Wish You Were Here come Trauma Fiction
3.4 La dimensione spaziale
È stato spesso notato come il setting svolga un ruolo cruciale nei romanzi di Graham Swift, non costituendo solo uno sfondo per le vicende dei personaggi ma, al contrario, finendo con l’intersecarsi attivamente con esse.
Ampia parte delle opere dell’autore è ambientata nei quartieri periferici a sud di Londra (The Sweet-Shop Owner, Shuttlecock, Last Orders, The Light of Day,
Tomorrow) oppure in aree marginali della provincia inglese (Waterland, Ever After, Mothering Sunday), mentre meno frequenti sono i riferimenti a luoghi che
superano i confini nazionali: l’eccezione più evidente in tal senso è rappresentata da Out of This World, romanzo che rivela parecchi punti di contatto con Wish You
Were Here. La predilezione per il suburbano ed il marginale è spiegata da Swift in
questo modo:
Localness is the key. If you are going to write about things which are in fact universal and timeless, then the way to do it is through the focus of the local […] I think you have to begin where we all begin, which is with our indisputably local sense of life and experience. However “global” we like to think we’ve become, it remains true that life is about our little corner, our little nook, our little niche, our little territory. It’s a small world, but that small world opens up to the big world, and that’s simply the way I go about things58.
In Wish You Were Here, l’autore pare confermare questa predilezione, scegliendo ancora una volta ambientazioni periferiche. I luoghi principali del romanzo sono due: da un lato troviamo il Lookout Cottage con l’annesso Lookout
Caravan Park, situati all’interno del ristretto contesto dell’Isola di Wight, estremo
lembo meridionale di territorio inglese in cui si colloca il presente della narrazione; dall’altro c’è invece Jebb Farm e, per estensione, la regione agricola delimitata dai confini del Devon, spazio che si connota soprattutto come territorio mentale, oggetto della rievocazione memoriale di Jack. Ad essi si collegano poi i paesaggi rurali e suburbani attraversati dall’uomo nel suo viaggio di andata e ritorno che, dall’Isola di Wight, lo porta a recarsi prima nell’Oxfordshire, per poi deviare in direzione del Devon e fare infine ritorno al punto di partenza.
A tale proposito, la critica ha osservato come molte delle località citate nel romanzo rientrino all’interno dei confini del Wessex di Thomas Hardy, uno dei
58
riferimenti intertestuali più evidenti dell’opera: l’influenza dell’autore vittoriano, infatti, è perfettamente riconoscibile nel modo di guardare all’Inghilterra rurale come a un mondo condannato alla scomparsa dall’intrusione della modernità, che comporta inevitabilmente cambiamenti.
Invero, nel testo vengono menzionati anche luoghi più o meno lontani dall’Inghilterra come l’Iraq, gli Stati Uniti, la Bosnia, l’isola caraibica di St. Lucia e quella di Tahiti. L’attenzione, quindi, sembra potersi ampliare dalla dimensione locale fino ad abbracciare quella globale e viceversa, come accade sempre nei romanzi dell’autore. Tuttavia, in Wish You Were Here ciò avviene in modo particolarmente accentuato e sono soprattutto gli eventi che hanno origine al di fuori del “little territory” dei personaggi ad irrompere in tutta la loro veemenza al suo interno, spazzando via i confini che lo separano dal “big world” circostante e stravolgendolo.
Per lo studioso russo Jurij Lotman59, un’opera narrativa presenta un determinato quadro del mondo, che può assumere connotati spaziali. Secondo le sue teorie, una frontiera (o confine) traccia una circonferenza che divide lo spazio in due parti, una interna, chiusa e delimitata (IN), e una esterna (ES). A seconda del modo in cui il testo e i personaggi si rapportano alle due dimensioni spaziali, l’orientamento può andare dall’IN verso l’ES o viceversa. In Wish You Were
Here, il tentativo di stabilire tale distinzione assume dei risvolti complessi, nonché
ambigui: se, da un lato, si fa spesso riferimento a linee di demarcazione (effettive o figurate), che possono essere percepite dai personaggi come barriere protettive o come ostacoli (in)superabili, dall’altro, la possibilità di conservare qualsiasi tipo di separazione tra uno spazio interno, limitato e familiare, ed uno esterno, più ampio e non familiare, pare venire meno nel corso del romanzo, giocando un ruolo chiave nella traumatizzazione dei personaggi.
Ciò viene messo particolarmente in risalto nelle parti dedicate alla prospettiva dei personaggi appartenenti alla piccola comunità rurale del Devon settentrionale: in questi segmenti narrativi, è possibile rintracciare un’opposizione IN vs ES tematizzata secondo le coppie antitetiche “rifugio vs violenza”, “sicurezza vs
59
J. Lotman, La struttura del testo poetico, Milano, Mursia, 1972, p. 261 sgg., cit. in A. Marchese, L’officina del racconto: semiotica della narratività, Milano, Mondadori, 1983, p. 110 sgg.
insicurezza”, “tradizione vs modernità”, dove il polo positivo è rappresentato dalla dimensione interna, locale, e quello negativo da quella esterna, globale (diversa è invece la posizione della giovane Ellie che, come vedremo più avanti, è totalmente proiettata col pensiero verso l’esterno). Tale contrapposizione è però prevalentemente basata su uno stato di cose passato: nel presente narrativo, infatti, ciò che si collocava al di fuori della piccola porzione di mondo abitata dai personaggi è riuscito a penetrarvi alterandola, come dimostrano le considerazioni degli abitanti di Marleston, che rivelano sostanzialmente tutto il loro rimpianto per un modo di vivere ormai perduto.
Così, come si assiste alla frantumazione di qualsiasi linearità cronologica, con l’irruzione del tempo passato in quello presente, anche lo spazio sembra subire una disgregazione, dovuta all’abbattimento di ogni distanza e confine e alla conseguente intrusione della dimensione globale in quella locale. Le categorie di tempo e spazio vengono quindi sfruttate dall’autore in modo analogo per riprodurre l’impressione di simultaneità e ubiquità tipica del trauma.
Che le dimensioni spaziale e temporale siano intimamente connesse tra loro all’interno dell’opera è rilevato anche da Barbara Puschmann-Nalenz, che a tale proposito osserva: “Mikhail Bakhtin’s phrase of ʻthe postmodern chronotopeʼ materializes in narrative texts by Graham Swift that give prominence to violence as the thematic catalyst”60.
In effetti, indicazioni di tempo e spazio si fondono costantemente nel testo: Jack ed Ellie considerano la loro vita come divisa tra un “prima” e un “dopo”, i quali corrispondono geograficamente a due luoghi distinti, per cui Jebb Farm significa passato, mentre l’Isola di Wight vuol dire presente. Questa concezione si delinea con particolare chiarezza nei capitoli narrati dalla prospettiva di Ellie: ai suoi occhi, l’Isola di Wight rappresenta inizialmente la possibilità di un futuro diverso, poi, dopo aver lasciato il Devon, la realtà del loro presente, visto come completamente separato dal passato, identificato con la terraferma: “Their Isle of Wight life. The beauty of it: a whole separate land, with only a short sea to cross, but happily cut off from the land of their past” (p. 210). Ellie desidera fortemente
60
B. Puschmann-Nalenz, “Space and the Globalization of Violence in Graham Swift’s Works”, in PhiN. Philologie im Netz 72/2015, pp. 1-23, qui p. 1. URL: http://phin.de/ (ultimo accesso 19.06.2017).
distaccarsi dal proprio vissuto, per lei vita vecchia e vita nuova sono da considerarsi come completamente distinte e lo spazio chiuso e circoscritto della piccola isola ben si presta a suggerire la sua volontà di tenere i ricordi collegati alla loro terra d’origine il più lontano possibile da lei e dal marito. Inoltre, all’immagine dell’isola si collega strettamente quella dell’acqua, che pare consentire di mettere una vera e propria barriera fisica tra passato e presente: del resto, nella produzione swiftiana (specialmente in Waterland) essa rappresenta da sempre l’elemento che simboleggia più di ogni altro l’oblio.
Pertanto, quando Jack decide che i resti di Tom dovranno essere sepolti nel cimitero di Marleston, Ellie si rifiuta categoricamente di accompagnarlo nel viaggio che lo riporta sulla terraferma: fare ciò significherebbe infatti tornare “back into the wretched past” (p. 211), riaprendo così le porte al periodo più doloroso della sua vita, rispetto al quale aveva voluto dare un taglio netto un decennio prima. Nonostante la sua energica opposizione, Ellie capisce però fin da subito che la sottile striscia di mare che circonda l’isola non sarà comunque in grado di tenere alla larga quel passato che era stata tanto desiderosa di lasciarsi alle spalle, poiché questo, seguendo una traiettoria alquanto complessa, sta già tornando ad ossessionarli sottoforma di una bara proveniente dall’Iraq: “But she just couldn’t do it. Stand on some grim piece of tarmac, while it all came back, in a flag-wrapped parcel, by way of Iraq, their old, left-behind life” (p. 212).
In generale, si può affermare che, nel corso della narrazione, ciascun personaggio finisce col percepire una violazione del proprio microcosmo. Responsabile di tale infrazione è la follia pervasiva che contraddistingue l’epoca contemporanea e che compare nel romanzo sotto varie forme: oltre a manifestarsi emblematicamente come una vera e propria malattia infettiva (definita per l'appunto come morbo della mucca pazza), che pare in grado di infiltrarsi dappertutto per contagio aereo, essa si palesa anche nella brutalità del terrorismo e delle guerre internazionali e nella spregiudicatezza delle speculazioni finanziarie che caratterizzano il moderno sistema bancario capitalistico.
Come nota Puschmann-Nalenz61, il modo in cui Swift tratta lo spazio in questo romanzo lo avvicina soprattutto a Out of This World. Anche in
quest’opera, infatti, la violenza provoca in modo particolarmente evidente lo sgretolamento di ogni tipo di confine o barriera spaziale. L’esempio più significativo in tal senso è rappresentato dall’episodio in cui Robert Beech rimane ucciso col suo autista nell’esplosione di un’autobomba, fatto che accade nella tranquillità e nella sicurezza (apparente) della villa di campagna in cui abita col figlio e la nipote. A tal riguardo, occorre notare come i muri di cinta e i sistemi di allarme di cui la residenza è dotata (e che si pongono quindi come frontiera) non siano sufficienti a garantire la protezione dei suoi abitanti e come la morte e la violenza avessero comunque già oltrepassato tali barriere per mezzo delle fotografie che Harry era solito scattare durante i suoi viaggi nelle zone di guerra del mondo. A rimanere fortemente traumatizzata dall’attacco terroristico avvenuto all’interno dei confini domestici sarà soprattutto Sophie e nemmeno l’abbandono dell’Inghilterra per il nuovo mondo rappresentato dall’America riuscirà a farla sentire davvero al sicuro, portandola infine alla consapevolezza che non esiste un luogo che si possa definire realmente come lontano da tutto: “But away-from-it-
all is such a shifting, strange, elusive place. There isn’t a point in the world where
you can get away from the world, not any more, is there?”62, concetto ripreso frequentemente (oltreché letteralmente) anche in Wish You Were Here, i cui personaggi finiscono col far propria questa lezione.
Inoltre, in entrambi i romanzi l’intrusione della violenza nella sfera privata dei singoli è favorita dalla diffusione capillare dei mezzi di comunicazione di massa, tipica della società contemporanea: “The mass media’s apparent saturation of society […] has enhanced what the British geographer David Harvey views as the ʻtime-space compressionʼ in modern and postmodern societies”63. Come si è già osservato in precedenza, ciò che accade a migliaia di chilometri di distanza può essere reso immediatamente visibile a chiunque attraverso un televisore: così, i roghi delle carcasse di bovini infettati dall’afta epizootica nel Devon possono essere visti simultaneamente da Jack ed Ellie nel salotto del Lookout Cottage, da Tom in un pub di Londra e da Clare Robinson nella sua abitazione del quartiere di Richmond; in modo analogo, Tom stesso riflette su come anch’egli possa divenire in qualunque momento un’immagine televisiva, mostrata all’interno di un
62
Swift, Out of This World, cit., p. 8, corsivo mio.
63
notiziario che riporta informazioni sui soldati inglesi dispiegati sul fronte iracheno.
Di fronte alle immagini dell’attacco terroristico dell’undici settembre, una delle prime considerazioni di Jack è che lui e i vacanzieri, i cosiddetti Lookouters, dovrebbero essere al sicuro dove si trovano (“Well, we should be all right here. Here at the bottom of the Isle of Wight”, p. 4): chi, infatti, avrebbe mai interesse a colpire un campeggio per roulotte situato in un angolo così remoto e marginale d’Inghilterra? Allo stesso tempo, egli avverte però un istinto di protezione per i campeggisti, verso i quali si sente responsabile, e vorrebbe poterli rassicurare. Difatti, la follia della violenza globale è già riuscita a penetrare in quel piccolo lembo di territorio inglese attraverso gli apparecchi televisivi di cui ogni camper è dotato, i quali continuano a trasmettere “again and again, as if they might not be true, the same astonishing sequences” (ibidem), quasi a voler concedere allo spettatore il tempo di assimilare il loro impatto scioccante e di prendere coscienza del loro statuto di realtà o forse, più semplicemente, al puro scopo di traumatizzarlo. Il pensiero di Jack, comunque, si modifica nel corso del tempo e anche lui, come Sophie, giungerà infine alla conclusione che nessun luogo può dirsi veramente al riparo dalla brutalità che contraddistingue la nostra epoca: “Jack is of the firm opinion that the place known as ʻaway from it allʼ simply doesn’t exist” (p. 285, corsivo mio).
Del resto, proprio coloro che trascorrono le vacanze nel campeggio di Jack e che guardano all’Isola di Wight come a un luogo di vacanza in cui potersi allontanare da tutto sono i primi a trasformare in argomento di conversazione ciò che accade nel mondo, rivelando così i timori e il senso di insicurezza di ognuno. La stessa guerra al terrorismo islamico, nata proprio in reazione all’attacco terroristico dell’undici settembre, viene in realtà definita come “guerra al terrore”. Come nota Jack, “[w]hat they meant, of course, was a war on terrorism. But then it became a matter of who and where, of geography” (p. 61), mentre “terrore” si rivela un termine più adatto a descrivere una sensazione generalizzata di insicurezza che non può essere localizzata in un punto geografico preciso, poiché è già penetrata nell’interiorità di ciascuno, come comprende anche il poliziotto Bob Ireton che, se ha sempre considerato il suo lavoro di piccolo agente di
campagna come sicuro, ora si sente a sua volta coinvolto “in some latent war, with a larger, unlocal malaise of insecurity” (p. 313).
Inoltre, persino il Lookout Cottage, come il suo nome indica, in origine non era altro che una postazione di vedetta situata all’estremo margine dell’Inghilterra, ovvero l’abitazione di due solitari guardacoste messi a protezione dell’intero Paese, con il compito di vigilare contro eventuali invasioni esterne (e, in un certo senso, nel presente narrativo anche Jack è di guardia mentre osserva fuori dalla finestra), incarico che è però evidentemente fallito, dato che la follia, dalle sue coste, è riuscita comunque a penetrare fino al cuore della nazione.
Il tema della sicurezza e della violazione dello spazio circoscritto dei singoli è messo particolarmente in risalto nel capitolo 32, dove l’IN è rappresentato dalle campagne del Devon settentrionale. Anche se Bob Ireton, poliziotto della tranquilla cittadina di Marleston, è inizialmente incline a pensare che “[t]he feeling that nowhere was really immune, even quiet green places in the depths of the country” (p. 312) sia stata portata con sé dalla città dai Robinson, i nuovi proprietari di Jebb Farmhouse (come viene da loro ribattezzata), si rende però sempre più conto che tale sensazione sta contagiando ormai anche la sua comunità, diffondendosi come a suo tempo aveva fatto il morbo della mucca pazza. In realtà, la famiglia Robinson, che possiede già una casa a Londra, acquista Jebb Farm proprio perché la considera “still genuine, undiscovered countryside” (p. 313). Nell’opera si assiste così a una valorizzazione della dimensione interna non solo da parte di chi vi appartiene, ma anche da parte di coloro che provengono dall’esterno. Tuttavia, a contribuire a stravolgere il volto di tale spazio è proprio la logica speculatoria incarnata da abitanti di città come il signor Robinson, che vedono nell’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina soltanto l’occasione per fare un vero affare.
Come dimostra il pesante cancello elettrico che hanno posto davanti al viale d’ingresso della fattoria, i Robinson si sono preoccupati fin da subito della sicurezza della loro residenza estiva, munendola di un sistema d’allarme per difendersi da eventuali intrusioni. Fin dalle prime trattative per l’acquisto dell’abitazione, il signor Robinson aveva posto domande in merito alla tranquillità del luogo, alle quali Jack aveva semplicemente replicato che non avevano mai
avuto alcun problema, “not in this part of the world” (ibidem). Inoltre, la “security” a cui si riferiscono i Robinson non è quella di cui si sono sempre preoccupati Jack e gli altri allevatori: se per i primi essa significa principalmente impedire la violazione della proprietà privata, per i secondi vuol dire innanzitutto serenità economica, ovvero ciò di cui le epidemie di mucca pazza e di afta epizootica li ha privati, costringendo molti di loro a vendere tutto e andarsene, fornendo proprio a persone come i Robinson l’opportunità di acquistare a prezzo vantaggioso le loro proprietà ormai svalutate dalla crisi.
Agli occhi di Clare, la signora Robinson, la fattoria appare fin dalla prima volta in cui la visita come una “solid and beautiful portion of countryside” (p. 309). Ciononostante, sono numerose le occasioni in cui questa sua impressione iniziale viene messa in discussione, generando in lei un senso di minaccia e insicurezza. Ad esempio, una sensazione di questo tipo la prova durante il soggiorno a Jebb in cui arriva la lettera del Ministero della Difesa che, essendo indirizzata ai vecchi proprietari (Tom non aveva mai saputo che Jack aveva venduto tutto e si era trasferito e non aveva perciò modificato i recapiti dei familiari che l’esercito chiedeva obbligatoriamente di indicare), ella provvede subito a rispedire all’indirizzo giusto. In più, il suo disagio si acuisce qualche giorno dopo, quando tra i titoli dei quotidiani scorge il cognome Luxton e la fotografia di un viso vagamente familiare, circostanza che la induce a pensare che avrebbe preferito non aver visto il giornale, poiché “[w]hat you don’t see can’t trouble you. But she’d seen it” (p. 311).
Che la nuova proprietà non sarebbe stata in realtà quel rifugio paradisiaco che si era prefigurata (“a haven, a perfect paradise for the children”, p. 318) era però intuibile fin dall’epidemia di afta epizootica che aveva colpito l’area nel 2001, poco dopo che i lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’abitazione si erano conclusi. Essendo Jebb la loro seconda casa, i Robinson non erano stati raggiunti direttamente dallo scoppio dell’epidemia ma, al pari di Jack, avevano visto le immagini dei bovini morti dati alle fiamme “from the safety of their living room in Richmond” (p. 318). In quest’occasione, a turbare Clare è soprattutto il pensiero del fumo che da quel punto si sarebbe potuto propagare velocemente in direzione di Jebb Farmhouse, i cui sistemi d’allarme non avrebbero potuto
impedirne in alcun modo la violazione dei confini: “She felt it like a contamination” (p. 319). La situazione si ribalta invece di fronte alle immagini dell’attacco terroristico al World Trade Center, trasmesse in tv alcuni mesi dopo: esse non hanno lo stesso potere di sconvolgerla, “[s]ince now they had this retreat, this place of green safety” (p. 319), dove trovare riparo dalla brutalità del contesto globale.
Il carattere illusorio di questa visione di Jebb Farm come territorio ancora sicuro, incontaminato e inesplorato è però implicito fin dal principio. I Robinson hanno acquistato la fattoria con l’annesso Barton Field totalmente ignari del fatto che proprio quel terreno in cui pensano di aver trovato “their ʻvery own little piece of Englandʼ” (p. 327) è stato in realtà la scena del suicidio di Michael Luxton: né Ellie né Jack, infatti, hanno mai spiegato loro la causa del foro che si può scorgere distintamente sulla corteccia della grande quercia proprio al centro del campo.