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La definizione atecnica di “presunzione” di conformità

5. Il giudizio di conformità

5.1. La definizione atecnica di “presunzione” di conformità

L’art. 129 cod. cons. potrebbe indurre a ritenere che la norma introduca una presunzione legale e, conseguentemente, influisca sulla ripartizione dell’onere della prova circa la presenza di un difetto di conformità.

In realtà non sembra che possa correttamente parlarsi, in tal caso, di presunzioni legali in senso tecnico, le quali secondo l’art. 2728 c.c. “dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali sono stabilite”.

La presunzione legale richiederebbe infatti che, per effetto della disposizione in esame, si verificasse un’inversione dell’onere della prova con riferimento al fatto presunto (conformità del bene al contratto) rispetto alla regola generale enunciata dall’art. 2697 c.c., mentre in realtà così non accade.

Inoltre, come già in altre direttive, non è stata disciplinata una “conseguenza” che la legge “trae” da un fatto noto per risalire all’esistenza di un fatto ignorato (cfr. art. 2727 c.c.).

In questo caso il fatto ignorato dovrebbe essere la sussistenza di un difetto di conformità, mentre la norma in esame non disciplina questo aspetto bensì indica quale deve essere considerato — in mancanza di prova contraria — il contenuto del contratto e quindi le caratteristiche e le qualità che il bene venduto deve presentare per essere “conforme”.

Nonostante la terminologia adoperata, pertanto, non può parlarsi di una presunzione di mancanza di conformità del bene ma semmai di una presunzione di accordo contrattuale che presenti il contenuto indicato dalla norma.

L’onere di provare i vizi o i difetti di qualità, come più in generale l’onere di provare l’inesattezza dell’adempimento, grava secondo la regola generale anche in questo caso sul compratore, in quanto la difformità o l’inesattezza

previste dalla disposizione in esame, non per questo dovrebbe essere immediatamente considerato difforme dal contratto, dato che – contrariamente a quanto prevede la Convenzione di Vienna – oggetto della presunzione non è la difformità, ma la conformità della cosa al contratto, e di conseguenza il consumatore sarebbe gravato dell’onere di provare anche il fatto che in concreto la cosa stessa non presenti tali caratteristiche e pertanto diverga dalle previsioni contrattuali”.

dell’adempimento sono fatti costitutivi del diritto che viene fatto valere in giudizio154.

Ed anche nel caso di specie non si verifica, in virtù dell’art. 129, comma 2, “alcuna presunzione di difformità del bene consegnato rispetto al bene dovuto, tale da porre a carico del venditore l’onere di provare la conformità al contratto”155.

Si deve ritenere, dunque, in sintonia con l’orientamento dominante, che il legislatore comunitario con le c.d. presunzioni di conformità non abbia inteso dettare una disciplina relativa alla distribuzione dell’onere probatorio in merito alla conformità (o alla difformità) del bene rispetto al contratto, ma abbia in realtà inteso tipizzare i casi più frequenti di difformità, in un’ottica di integrazione del contenuto del contratto, nel senso che ad esso vengono ricondotte una serie di caratteristiche che – tranne espressa esclusione delle parti – il bene venduto deve presentare per essere considerato esente da difetti156.

154 Ma sul punto occorre considerare il recente revirement della Cassazione (Sez. Un. 13533/2001) ad avviso della quale nell’ipotesi di inesattezza dell’adempimento (nel cui ambito rientrerebbero le difformità qualitative e i vizi della cosa venduta), sul creditore (compratore nel caso della vendita di beni di consumo), in virtù del principi di riferibilità e vicinanza della prova, graverebbe un mero onere di allegazione dell’inesatto adempimento, mentre di converso il debitore-venditore dovrebbe provare l’esattezza dell’adempimento stesso.

155 V. MARICONDA, op. cit., 1101. Anche secondo S. PATTI, op. cit., 74-75, la prova della sussistenza del difetto di conformità dovrà essere data in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c.; in particolare secondo tale autore in caso di contestazione al momento della consegna sarà il venditore a dover dimostrare la conformità del bene, mentre il consumatore dovrà provare il difetto di conformità scoperto dopo la consegna. In tale ultima ipotesi peraltro il consumatore potrà avvalersi della presunzione (questa volta effettivamente si è in presenza di una presunzione relativa in senso tecnico) di cui all’art. 132, comma 3, cod. cons..

156 In tal senso Patti, op. ult. cit., 74, secondo il quale più che di presunzione di mancanza di conformità del bene al contratto, dovrebbe parlarsi di una presunzione di accordo contrattuale che presenti il contenuto individuato dall’art. 129, comma 2, indicando tale norma quale debba essere considerato – in mancanza di prova contraria – il contenuto del contratto. Secondo una parte della dottrina (A. ZACCARIA

– CCARE CRISTOFARO, La vendita di beni di consumo, Padova 2002, 43) i criteri integrativi di cui all’art. 129,

comma 2, cod. cons., interverrebbero quando le parti non abbiano, sia pure implicitamente, fornito alcuna descrizione contrattuale della cosa (sulla scorta della soluzione accolta in Germania dal § 434, comma 2, BGB, a tenore del quale i criteri legali intervengono quando il complesso delle qualità della cosa non è stato concordato). Osserva di contro Vecchi, op. cit., 181, che anche quando le parti abbiano ampliamente descritto le qualità della cosa oggetto del contratto, i criteri integrativi in esame interverrebbero comunque, posto che, ad esempio, “la previsione di tali qualità non esclude che la cosa debba essere idonea all’uso abituale di beni dello stesso tipo, o debba presentare anche le caratteristiche che hanno formato oggetto di descrizione da parte del venditore”. Resta salva peraltro, come si espliciterà in seguito, l’autonomia negoziale delle parti nel determinare l’oggetto del contratto eventualmente prevedendo, anche implicitamente, che il bene di consumo presenti qualità o caratteristiche difformi rispetto ai criteri legali di cui all’art. 129, comma 2.

Le c.d. “presunzioni di conformità” più che presunzioni in senso tecnico dovrebbero allora considerarsi norme integrative del contenuto del contratto (o suppletive, ove operanti in mancanza di esplicite previsioni contrattuali), ma anche in tale veste non può escludersi che esse presentino delle ricadute sul versante probatorio.

In virtù di tali “presunzioni”, come è stato recentemente osservato, il consumatore gode infatti di una disciplina di favore “poiché quest’ultimo non dovrà dimostrare che quanto previsto dall’art. 129 cod. cons. era stato contrattualmente concordato, mentre incombe sul venditore dimostrare che una o più delle caratteristiche indicate dalla norma erano state escluse dai contraenti”157.

La norma, in conclusione, svolge una funzione di tipo integrativo con riferimento al contenuto del contratto stipulato dalle parti.