi causarono effetti negativi a cascata un po’ su tutte le valute virtuali, compreso il

bitcoin. L'FSA, in seguito alla richiesta di migliorare i sistemi di gestione dei rischi, emise

sanzioni nei confronti di divere piattaforme, fino a costringere alcune di esse ad

interrompere l’attività.

Le regole previste dalla Payment Services Act non coprono le ICO e di conseguenza, a marzo del 2018, l’FSA istituì un nuovo gruppo di ricerca appoggiato dal governo con lo scopo di discutere, tra le altre cose, la regolamentazione di tale attività e presentare delle proposte a riguardo. A tal proposito Hagiwara e Nakamura (2018) scrivono di come il Giappone si stia dimostrando ICO-friendly e si stia muovendo verso la legalizzazione di tali operazioni, al contrario della Cina.

Il gruppo di ricerca ha indicato delle linee guida in termini di Initial Coin Offerings, proponendo regole per identificare gli investitori, prevenire il riciclaggio di denaro, seguire i progressi dei progetti e stabilire chiaramente in che modo i fondi raccolti, i profitti e gli asset saranno distribuiti tra proprietari di token, equity e debito.

Il Giappone dunque sta ancora analizzando il giusto modo per regolamentare le criptovalute e la tecnologia blockchain, tuttavia il Paese si sta dimostrando favorevole a tali innovazioni e resta aperto nei confronti del fenomeno, con l’obiettivo di sviluppi futuri a livello normativo per tutelare i consumatori ed il sistema finanziario.