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7. Il difetto di conformità derivante da imperfetta installazione.

1.2 I rimedi secondar

La nozione dei rimedi c.d. “secondari”, costituiti dalla riduzione del prezzo e dalla risoluzione del contratto, nel silenzio della normativa comunitaria, è ricavabile attraverso la lettura della Convenzione di Vienna ed delle legislazioni nazionali, sulle quali la direttiva è modellata.

1.2.1. La riduzione del prezzo

Per «riduzione del prezzo», allora, deve intendersi la diminuzione dell'entità della somma di denaro, che il consumatore si è contrattualmente impegnato a versare come corrispettivo della fornitura del bene di consumo, in misura proporzionale alla ridotta utilità che presenta il bene difettoso.

Circa l’entità della diminuzione del prezzo possono rinvenirsi utili indicazioni dalla dottrina sviluppatasi in materia di appalto, secondo la quale “(...) l’entità della diminuzione del prezzo (...) va compiuta confrontando il valore e il rendimento dell’opera eseguita con quelli che avrebbero potuto essere il valore e il rendimento

230 Così E. CORSO, op. cit., 116.

dell’opera pattuita. Questa valutazione (...) va compiuta in base a criteri obbiettivi, cioè con riguardo al valore e al rendimento dell’opera per la normalità delle persone, e non con criteri subiettivi, cioè con riguardo alla particolare situazione del committente, alle particolari ragioni che hanno spinto il committente a volere l'opera in quel modo, e al particolare uso che questi si riprometteva di farne. Deve, invece, farsi capo a queste considerazioni subiettive se sono state dedotte in contratto (...)”231.

Per quanto riguarda, poi, la cifra da ridurre, il fatto stesso che la legge parli di riduzione “del prezzo” mostra chiaramente che la riduzione va praticata sul prezzo (o valore contrattuale della cosa), e non sul valore corrente obbiettivo della cosa (cosiddetto valore di mercato) (...). Ad esempio, se il prezzo è di 1100 mentre il valore corrente di un'opera simile sarebbe 1000, si comincerà col calcolare, con criteri obiettivi, quale sia stata, a causa dei vizi, la diminuzione di valore dell'opera, cioè la differenza di valore tra l'opera eseguita e l'opera preventivata; se in questo modo si accerta che la diminuzione di valore è stata del 10% la riduzione sarà di 110 (10% di 1100), e non di 100 (10% di 1000)232.

Nello specifico settore della compravendita, invece, è stato sostenuto che “l’adeguamento deve corrispondere alla differenza di valore determinata dal vizio, in relazione al prezzo pattuito, non al prezzo corrente o ad un prezzo di stima, eventualmente diversi rispetto ad esso”233 e, ancora in dottrina, che “la misura della riduzione deve corrispondere alla differenza di valore determinata dal vizio: differenza, però, non rispetto al valore obiettivo, normale, della cosa, ma rispetto a quello contrattuale, cioè al prezzo originariamente pattuito»234.

231 Cfr., fra gli altri, D. RUBINO, L'appalto, Torino, 1954, 270 e ss..

232 In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., sez. I, 4 ottobre 1994, n. 8043, in Mass. giust. civ., 1994, 1184.

233 cfr. P. GRECO-G. COTTINO, Della Vendita, in Commentario del Codice civile, a cura di Scialoia e Branca,

Bologna-Roma, 1981, artt. 1490-1547, 270 e ss.. 234 D. RUBINO, La compravendita, op. cit., 812 e ss..

Secondo la giurisprudenza detta riduzione va apportata con una diminuzione del prezzo pattuito corrispondente alla percentuale di disvalore della cosa derivante dall’esistenza dei vizi 235.

L’esperimento del rimedio della riduzione del prezzo comporta la parziale estinzione dell'obbligazione pecuniaria gravante sul consumatore, il quale, a seconda dei casi, ha conseguentemente diritto di trattenere la relativa somma di denaro ovvero di pretenderne la restituzione.

1.2.2. la risoluzione del contratto

A seguito dell’esperimento dell’azione di risoluzione del contratto, invece, si determina lo scioglimento del rapporto instauratosi attraverso la stipulazione della vendita. La risoluzione estingue gli obblighi sorti reciprocamente tra le parti e comporta la restituzione di quanto si è ricevuto in esecuzione del negozio.

In particolare l'ultimo comma dell'art. 130, del Codice del consumo prevede che: “un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto”.

Il legislatore non ha specificato espressamente quando il difetto di conformità possa considerarsi “di lieve entità”: per evitare un'applicazione troppo restrittiva della norma, che si porrebbe in contrasto con la ratio di tutela alla base della direttiva comunitaria, è preferibile non richiamare, nel caso di specie, l’art. 25 della Convenzione di Vienna che, in materia analoga, fa riferimento al concetto di inadempimento “essenziale” del venditore, definendolo quale inadempimento che “causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che essa aveva diritto di aspettarsi dal contratto, a meno che la parte inadempiente non abbia previsto tale risultato, e che neanche una persona ragionevole della stessa qualità, nelle stese circostanze avrebbe potuto prevederlo”.

Il contenuto del concetto di “lieve entità” potrebbe ricavarsi tramite il richiamo alla previsione generale di cui all'art. 1455 c.c., in forza della quale il contratto non può risolversi quando l’inadempimento di una delle parti abbia “scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”.

Un’altra possibilità è quella di far riferimento al principio di ragionevolezza, espresso in via generale dalla stessa direttiva 1999/44/CE: in quest’ottica, per valutare l'entità del difetto, potrebbero assumere valore determinante tanto le aspettative del compratore sulla conformità del bene, quanto il suo affidamento nella correttezza del venditore236.

1.2.3. La risoluzione del contratto nell’ordinamento italiano

Nell'ordinamento italiano, in tema di appalto, si è affermato che «il committente può ottenere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1668, comma 2, c.c., solo quando le difformità ed i vizi, incidendo in modo notevole sulla struttura e funzionalità dell'opera, siano tali da rendere la stessa del tutto inidonea alla destinazione sua propria (...)”237.

In materia di compravendita, invece, il compratore ha la possibilità di scegliere alternativamente tra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo.

Secondo parte della giurisprudenza “in tema di garanzia della cosa venduta, qualora ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 1490 c.c. (inidoneità della cosa all'uso cui è destinata o apprezzabile diminuzione del suo valore), il compratore ha la facoltà di scegliere liberamente tra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, prescindendo dal minore o maggiore grado di gravità del vizio denunziato”238.

Altre pronunce hanno affermato che l'alternativa tra i rimedi “non viene meno per il fatto che detti vizi presentino gravità tale da escludere la possibilità di

236 Così R. FADDA, op. cit., 410 e ss. .

237 Cass. civ., sez. II, 4 novembre 1994, n. 9078, in Mass. giust. civ. 1994, fasc. 11. 238 Cfr. Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1995, n. 1153, in Mass. giust. civ., 1995, 250.

utilizzare il bene nella sua funzione tipica (...)”239.

Sulla possibilità di esperire, alternativamente, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, parte della dottrina ha affermato che “l’azione di garanzia ha un duplice contenuto alternativo, essendo rimessa al compratore la scelta fra il domandare la risoluzione del contratto — c.d. azione redhibitoria — ovvero la riduzione del prezzo — c.d. azione aestimatoria o quanti minoris” 240; ed ancora, secondo altra dottrina, “il compratore ha a sua disposizione, alternativamente, due rimedi: la risoluzione del contratto (l’actio redhibitoria dei romani) o la riduzione del prezzo (la vecchia actio quanti minoris o aestimatoria). Si tratta di uno dei tanti possibili casi di concorso alternativo tra due o più diritti. La risoluzione è più grave, ma per quanto riguarda il loro contenuto, le due azioni non stanno in un rapporto di maius ad minus: così sarebbe solo se il contenuto della quanti minoris fosse, semplicemente una parte del contenuto della redhibitoria; invece le due azioni hanno un contenuto ben distinto, in quanto l’una comporta lo scioglimento del rapporto contrattuale, mentre invece l'altra mantiene fermo il rapporto e mira solo ad ottenere una riduzione del corrispettivo (...). Di regola, il compratore può scegliere liberamente fra l’uno e l’altro rimedio, quale che sia l’entità del vizio, purché questo sia stato tale da far sorgere la garanzia. Per regola, quindi, ha diritto alla risoluzione anche se il vizio rende la cosa semplicemente meno idonea all’uso cui è destinata: il che si giustifica considerando che, in ipotesi, questa minore idoneità deve però essere “apprezzabile” (art. 1490, comma 1), sicché sostanzialmente viene rispettato anche ora il principio generale dell’art. 1455 (...). La scelta rimane integra e libera anche nel caso che sta all'estremo opposto, cioè di vizi che rendano la cosa assolutamente inidonea all’uso cui è destinata (...). Tuttavia, vi è un caso nel quale il compratore ha diritto solo alla riduzione del prezzo: ed è quando per quel determinato vizio gli usi escludono la risoluzione (art. 1492, comma 1) (...). Il compratore ha poi diritto alla riduzione del prezzo anche in una seconda ipotesi, nella quale, a differenza che

239 Cass. civ., sez. III, 21 agosto 1985, n. 4471, in Mass. giust. civ., 1985, fasc. 8-9. 240 cfr. P. GRECO-C. COTTINO, op. cit., 267

nella prima, acquista inizialmente il diritto anche alla risoluzione, ma poi lo perde nel successivo momento in cui si verifichi un determinato fatto. Di questa ipotesi la legge enuncia solo alcuni casi principali: che la cosa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore stesso, o che questi l’abbia alienata o trasformata (art. 1492 comma 3)”241.

1.3. Il significato dell’ espressione “senza spese”: la prima pronuncia della