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La curva di accettazione individuale del cambiamento

CAPITOLO II- Guidare il cambiamento attraverso la Leadership

2.5 Motivi del fallimento del cambiamento

2.5.1 La curva di accettazione individuale del cambiamento

Conoscere e comprendere la curva del cambiamento può aiutare i manager a guidare le persone aiutandole a superare con successo le difficoltà. “ La curva del cambiamento rappresenta il processo

psicologico sperimentato dagli individui durante un cambiamento significativo.79 I leader si

occupano di costruire un senso di impegno comune a livello dell’intera organizzazione, facendo attraversare ai dipendenti i tre stadi del processo di sviluppo dell’impegno nei confronti del cambiamento: la preparazione, dove i dipendenti conoscono il cambiamento attraverso promemoria, riunioni, discorsi ufficiali e si rendono conto che il cambiamento influirà sul loro lavoro; l’ accettazione, dove i leader dovrebbero aiutare i dipendenti a sviluppare una comprensione dell’impatto complessivo del cambiamento e dei risultati positivi che possono derivare dalla sua realizzazione; lo sviluppo del senso di impegno comune, che prevede le fasi di insediamento, un processo di prova del cambiamento, che dà ai leader l’opportunità di discutere i problemi dei dipendenti e di costruire una motivazione verso l’azione concreta, e di istituzionalizzazione, dove i dipendenti vedono il cambiamento non come qualcosa di nuovo, ma come parte normale delle attività organizzative. Il cambiamento deve essere gestito affinché siano minimizzati il periodo di caduta

delle performance (ampiezza) e il livello (profondità).80

Figura 1 Curva di accettazione individuale del cambiamento. Nella curva possiamo distinguere alcune fasi: la negazione e la resistenza, all’interno delle quali gli individui prendono coscienza delle difficoltà e delle complessità del cambiamento; la fase della rassegnazione; e infine, l’accettazione e l’integrazione, fasi importanti in cui si giunge a un diffuso apprezzamento dei risultati positivi del cambiamento. Fonte: Richard L. Daft

79 Daft R. Organizzazione aziendale, trad.it. 2013, op.cit. 80 Daft R., trad.it. 2013, op.cit.

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Per esempio, consapevole della necessità di modificare le procedure operative della sua unità, un manager avvia il cambiamento aspettandosi un’attuazione rapida e un risultato positivo. Con il passare del tempo, le persone faticano ad adottare atteggiamenti e comportamenti diversi. I dipendenti potrebbero domandarsi perché sono tenuti ad agire in maniera diversa rispetto al passato, il supervisore potrebbe sentirsi oberato di lavoro e frustrato e tutti potrebbero disperare, dubitando che il cambiamento sia davvero realizzabile. Le difficoltà di applicazione delle nuove procedure e la resistenza al cambiamento potrebbero incidere molto negativamente sulle performance. I leader in grado di gestire il cambiamento guidano le persone in questa fase di disperazione, anziché lasciare che il tentativo vada a monte: con una leadership del cambiamento efficace si può fare in modo che le novità prendano piede e conducano a un miglioramento della performance e quindi a vedere la luce alla fine del tunnel, cioè giungere a un diffuso apprezzamento dei risultati positivi del cambiamento. Avere una visione comunicata con chiarezza, improntata alla flessibilità e all’apertura nei confronti di nuove idee, metodi e stili pone le basi per un’organizzazione orientata al cambiamento e aiuta i dipendenti ad affrontare il caos e la tensione associati a quest’ultimo. Una delle sfide per i manager è guidare le loro organizzazioni verso il futuro attraverso l’implementazione di cambiamenti organizzativi pianificati intesi come interventi che, modificando il funzionamento dell’organizzazione, determinano risultati migliori. Guidare, gestire e implementare il cambiamento con successo, sia esso individuale, di gruppo o del sistema totale è allo stesso tempo difficile, emozionante, preoccupante, faticoso e soddisfacente. L’implementazione del cambiamento si deve focalizzare sull’analisi dell’organizzazione, della struttura, dei comportamenti, delle modalità interne

all’organizzazione e del contesto nel quale l’organizzazione opera.” 81

Il ritmo del cambiamento all’interno delle organizzazioni ha fatto registrare una straordinaria accelerazione negli ultimi due decenni. Un numero crescente di organizzazioni saranno in futuro spinte a ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi, individuare nuove opportunità di crescita e incrementare la produttività. Ma in troppe situazioni i miglioramenti si sono rilevati deludenti e gli esiti sono stati disastrosi: risorse sprecate o bruciate, dipendenti intimiditi o frustrati. Entro certi limiti, gli aspetti negativi del cambiamento sono inevitabili. Là dove le comunità umane sono costrette ad adattarsi a condizioni mutevoli, il disagio è sempre presente.

2.5.2 Gli errori che ostacolano il cambiamento secondo il modello di Kotter

Nel 1996, John P. Kotter, autore, educatore, consulente di gestione e studioso americano, pubblicò il suo best seller “Leading change” dove affermò che il 70% dei tentativi di cambiamento fallisce.

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Kotter nel testo ricorda che la “stabilità non è più la norma” e “gli errori che le aziende e i loro manager commettono per promuovere fattivamente il cambiamento e realizzarlo sono spesso eliminabili o mitigabili attraverso il binomio consapevolezza- capacità”. Kotter analizza e sintetizza in 8 comuni errori le cause che rendono difficile o addirittura impossibile il cambiamento.

 Errore n.1: troppa acquiescenza

Secondo Kotter è l’errore più grave che si può commettere quando si cerca di cambiare un’organizzazione e cioè quello di avanzare a testa bassa, senza rendere gli altri manager e i dipendenti consapevoli dell’urgenza del cambiamento. Questo errore riesce fatale, poiché quando vi è troppa acquiescenza non si riesce mai a raggiungere gli obiettivi della trasformazione. Alcuni manager, purché persone intelligenti, non riescono a creare un sufficiente senso di urgenza all’inizio di una ristrutturazione aziendale per molte ragioni: da un lato, sopravvalutano la loro capacità di imporre profondi cambiamenti all’organizzazione; dall’altro, sottovalutano la difficoltà di convincere la gente a rinunciare alle proprie rassicurazioni. Non si rendono conto che con il proprio comportamento possono inavvertitamente rafforzare la situazione in essere. Fatto ancor più grave, confondono l’urgenza con l’ansia e, alimentando quest’ultima, spingono il personale a chiudersi ancor più nel suo guscio e rafforzano ulteriormente la resistenza al cambiamento. Se oggi nelle organizzazioni prevalesse un basso livello di acquiescenza, questo problema avrebbe scarsa importanza. Ma la realtà è molto diversa: senza la consapevolezza dell’urgenza non si compie quello sforzo eccezionale che è indispensabile; di conseguenza, il reengineering si arena, le nuove strategie non vengono applicate correttamente, le acquisizioni non vengono assimilate e i programmi per la qualità si riducono sostanzialmente a meri discorsi burocratici di facciata;

 Errore n.2: non si riesce a creare un gruppo di governo abbastanza potente

Si afferma spesso che il cambiamento è impossibile, se non è sostenuto attivamente dal vertice dell’organizzazione. Le iniziative di cambiamento che non siano sorrette da una potente coalizione di governo possono realizzare temporaneamente qualche apparente progresso ma prima o poi qualche forza contraria verrà a minare tali iniziative. L’insuccesso si verifica perché si sottovaluta la difficoltà di determinare il cambiamento e, quindi, l’importanza di una forte coalizione di governo. Le coalizioni di governo prive di una forte leadership assicurata dalla line non dispongano del potere necessario per prevalere sulle cause dell’inerzia, spesso potenti;  Errore n.3: sottovalutare il potere della visione

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La consapevolezza dell’urgenza e una forte squadra di governo sono condizioni necessarie ma non sufficienti per un cambiamento di fondo. Fra i restanti elementi che sono sempre presenti nelle trasformazioni riuscite, nessuno risulta più importante di una visione sensata e comprensibile. La visione svolge un ruolo chiave nel determinare un utile cambiamento in quanto contribuisce a guidare, allineare e suggerire scelte e comportamenti. In assenza di una visione appropriata, un’iniziativa di trasformazione può facilmente dissolversi in un insieme di progetti fra loro incompatibili, fonte di confusione e perdita di tempo, che vanno nella direzione sbagliata. Senza una visione che governi il processo decisionale, qualsiasi scelta a cui i dipendenti si trovino di fronte può dissolversi in un dibattito interminabile;

 Errore n.4: la comunicazione della visione è gravemente insufficiente

Di regola i grandi cambiamenti sono impossibili, se i dipendenti non sono disposti a fare la loro parte, spesso fino al punto di sopportare dei sacrifici nell’immediato. Ma nessuno fa dei sacrifici, se non giudica allettanti i potenziali benefici del cambiamento e non crede alla sua possibilità. Senza una comunicazione credibile, e in dosi massicce, non si toccano il cuore e la mente delle persone. Vi sono tre tipi di comunicazione inefficace: nel primo tipo, un gruppo sviluppa una valida visione della trasformazione e procede a illustrarla sporadicamente, mediante qualche riunione o qualche promemoria; nel secondo tipo, il capo dell’organizzazione dedica molto tempo alle discussioni con i vari gruppi di dipendenti, ma la maggior parte dei suoi manager rimane praticamente silenziosa; nel terzo tipo, si fa molto uso di notiziari e discorsi, ma alcuni individui al centro dell’attenzione continuano a comportarsi in modi antitetici alla visione, col risultato che fra i dipendenti si diffondono scetticismo e sfiducia nel nuovo messaggio. In genere, sono i fatti la forma più potente di comunicazione;

 Errore n.5: lasciare che qualche ostacolo blocchi la nuova visione

La realizzazione di un grande cambiamento richiede una vasta collaborazione. Le nuove iniziative falliscono troppo spesso perché i dipendenti, anche se partecipi della nuova visione, si sentono impotenti di fronte a gravi ostacoli. A volte i blocchi esistono soltanto nella loro testa e allora bisogna convincerli che non vi sono barriere esterne. In molti casi quei blocchi sono del tutto reali. Ogniqualvolta delle persone, sia pur intelligenti e ben intenzionate, rifiutano di affrontare gli ostacoli, si disarmano i dipendenti e si minano alle fondamenta le possibilità di cambiamento;

 Errore n.6: non riuscire a ottenere qualche successo in breve termine

Le trasformazioni reali richiedono molto tempo. I complessi sforzi volti a modificare le strategie o a ristrutturare le imprese rischiano di perdere slancio, se non vi sono traguardi ravvicinati da superare

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e festeggiare. In assenza di successi a breve termine (nell’arco di 16/18 mesi), troppi dipendenti rinunciano o vanno ad aggiungersi agli oppositori del cambiamento. Quando diviene chiaro che i progetti per la qualità o le iniziative di cambiamento culturale richiederanno molto tempo, di regola il senso d’urgenza del cambiamento si attenua; in tal caso l’impegno a conseguire successi in tempi brevi può servire a moderare l’acquiescenza e a incoraggiare una propensione alla valutazione analitica che può chiarire una visione di trasformazione o spingere a rivederla;

 Errore n.7: cantare vittoria troppo presto

Dopo qualche anno di duro lavoro a un grande progetto di cambiamento, si può essere tentati di cantare vittoria ai primi importanti successi. In genere, pensare che il lavoro sia quasi finito è un errore gravissimo: finché i cambiamenti non si sono profondamente radicati nella cultura dell’intera organizzazione, il che può richiedere da tra a dieci anni, i nuovi approcci sono fragili e soggetti a regredire. Solitamente i problemi sorgono nelle prime fasi del processo: la consapevolezza dell’urgenza non è sufficiente, la coalizione di governo non è abbastanza forte, la visione non è abbastanza chiara. Ma una celebrazione prematura della vittoria toglie tutto lo slancio all’iniziativa;

 Errore n.8: trascurare di ancorare saldamente i cambiamenti alla cultura aziendale

In ultima analisi il cambiamento tiene soltanto quando diviene un tratto essenziale dell’unità di lavoro o dell’organizzazione. Finché non si radicano i nuovi comportamenti nelle norme e nei valori comuni all’organizzazione, essi sono sempre soggetti a degradarsi non appena vengono meno le pressioni per il cambiamento. Sono due i fattori che rivestono importanza nell’assimilazione di approcci nuovi da parte della cultura dell’organizzazione: il primo è lo sforzo deliberato volto a mostrare come determinati comportamenti e abitudini abbiano contribuito a migliorare le prestazioni. Quando vengono lasciati soli a trarre le proprie conclusioni, come accade di frequente, gli individui possono fare delle associazioni erronee; per l’assimilazione del cambiamento è altresì indispensabile fare in modo che i manager della generazione successiva impersonino fedelmente il nuovo approccio. Se non si rivedono i criteri di promozione, altro errore frequente, le trasformazioni raramente durano. La cattiva scelta di un successore al vertice dell’organizzazione può pregiudicare un decennio di duro

lavoro.”82

Tutti gli otto errori comuni alle operazioni di trasformazione possono avere serie conseguenze. Questi errori non sono inevitabili. La consapevolezza e la competenza nell’affrontarli possono consentire di evitarli o quanto meno di attenuarne fortemente le conseguenze. “Per riuscirvi è essenziale, conclude Kotter, capire perché le organizzazioni si oppongono a cambiamenti necessari, qual è esattamente il

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processo in più stadi che può superare quell’inerzia distruttiva e, soprattutto, comprendere che una valida leadership di quel processo non si esaurisce in un buon stile di direzione.” La gestione del cambiamento richiede al vertice strategico da un lato uno spiccato orientamento agli obiettivi e alla fase di pianificazione, dall’altro la capacità di coinvolgere il personale, in quanto ogni cambiamento richiede una trasformazione culturale che deve essere assimilata dall’organizzazione attraverso la predisposizione di adeguati percorsi di partecipazione e di formazione.

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CAPITOLO III- Al cuore del cambiamento: le risorse

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