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La cultura del dono

MODALITA’ E CONSENSO

1. La cultura del dono

Ma qual è il significato della parola dono? Bisognerebbe fare una riflessione sull’etica del dono. Il dono nel suo significato più profondo è basato su due principi fondamentali: è volontario ed è gratuito. Il dono non è baratto, doniamo senza riceve- re nulla in cambio. Un dono diverso dal comune è sicuramente donare organi, tessuti, cellule, donarli a un malato di cui non conosciamo il suo nome.

Molteplici e complessi sono i percorsi del dono che troviamo durante la nostra vita. A partire dalla nascita che è considerata un dono.

La cultura del dono dev’essere seguita da un’attenta analisi che approderà al princi- pio di gratuità. La gratuità si confronterà con un’altra parola, “la solidarietà”. A que- sto punto la riflessione semantica si fonderà su tre termini: dono, solidarietà e gratui- tà.

Iniziando questa analisi si rilevano ambiguità espressive di origine semantica che rappresentano un ostacolo alla completa comprensione della situazione presente. Ad esempio l’associazione tra solidarietà e assistenzialismo, solidarietà corporativa e solidarismo caritatevole, lo stesso usare il termine solidarismo e non solidarietà, in- carna una versione debole della cultura del dono, spostando se non addirittura cam- biando il significato del principio della cultura del dono.

Solidarietà e gratuità sembrano vivere in simbiosi, o almeno in condizioni di rispec- chiamento. La realizzazione piena della logica della solidarietà può determinare un incontro con il principio della gratuità. In altri termini, ci sono delle situazioni nelle quali la solidarietà per essere davvero tale dev’essere connotata dalla gratuità. Si può dire, allora, che nella gratuità si esprime il massimo della solidarietà, come per e- sempio per la donazione e il trapianto d’organi, dove la regola giuridica stabilisce un

anonimato bilaterale, e il dono si trasforma in manifestazione di solidarietà verso tut- ta l’umanità sofferente.

Nel 1950, con l’epidemia di poliomielite in Danimarca, presso la Facoltà di Medicina di Copenhagen viene creato il respiratore artificiale.

A distanza di 40 anni dal rapporto dell’“Ad Hoc Commettee“ dell’ Harvard Medical School, (era il 1968) i trapianti d’organo sollevano ancora grandi discussioni sulle più importanti tematiche riguardanti la vita, la morte ed i loro confini. Il rapporto, frutto di un lavoro rigoroso e congiunto di medici, scienziati, uomini di legge e teo- logi, stabiliva una nuova concezione di morte che non si identificava più con l’arresto dell’attività cardiaca bensì con l’elettroencefalogramma piatto, vale a dire con la morte cerebrale. Non più sulla fine dell'attività del cuore, ma su quella del cer- vello.

Un grande passo in avanti che, negli ultimi decenni, ha permesso di salvare da morte certa milioni di persone in tutto il mondo grazie al trapianto di organi e tessuti. C’è però chi ancora oggi pensa che non è poi così certo che la morte cerebrale corrispon- da alla reale cessazione della vita.

“Come può un cuore che batte, un organismo che continua ad essere vivo e che, pur assistito in modo intensivo, riesce anche a portare a termine una gravidanza, definirsi morto, senza più vita?”

Nel 2008, in sintesi è questa la domanda che si è posta la storica cattolica Lucetta Scaraffia, la storica (non la scienziata)e lo ha fatto attraverso il suo editoriale sul quo- tidiano della Santa Sede “L’Osservatore Romano“ e poco importa se il Vaticano ha subito chiarito che la sua posizione rimaneva invariata rispetto a 40 anni or sono, il 1968 quando il rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte, basandola non più sull'arresto cardio-circolatorio, ma sull'encefalogramma piatto non più sulla fine dell'attività del cuore, ma su quella del cervello.

L’articolo ha sollevato molti timori nella comunità, suscitando il dubbio che getta le basi per l’aumento delle opposizioni.

"Temo - aveva detto allora Ignazio Marino, luminare del settore con un'esperienza di oltre 600 trapianti di fegato - che in futuro ci saranno rischi per i trapianti". E che o- ra, da credente oltre che da medico, aggiunge: "Bisogna fare molta attenzione a non tornare indietro. Se si suscita il dubbio, è chiaro che si gettano le basi per l'aumento delle opposizioni

Ragionare sulla vita e la morte, farlo soprattutto nelle condizioni drammatiche in cui sono costretti a farlo i familiari dei donatori, non è immaginabile quando si è distrutti dal dolore per la perdita. Dovrebbe essere un tema sul quale si siano maturate delle convinzioni a freddo, in modo razionale, in un momento lontano dal dramma, aiutati da campagne costruite su valide basi scientifiche. La legge sui trapianti non è stata portata a completa attuazione, partiva dal presupposto che dovesse valere la volontà del diretto interessato e invece vige ancora il sistema che devono essere interpellati i familiari.

Il seme del dubbio è stato ancora una volta gettato su un terreno reso in questi ultimi tempi ancora più fertile per la morte cerebrale. Perché si ha la convinzione che le te- rapie siano sempre più risolutive, quindi sempre più difficile morire.

Non solamente la Scaraffia rende indecisi gli italiani, Adriano Celentano, circa otto anni fa durante una trasmissione televisiva in prima serata su Rai 1, gettava ombre sulla donazione di organi prelevati da cadavere sostenendo che non era poi così sicu- ro che il donatore al momento del prelievo fosse realmente morto. L’affermazione scatenò una reazione molto accesa da parte di chi queste cose le aveva sempre pensa- te e da parte di chi le aveva comprese grazie all’evidenza scientifica della moderna medicina.

Notizie, queste, che rischiano di danneggiare la cultura della donazione che è una cultura d’amore verso il prossimo tra le più grandi e nella quale non vi è nessuna al- tra volontà se non quella di salvare vite umane da morte certa, nel massimo rispetto di chi dona. Questo concetto è stato ribadito recentemente da Papa Benedetto XVI in un incontro con i partecipanti al Congresso sulla Donazione di Organi promosso dal- la Pontificia Accademia per la Vita: ”L’atto d’amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita".

Lo spirito solidaristico del dono, mistificando il rispetto della vita e della sacralità del corpo umano, con la perdita definitiva del coinvolgimento emotivo che permea il processo della donazione.

Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destina- tario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza d’amore che deve suscitare una risposta al- trettanto generosa, così da incrementare la cultura del dono e della gratuità... la via maestra da seguire - ha concluso Benedetto XVI - fino a quando la Scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazio- ne e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nes- suno.

Vale la pena ricordare che, grazie alla donazione d’organi, in tutto il mondo negli ul- timi 50 anni86 sono stati eseguiti circa 550.000 trapianti di rene, 120.000 trapianti di fegato, 70.000 di cuore e decine di migliaia fra trapianti di polmone, di pancreas e di rene e pancreas insieme. Organi donati a persone che altrimenti sarebbero morte o sopravvissute malamente in dialisi (durata 4 ore, frequenza 3 giorni a settimana: 4 settimane al mese, 12 mesi all’anno).

Nel nostro Paese, le persone in lista d’attesa per ricevere un trapianto d’ organo sono più di 10.000. Di questi, arrivano al trapianto circa 3.500. Gli altri rimangono in lista d’attesa e così, aspettando, circa 3 persone al giorno muoiono e gli altri continuano a sperare nell’ organo miracoloso per tornare a vivere di nuovo. Perché è proprio così: chi ha la fortuna o la buona sorte di ricevere l’organo al momento giusto, torna a vi- vere. I trapiantati lavorano, viaggiano, fanno sport. I soggetti in età fertile possono avere figli, le giovani donne trapiantate possono portare a termine una gravidanza. Ecco perché la cultura della donazione diventa fondamentale in un Paese civile.