2. L’IMPLEMENTAZIONE DEL PROTOCOLLO DI KYOTO
4.1. La dimensione globale del Protocollo di Kyoto
Abbiamo visto che a partire dalla metà anni ’80 inizio anni ’90 è sorta l’esigenza di introdurre un modello di sviluppo economico - sociale che prendesse atto delle capacità di carico dell’ecosistema di sostenere la crescita delle attività umane, venendosi così a delineare un nuovo modo di intendere la problematiche ambientali legandole indissolubilmente al concetto di “sviluppo sostenibile”.
Nel 1992 la Conferenza di Rio ha dato l’avvio ad un processo negoziale che ha visto l’adozione di quattro documenti: la Dichiarazione di Rio, l’Agenda 21, le Convenzioni sul clima e la biodiversità attraverso le quali si è introdotta a livello internazionale la consapevolezza della natura globale della gestione e tutela ambientale creando una rete di forum internazionali, agenzie, comitati scientifici orientati verso l’implementazione della sostenibilità dello sviluppo.
L’obiettivo della Convenzione è la stabilizzazione della concentrazione in atmosfera di anidride carbonica prodotta dall’impiego di combustibili fossili, ad un livello tale da impedire interferenze pericolose per il sistema climatico. Il perseguimento degli obiettivi della Convenzione non erano però giuridicamente vincolanti per gli Stati firmatari.
L’esigenza di individuare un accordo che invece obbligasse le Parti a rispettare gli impegni assunti si è realizzata solo con l’adozione del Protocollo di Kyoto nel 1997.
Il Protocollo impegna i paesi industrializzati a ridurre entro il periodo 2008-2012, di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990 le proprie emissioni di anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoro di zolfo; per entrare in vigore è stata necessaria ratifica di almeno 55 Paesi, tra i quali un numero di paesi sviluppati le cui emissioni rappresentassero almeno il 55% delle emissioni del 1990.
Per lungo tempo, tenuto conto del consolidato rifiuto di ratifica da parte degli Stati Uniti, e dell’annuncio della Russia, poche settimane prima della nona Conferenza delle Parti (tenutasi a Milano nel 2003) di non voler ratificare il Protocollo, si arrestavano a tempo indeterminato le aspettative di addivenire il prima possibile alla conclusione di un accordo a rilevanza globale, che per la prima volta ponesse come tema centrale la riduzione delle emissioni di gas serra; si gettavano pertanto le premesse del fallimento considerato, oramai ineluttabile, dell’intero assetto di iniziative internazionali volte a conseguire il contenimento degli effetti del cambiamento climatico.
Nel 2004 in occasione della decima conferenza delle parti tenutasi a Buenos Aires quelle pessimistiche previsioni furono scongiurate dalla nuova e risolutiva posizione della
Russia di voler dare seguito alla ratifica consentendo al Protocollo di Kyoto di poter entrare in vigore il 18 febbraio 2005 e di diventare, pertanto, vincolante per tutte le parti contraenti.
In tal senso si può considerare il Protocollo di Kyoto come il primo accordo ambientale globale ma anche uno dei più importanti accordi economici degli ultimi decenni.
Non sembra superfluo ricordare in questa sede come la scelta della Russia di ratificare il Protocollo sia stata determinata proprio dai concreti vantaggi economici derivanti dalla sua adesione.
Partecipando al mercato delle emissioni, riservato ai soli Stati aderenti, la Russia potrà vendere il proprio ingente quantitativo di emissioni disponibili (dovuto alla massiccia riduzione delle emissioni determinatasi con il crollo della propria economia dopo il 1990) a tutti gli Stati che rimarranno inadempienti agli obblighi di Kyoto (105).
Gli obiettivi del Protocollo consistono, infatti, da un lato, nell’ impellente necessità di impegnare i Paesi industrializzati, maggiori produttori di gas serra, a ridurre le proprie emissioni del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, e dall’altro, cercare di individuare strumenti economicamente meno onerosi per conseguire gli standard da esso indicati e non rallentare la crescita economica.
105
S. NESPOR, “Introduzione: il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore”, in Rivista Giuridica dell’Ambiente n. 1, 2005, p.2.
All’Europa è stato assegnato un onere di riduzione corrispondente all’8% delle sue emissioni rispetto al 1990, poi successivamente ripartito in seguito all’accordo di burden sharing tra i Paesi membri. L’accordo di ripartizione degli oneri ha dovuto tenere conto del livello di crescita economica, dell’efficienza del sistema energetico-produttivo, e della struttura industriale dei singoli Paesi membri.
All’Italia è stato assegnato un obiettivo di riduzione corrispondente al 6,5% rispetto ai livelli del 1990. E’ chiaro che gli obiettivi di Kyoto non sono raggiungibili senza rilevanti processi di innovazione tecnologica e organizzativa che costituiscono l’unica leva capace di evitare che la riduzione delle emissioni si traduca in una caduta dell’attività economica.
L’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Kyoto ha
seriamente compromesso la validità del Protocollo,
limitandone fortemente il conseguimento degli obiettivi ambientali, poiché la ripartizione degli oneri di riduzione, viene ad essere redistribuita tra un numero inferiore di Paesi, i quali, dovranno anche sostenerne le ripercussioni economiche in termini di crescita interna.
Per questi motivi, in seguito al rifiuto USA di ratificare Kyoto, molti Paesi industrializzati quali gli Umbrella Group hanno temuto che continuare a sostenere gli obiettivi del Protocollo comportasse un freno allo sviluppo e rallentasse la crescita economica, considerato il mancato ingresso di Paesi grandi inquinatori come Cina ed India; i detrattori del
Protocollo di Kyoto insistono infatti sulla sua limitata efficacia e sui costi eccessivi di implementazione per le economie che cercano di fronteggiare sul mercato mondiale i Paesi di nuova industrializzazione che non lo hanno ancora ratificato.
Questa premessa ci consente di affermare che la grande scommessa introdotta da Kyoto, ancor prima di essere rivolta all’effettivo ed immediato conseguimento degli obiettivi ambientali in esso stabiliti, costituisce in realtà una sfida di tipo culturale rivolta ai decisori politici operanti in campo internazionale; il cambiamento di prospettiva offerta dal Protocollo è quella di cominciare a sensibilizzare gli Stati ad affrontare la questione del cambiamento climatico a livello globale mediante azioni volte a sostenere politiche di riduzione delle emissioni; la sua portata innovativa risiede proprio nel far comprendere che i costi derivanti dalla sua disapplicazione possono, con il tempo, superare di gran lunga i costi della sua implementazione.
Il Protocollo è infatti un primo passo che dovrebbero compiere innanzi tutto i Paesi più industrializzati, principali responsabili per la gran parte delle emissioni storiche che hanno fatto aumentare le concentrazioni in atmosfera di gas serra (GHG Green House Gases) e che continuano ad avere emissioni pro capite molto elevate; si pensi solo che l’Italia, a fronte ad un impegno di riduzione del 6,5 per cento, continua ad aumentare le sue emissioni di GHG: al 2005 le sue emissioni sono infatti aumentate del 13 per cento rispetto ai livelli del 1990.
L’approccio da seguire deve essere quello di considerare le istanze introdotte dal Protocollo come
un’occasione per investire nell’innovazione e nella
competitività dei sistemi energetici e così da giungere quanto prima al progressivo abbandono dei combustibili fossili che, sempre nel nostro Paese, incidono per l’88 per cento sul fabbisogno dell’energia primaria.
4.2. L’introduzione dell’Emission Trading e dei