• Non ci sono risultati.

La disciplina del regresso nell’ordinamento italiano

IL REGRESSO DEL VENDITORE COME STRUMENTO DI EQUILIBRIO NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLA FILIERA DISTRIBUTIVA

3. La disciplina del regresso nell’ordinamento italiano

Il più volte richiamato art. 4 della direttiva 99/44/CE, relativo al diritto di regresso, ha trovato attuazione in Italia attraverso l’art. 1519-quinquies c.c., introdotto dal decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24 ed oggi trasposto nell’ art. 131 codice del consumo. Nel recepire la disciplina comunitaria sul diritto di regresso del venditore finale, il legislatore italiano ha sostanzialmente riproposto il testo della direttiva aderendo pertanto, integralmente, al modello ivi configurato.

Sulla natura giuridica di tale diritto si è tuttavia parecchio dibattuto in dottrina: in taluni casi è stato qualificato come una sanzione contro l’inadempimento di un’obbligazione che grava su ciascuno degli anelli della catena distributiva nei confronti del venditore finale165; secondo altri interpreti166 si tratterebbe invece di un diritto extracontrattuale, in quanto sorge indipendentemente dalla violazione, da parte del soggetto passivo, di un’obbligazione nei confronti della parte attrice, con la conseguenza che allo stesso corrisponderebbe una responsablità aquiliana; altri167 ancora ritengono si tratti di

un’ipotesi di regresso in senso proprio; non manca infine chi ritenga che quella configurata sia una fattispecie di rivalsa piuttosto che un vero e proprio diritto di regresso in quanto mancherebbe il presupposto della responsabilità solidale a quest’ultimo riconducibile168.

Secondo l’orientamento prevalente, tuttavia, la norma sul diritto di regresso configurerebbe una fattispecie che dà luogo ad una forma di responsabilità da fatto illecito il cui fondamento sarebbe riconducibile all’imputabilità in capo ad uno o più soggetti della filiera di un’azione od omissione tale da determinare il difetto di conformità169.

L’esplicito riferimento alla filiera distributiva di cui al primo comma dell’art. 1519-

quinquies c.c. – oggi art. 131 Codice del consumo – costituisce una novità introdotta

165

ZACCARIA – DE CRISTOFORO, La vendita di beni di consumo, in op.cit., p. 105. 166

In tal senso COLOMBI CIACCHI, Art. 1519-quinquies, in op.cit, p. 295; CORSO, Della vendita dei

beni di consumo, in Commentario a cura di Scialoja – Branca, Bologna-Roma, 2005, p. 141.

167 CASTRONOVO, Il diritto di regresso del venditore finale nella tutela del consumatore, in Eur. e dir.

priv., 2004, p. 960.

168

Cfr. COLANTUONI – VALCADA, in AA.VV. L’acquisto di beni di consumo, Collana prima lettura a cra di De Nova, 2002, p. 47.

169 Così CAPILLI, Le garanzie nella vendita di beni di consumo, in op.cit., p. 544. Sul punto, più diffusamente, CHIAPPETTA, Art. 131, in op. cit., p. 499.

con il decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24 dal legislatore italiano che, nel recepimento della direttiva, ha specificato che la catena contrattuale, espressamente richiamata dal legislatore comunitario, nel cui ambito è possibile agire in regresso è quella distributiva.

A tal proposito, ci si è chiesti innanzitutto se una tale differente formulazione testuale avesse carattere meramente terminologico o se, invece, ad essa possa conseguire una limitazione della sfera d’applicazione del diritto di regresso alle sole fasi della filiera di distribuzione commerciale di prodotti finiti che, passando dal produttore al consumatore finale restano sempre i medesimi170 in quanto non necessitano di ulteriori fasi di trasformazione.

In questo caso, infatti, resterebbero esclusi dalla disciplina del regresso le fasi della catena contrattuale antecedenti al prodotto finito come, ad esempio, quelle relative a parti o componenti da assemblare ovvero ad un precedente stadio di lavorazione (il caso della fornitura di materia prima al produttore).

La suddetta limitazione comporterebbe altresì l’esclusione di catene contrattuali distributive diverse rispetto a quella tradizionale che individua nel consumatore colui che chiude la filiera iniziata con la produzione del bene171. La prassi commerciale, nella realtà, è molto variegata e contempla spesso catene contrattuali multiple e ramificate, in cui la produzione e distribuzione di un primo prodotto si collega poi alla produzione e distribuzione di altri prodotti e finisce per confluire in un prodotto diverso che arriva finalmente al consumatore172

Una simile ipotesi si presterebbe inoltre al legittimo interrogativo riguardo la compatibilità di una disciplina restrittiva del diritto di regresso, così delineata, rispetto al dettato della direttiva stessa di cui ne limiterebbe il campo d’applicazione.

Al riguardo, è stato evidenziato come il legislatore comunitario non si sia posto quale obiettivo espressamente perseguito, al pari della tutela del consumatore, anche la tutela

170

Sulla definizione di vendita a catena, cfr. ZACCARIA, Art. 1492, in Commentario breve al codice

civile, a cura di Cian – Trabucchi, V ed., Padova, 1997, p. 1425; CORRIAS, Artt. 1492-1494, in

Buonocore – Luminoso (a cura di) Codice della vendita, Giuffrè, Milano, 2001, p. 531. 171

Cfr. Cass., Sez.Un., 4 febbraio 2005, n. 2207. 172

del venditore finale in quanto anello debole della catena173, come dimostrerebbe il considerando n. 9 della direttiva che prevede la possibilità che quest’ultimo rinunci contrattualmente al diritto di agire in regresso, a differenza di quanto invece previsto in favore del consumatore, i cui diritti sono irrinunciabili. Ciononostante, lo stesso considerando n. 9 afferma in modo abbastanza perentorio che il venditore che non abbia rinunciato al proprio diritto “deve poter agire” nei confronti del soggetto al quale il difetto è imputabile e, pertanto, non è ammissibile che resti privo di tutela o che questa sia parziale o limitata. Ne consegue che l’interpretazione della norma nazionale di recepimento che disciplina il diritto di regresso (il richiamato art. 131 Cod.consumo, già art. 1519-quinquies c.c.), conformemente a quanto disposto dalla direttiva, dovrebbe sposare un’ampia concezione di catena contrattuale distributiva, in cui la nozione di produttore, in quanto responsabile nei confronti del venditore finale e, pertanto, soggetto passivo dell’azione di regresso, non sia limitata al solo soggetto che immette sul mercato il prodotto finito, ma debba ricomprendere chiunque fabbrichi un prodotto o una sua componente o produca una materia prima. In tal modo, oltre a garantire una tutela più efficace del venditore finale, che vedrebbe ampliare la sfera dei soggetti nei confronti dei quali poter agire in regresso, si eviterebbe di imputare al produttore del bene finito anche i difetti imputabili a terzi, in quanto riconducibili ad una fase antecedente all’immissione sul mercato del prodotto stesso ovvero ad una catena distributiva diversa.

In definitiva, la specifica nozione di catena contrattuale distributiva cui ricorre il legislatore italiano andrebbe a coincidere con quella, apparentemente più generica, di catena contrattuale cui fa riferimento il legislatore comunitario, intendendosi, pertanto, l’aggettivo “distributiva” come una mera aggiunta terminologica priva di riflessi sostanziali.

Occorre comunque rilevare come una tale conclusione, seppur sostanzialmente corretta e largamente condivisa, possa tuttavia comportare il rischio di prestarsi ad un’applicazione elusiva delle finalità stesse della norma. Tale rischio si concretizzerebbe infatti nell’eventualità, tutt’altro che ipotetica, in cui il produttore, chiamato a rispondere in regresso dal venditore finale, eccepisca in modo strumentale o

173 Come, invece, si tenterà di dimostrare nei paragrafi successivi. In tal senso cfr. anche CALVO,

meramente dilatorio che il difetto di conformità sia imputabile ad un terzo, al fine di ostacolare l’individuazione dell’effettivo responsabile, impedendo, di fatto, al venditore la possibilità esercitare il proprio diritto di rivalsa nei confronti di un soggetto certo e determinato.

L’esigenza di individuare un soggetto certo cui imputare, da ultimo, la responsabilità del difetto di conformità e nei cui confronti il venditore finale possa esercitare l’azione di regresso, è ancor più pressante se si considera la molteplicità degli operatori economici coinvolti nella filiera distributiva (produttori, distributori, grossisti, agenti, dettaglianti) che già, di per sé, rende quantomeno poco agevole l’accertamento dell’effettivo responsabile del difetto medesimo.

Ragioni di equità impongono pertanto che il peso patrimoniale del difetto di conformità lamentato dal consumatore gravi, alla fine, sull’operatore effettivamente in grado di controllare e gestire i fattori generanti il rischio dell’iniziativa economica.

Una simile esigenza di giustizia sostanziale è ancor più evidente nel caso in cui, ad esempio, il soggetto che immette il prodotto sul mercato sia un piccolo imprenditore che si sia rifornito presso una grande impresa di un bene174. Questi, infatti, pur appartenendo ad una classe economica sostanzialmente differente rispetto al consumatore, risulta nondimeno accomunato a quest’ultimo dalla circostanza di trovarsi grosso modo in posizione di pari subordinazione dinnanzi all’industria o alla grande distribuzione175. Per quanto riguarda invece, più specificamente, l’oggetto dell’eventuale pretesa del rivenditore che agisca in regresso, si ritiene che questi possa domandare, ai sensi del’art. 2058 c.c., sia il rimborso per equivalente che il risarcimento in forma specifica – in questo caso una eadem res priva di vizi o difetti – mentre non sembrerebbe che l’art. 131 Cod.cons. consenta di ricomprendervi anche la rifusione di eventuali pregiudizi indiretti176, ulteriori rispetto alla prestazione di rimedi forniti al consumatore finale, quali ad esempio i danni patrimoniali conseguenti alla cattiva reputazione commerciale,

174Cfr.COLOMBI CIACCHI, Art. 1519-quinquies, in op.cit., p. 317. 175

Così CALVO, L’attuazione della direttiva, op. cit., p. 484. 176

rispetto ai quali l’unico strumento continuerebbe ad essere l’azione di risarcimento ex artt. 1494 e 2043 c.c.177

Nella prima delle ipotesi sopra richiamate, dunque, l’esperimento dell’azione di regresso sarebbe finalizzata a conseguire il rimborso dei costi sostenuti per esperire i rimedi richiesti dal consumatore in cui possono essere ricomprese le spese per la riparazione o sostituzione del bene – quali ad esempio, spese di trasporto, per materiali di ricambio e manodopera – ovvero le somme corrisposte al consumatore a titolo di rimborso in caso di risoluzione del contratto.

Più controversa appare invece la possibilità per il venditore di chiedere la restituzione delle somme corrisposte al consumatore per i pregiudizi direttamente conseguenti al difetto178. Se per un verso, infatti, sembrerebbe consentito il rimborso in regresso delle spese sostenute a titolo di risarcimento del danno al consumatore alla luce della previsione di cui all’art. 131, comma 2, che contiene un esplicito riferimento al diritto del rivenditore alla «reintegrazione di quanto prestato», per altro, invece, la possibilità di agire in regresso potrebbe intendersi limitata alla sola parte della pretesa risarcitoria del consumatore relativa all’effettiva diminuzione del valore economico del bene e non anche agli ulteriori e diversi danni eventualmente derivati dall’inadempimento dell’obbligo di consegnare beni conformi ai contratti179.

Le obiezioni da parte di chi, inoltre, ritiene che debba escludersi la possibilità di ristoro del venditore per le somme da questi corrisposte a titolo di risarcimento danni al consumatore, si fondano principalmente sull’argomentazione che in tal caso si verrebbe a configurare, ai sensi dell’art. 1494 c.c., una responsabilità in senso tecnico del venditore finale che conoscerebbe, o avrebbe comunque dovuto conoscere l’esistenza del vizio, con la conseguente impossibilità per quest’ultimo di liberarsi delle

177

Sul punto, ZACCARIA - DE CRISTOFARO, La vendita dei beni di consumo, cit., p. 112; in senso contrario BOCCHINI, La vendita di cose mobili, op.cit., p. 514 ss.

178 Cfr. ZACCARIA - DE CRISTOFARO, op. ult. cit., p.112; CALVO, Vendita e responsabilità per vizi

materiali. II. Il regime delle «garanzie» nelle vendite al consumo, 2007, p. 475; In senso contrario,

BARTOLOTTI, Azione di regresso e vendita a catena, in BIN-LUMINOSO (a cura di), Le garanzie nella

vendita di beni di consumo, cit., p. 475; BILOTTI, Art. 1519-quinquies, in AA.VV., Commentario alla disciplina della vendita di beni di consumo, cit., p. 504 ss.; PAGANELLI, Art. 1519-quinquies, in BERTI

(a cura di) La vendita di beni di consumo, Giuffrè, Milano, 2004, p. 67.

179 Così DE CRISTOFARO, La nuova disciplina codicistica dei contratti per la fornitura dei beni mobili

conseguenze economiche negative del proprio comportamento ponendole a carico dei precedenti anelli della filiera distributiva180.

Tale obiezione, tuttavia, è superabile da una lettura più approfondita e sistematica dello stesso art. 1494 c.c. da cui ne deriva che il risarcimento del danno dovrebbe essere inteso non come una sanzione per il comportamento illecito del venditore ma come un aspetto qualificato della garanzia in cui il riferimento testuale alla conoscenza ed all’ignoranza inescusabile del vizio costituisce l’espressione di un limite positivo alla portata della garanzia, in funzione di un contemperamento equitativo degli interessi in conflitto, in quanto nel caso di ignoranza scusabile dei vizi apparirebbe iniquo accollare al venditore l’intero rischio per la mancanza delle qualità considerate nel contratto181. Tale interpretazione, di carattere generale, assume ancor più aderenza alla realtà fattuale nell’ambito specifico della vendita dei beni di consumo ove le esigenze di protezione del rivenditore, nonostante la sua natura di professionista, appaiono più evidenti in ragione della difficoltà che lo stesso può incontrare nel controllo della merce venduta, sia a causa della celerità di circolazione di tali beni, sia in relazione alle particolari modalità di svolgimento dei traffici, non essendo escluso l’intervento diretto del produttore nella vendita al dettaglio, qualora il venditore finale ricorra alla distribuzione indiretta dei beni.

180

In particolare, BILOTTI, Art. 1519-quinquies, in op. cit., p. 505. 181