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3. La nozione di conformità

1.5 Ulteriori disposizion

L’art. 132 Cod. consumo sancisce la responsabilità del venditore per qualsiasi difetto di conformità che si manifesti entro due anni dalla consegna134 che, come si è già avuto modo di illustrare nel paragrafo precedente, coincide con il momento in cui il bene di consumo è stato ricevuto dal consumatore ovvero è entrato nella sua sfera materiale di controllo.

In relazione ai beni usati, tuttavia, l’art. 134 comma 2, considerando le peculiarità di tale categoria di beni, prevede che le parti possano concordare una limitazione alla durata della responsabilità del venditore per un periodo di tempo comunque non inferiore ad un anno. Affinchè il professionista sia considerato responsabile del difetto di conformità, è pertanto necessario che, prima della scadenza di tale termine, il difetto di conformità sia divenuto oggettivamente rilevabile e riconoscibile dall’esterno in base al criterio dell’ordinaria diligenza135.

Il legislatore, tuttavia, avvalendosi della facoltà attribuitagli dall’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 99/44/CE, ha previsto a carico del consumatorel’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità del bene di consumo entro due mesi dalla data in cui ha scoperto tale difetto, pena la decadenza dal diritto di azionare i rimedi previsti dall’art. 130, comma 2.

Trattandosi di un termine bimestrale di decadenza,che decorre dalla data in cui il difetto di conformità è stato effettivamente scoperto dal consumatore, la sua mancata osservanza comporta come ulteriore conseguenza la decadenza da tutti diritti del consumatore che trovano fondamento nell’inadempimento dell’obbligo di consegnare cose conformi al contratto, ivi compreso il risarcimento del danno.

Analogamente a quanto previsto dagli artt. 1495, comma 2, c.c. e 1667, comma 2, c.c., la denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto di conformità – riconoscimento che può determinare, ai sensi dell’art. 2944 c.c., l’interruzione del termine di prescrizione – o lo abbia occultato, tacendo in malafede il

134 Riguardo la durata dei termini di garanzia, ex multis, cfr. PINNA, I termini nella disciplina delle

garanzie e la Direttiva 1999/44/CE sulla vendita di beni di consumo, in Contratto e impresa/Europa,

2000, p. 527.

135 DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore. L’ordinamento

difetto. In quest’ultimo caso, ai sensi del comma 4, l’onere della prova viene fatto ricadere sul venditore e si ritiene altresì che l’azione si prescriva nell’ordinario termine decennale. La ratio di tale previsione si fonda sulla circostanza che la denuncia è un atto giuridico – qualificabile, in particolare, come un atto di scienza – che risponde allo scopo di portare a conoscenza del venditore l’esistenza di una difformità del bene rispetto al contratto. Di conseguenza, risulterebbe superfluo portare a conoscenza del venditore un fatto (il difetto) di cui è già a conoscenza136.

Quanto alla forma e al contenuto della denuncia non si registra alcuna prescrizione particolare e, pertanto, devono ritenersi applicabili i principi generali del codice civile e le soluzioni accolte in materia di vendita di diritto comune, appalto e contratto d’opera, rispettivamente dagli artt. 1495, 1667 e 2226 c.c. La denuncia non risulta dunque soggetta a particolari requisiti formali, né si ritengono necessarie indicazioni particolarmente analitiche circa la natura e la causa del difetto, essendo sufficiente una sommaria e generica comunicazione circa la presenza di un difetto, con riserva di esplicazione anche successiva della sua entità e natura137.

Occorre tuttavia rilevare che, sebbene la denuncia sia a forma libera, appare comunque opportuna, per il consumatore, l’adozione della forma scritta al fine di costituirsi una prova da produrre in un eventuale azione giudiziale e poter dimostrare che, al momento della denuncia, non erano ancora decorsi i termini di decadenza e/o quelli di prescizione.

Ai sensi del comma 4 dell’art. 132, infatti, l’azione diretta a far valere i difetti, si prescrive in ogni caso nel termine di ventisei mesi dalla consegna, momento dal quale si ritiene che il consumatore abbia avuto la possibilità effettiva di verificare la sussistenza di un eventuale difetto di conformità.

Secondo alcuni autorevoli interpreti, se il consumatore avesse la disponibilità materiale del bene prima della conclusione del contratto, il dies a quo del termine di prescrizione corrisponderebbe alla data di stipulazione del contratto138. Nelle ipotesi di vendita a

136 Cfr. Cass. 12 maggio 2000, n. 6089. 137 Cfr. Cass. 15 maggio 2000, n. 6234. 138

In tal senso DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore,

L’ordinamento italiano e la direttiva 99/44/CE sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, Padova,

consegne ripartite e di somministrazione il termine di prescrizione si ritiene che decorra da ciascuna delle singole consegne.

La mancata o tardiva osservanza del termine di prescrizione legittima il venditore, eventualmente chiamato a rispondere del difetto di conformità, a paralizzare le pretese avanzate dal consumatore eccependo l’intervenuta prescrizione dei diritti di quest’ultimo. Diversamente, nel caso in cui sia invece il venditore a convenire il consumatore per l’esecuzione del contratto, questi potrà sempre far valere i rimedi prescritti in caso di difetto di conformità, a condizione che abbia denunciato tale difetto entro i due mesi successivi al giorno in cui lo ha scoperto, e prima che siano trascorsi 26 mesi dalla ricezione effettiva del bene d di consumo.

In generale, è possibile constatare che, l’ampliamento dei termini di prescrizioni e decadenza rispetto alle previsioni degli artt. 1495 e 1667 c.c., rappresenta un aspetto fondamentale dell’innalzamento del livello di tutela del consumatore ascrivibile alle novità introdotte dalla disciplina della vendita dei beni di consumo.

Ultronea potrebbe sembrare la precisazione, di cui all’art. 132, comma 3, Cod. consumo, secondo cui il difetto di conformità si presume esistente alla consegna ove esso si manifesti entro sei mesi da tale data139. A ben vedere si tratta di una vera e propria presunzione relativa di conformità che esonera il consumatore dalla prova dell’esistenza del difetto, prova che, di norma, dovrebbe gravare sull’acquirente in base al principio processuale «ei incumbit qui dicit». Nella fattispecie in esame, invece, si verifica un’inversione dell’onere della prova a carico del venditore, in base alla quale sarà quest’ultimo a dover dimostrare che il difetto denunciato non esisteva al momento della consegna a meno che l’invocazione di tale presunzione risulti incompatibile con la natura del bene (ad esempio in caso di prodotti facilmente deperibili) o del difetto di conformità (si pensi ai lievi deterioramenti derivanti dall’usura).

La richiamata disposizione, pertanto, prende in considerazione due parametri obiettivi collocati in posizione biunivoca: o il bene è incompatibile con la natura del difetto denunciato o il difetto denunciato è incompatibile con la natura del bene.

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Trattandosi di presunzione relativa, l’onere di provare le circostanze atte a precludere al consumatore la possibilità di avvalersi della presunzione, incombe sul venditore che sia interessato ad impedirne l’operatività.

Tali circostanze possono riguardare l’esistenza dello stesso difetto successivamente alla consegna ovvero che questo fosse esistente già all’atto della ricezione del bene da parte del consumatore o, ancora, che il difetto di conformità denunciato dal consumatore si è manifestato successivamente alla consegna per cause esterne, non ricollegabili alle caratteristiche del bene all’atto della consegna.

Per quanto riguarda, più in generale, il carattere imperativo delle disposizioni in materia di vendita di beni di consumo, l’art. 134 Cod. consumo stabilisce che i diritti attribuiti al consumatore dalle sono indisponibili ed inderogabili in senso sfavorevole al consumatore medesimo.

Sono pertanto vietate le clausole, le pattuizioni, gli atti unilaterali e ogni forma di espressione dell’autonomia privata, anteriori alla denuncia del difetto di conformità, che abbiano per oggetto o per effetto di privare il consumatore, acquirente di beni mobili, dei diritti che gli sono riconosciuti dalle norme in tema di vendita dei beni di consumo ovvero di limitare tali diritti.

La conseguenza della violazione del suddetto divieto, prevista dal primo comma del medesimo art. 134, è la nullità c.d. relativa – fattispecie evidentemente non assimilabile al modello tradizionale di nullità delineato dal codice civile – da cui non può derivare la nullità dell’intero contratto nel quale la pattuizione o la clausola sia stata inserita e che, sebbene sia rilevabile anche d’ufficio dal giudice, può essere fatta valere dal solo consumatore140.

Al riguardo, tuttavia, si ritiene 141 altresì che eventuali accordi derogatori possano essere siano consentiti – senza essere, pertanto, colpiti da nullità – se conclusi posteriormente alla denuncia del difetto.

Stessa sanzione viene inoltre comminata, ai sensi dell’art. 134, comma 3, Cod. consumo, ad ogni clausola contrattuale che preveda l’applicazione al contratto della

140 Stessa sanzione è prevista da altre norme poste a tutela del consumatore, come le disposizioni sulle clausole vessatorie ovvero quelle in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in materia di contratti a distanza e contratti negoziati fuori dai locali commerciali o, ancora, relativamente ai viaggi, vacanze e i circuiti tutto compreso.

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legislazione di un paese extracomunitario, qualora ciò comporti la privazione, per il consumatore, della protezione assicurata dalle disposizioni in esame. Ai fini dell’operatività di detto limite risulta, tuttavia, necessario che il contratto presenti uno stretto collegamento142 con il territorio di uno stato membro dell’Unione europea. Tale previsione risponde evidentemente al fine di impedire ai professionisti di eludere l’apparato di tutela predisposto dalla disciplina in oggetto attraverso una utilizzazione abusiva della libertà di scelta della legge applicabile al contratto.

Più in generale, è possibile rilevare come la tutela apprestata dalle disposizioni in esame risulti più ampia rispetto a quella prevista dall’art. 1490, comma 2, c.c. che, invece, consente l’esclusione o la limitazione della garanzia, salvo che il venditore abbia in mala fede taciuto la compratore i vizi della cosa. Si tratta di tutela rafforzata nei confronti del consumatore, evidenziando la specialità della norma rispetto al principio generale della disponibilità dei diritti patrimoniali.

Il sistema così delineato risponde infatti al fondato timore che, nella prassi commerciale, il venditore possa approfittare della debolezza contrattuale o, più semplicemente, della mancata conoscenza da parte del consumatore dei propri diritti per barattare la mancata applicazione dei rimedi disciplinati dalle norme in argomento con una qualche allettante – spesso solo in apparenza – offerta commerciale, quale, ad esempio, uno sconto sul prezzo o la dazione di un bene aggiunto a quello principale oggetto del contratto.

Un accenno infine, merita la garanzia convenzionale ulteriore – solitamente denominata, nella prassi, “garanzia commerciale”, che si contrappone e si aggiunge alla garanzia c.d. legale – che, in un testo normativo destinato essenzialmente a regolare il contratto a valle, attribuisce al consumatore una tutela verso il fabbricante. Secondo la definizione di cui all’art. 128, comma 2, lett. e) Cod. consumo, infatti, la garanzia convenzionale

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A tal fine, soccorre la convenzione applicabile alle obbligazioni contrattuali firmata a Roma nel 1980, che, all’art. 3, prevede la libertà delle parti contraenti di scegliere la legge applicabile. La scelta della legge, però, non può avere il risultato di privare il consumatore della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative della legge del paese nel quale risiede abitualmente (art. 5, comma 2). Peraltro, nel caso in cui parte del contratto sia un consumatore, si applica la legge del paese nel quale il consumatore ha la sua residenza abituale, in deroga al principio generale previsto dall’art. 4 secondo cui si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica, la propria amministrazione centrale.

ulteriore143 ricomprende quelle clausole, pattuizioni, dichiarazioni o impegni che accordano all’acquirente di beni di consumo la facoltà di esperire, senza che ciò comporti l’esecuzione di prestazioni supplementari rispetto a quella cui egli è tenuto a titolo di corrispettivo dell’attribuzione traslativa, uno specifico rimedio nel caso in cui il bene di consumo risultasse privo di una o più qualità o caratteristiche in essi contemplate.

La garanzia convenzionale costituisce altresì oggetto delle specifiche previsioni di cui all’art. 133 Cod. consumo che ne disciplina il contenuto minimo e gli effetti. Tale forma di garanzia, in sostanza, si contraddistingue rispetto alla garanzia legale di conformità in relazione a tre caratteristiche fondamentali: la natura supplementare e aggiuntiva, in quanto tale forma di garanzia è ulteriore rispetto a quella prevista ex lege ed avente ad oggetto la conformità del bene di consumo al contratto; la volontarietà ed eventualità, poichè la medesima viene fornita solo a seguito di una libera scelta in tal senso da parte del professionista che, in questo caso, rimane vincolato a rispettarla; ultima caratteristica, infine, è data dalla gratuità del patto.

La garanzia convenzionale può essere fornita non solo dal venditore, che conclude con il consumatore un contratto di acquisto del bene di consumo, ma anche da qualsiasi altro soggetto della catena di produzione e di distribuzione del bene.

La dichiarazione negoziale e l’informazione pubblicitaria concorrono in pari misura a determinare i contenuti del vincolo assunto dal professionista. Le promesse fatte nella pubblicità vincolano i produttori e i rivenditori, facendo sorgere una responsabilità contrattuale, qualora il contenuto di tali promesse non sia stato confermato al momento del rilascio della garanzia. Inoltre, in caso di difformità tra quanto risulti nella

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A proposito della c.d. garanzia convenzionale ulteriore, va segnalato che il legislatore italiano, nel recepire, con il d.lgs. n. 24/2002, la parte della direttiva 1999/44/CE dedicata alla garanzia in tema, ha aggiunto al termine garanzia l’attributo di “ulteriore”, inesistente nella fonte comunitaria - si confrontino, l’art. 1, comma 2, lett. e), della direttiva con l’attuale art. 128, comma 2, lett. e), del Codice - e che finisce poi per scomparire nel prosieguo del testo (si confrontino, ancora, l’art. 6 della direttiva con l’attuale art. 133 del Codice). Sul punto, cfr. CIAN, Commentario breve al codice civile, Art. 1519-bis, XVII, Padova, 2002, p. 1494, secondo cui sembrerebbe aver visto la luce – per effetto di quello che viene definito come “un singolare bizantinismo” – una figura, appunto la garanzia convenzionale ulteriore, contenente un quid

pluris rispetto alla garanzia convenzionale pura esemplice, onde, come egregiamente è stato detto, non è

agevole distinguere «le clausole che concretizzano i contenuti e le modalità di adempimento

dell’obbligazione di consegnare beni conformi al contratto, e/o individuano i rimedi esperibili dal consumatore e i tempi e le modalità del loro esercizio da un lato, e le clausole suscettibili di essere considerate come garanzie ulteriori dall’altro».

dichiarazione di garanzia e quanto risulti nella relativa pubblicità, se il contratto sia già concluso, prevale quanto pubblicizzato.

In definitiva, se non sembrano esservi dubbi sullanatura contrattuale dell’istituto, ci si può interrogare – con il conforto della dottrina144 che se ne è occupata ancor prima dell’entrata in vigore delle norme d’ispirazione comunitaria – sul fondamento di tale istituto. A tal proposito, possono qui richiamarsi le tesi dottrinali sulla garanzia da prestarsi dal venditore nel contratto, polarizzate attorno alle tre opzioni seguenti: a) responsabilità contrattuale da inadempimento; b) assicurazione contrattuale della bontà del risultato traslativo; c) nullità per impossibilità dell’oggetto (nel caso dell’evizione) o annullamento per errore nel caso dei vizi, ad eccezione della mancanza di qualità, rientrante nell’inadempimento lato sensu.

Tutte le ipotesi indicate conducono in ogni caso alla soluzione secondo cui l’inadempimento del produttore alle clausole della garanzia comporti in capo al medesimo una responsabilità ex contractu, fondata, a secondo dei casi, rispettivamente sugli artt. 1322, comma 2, 1989 ss., ovvero 1333 c.c.145. Più in generale, a riprova dell’autonomia di un tale rimedio, è stato correttamente rilevato come dalla dichiarazione di garanzia predisposta dal fabbricante nasca «un rapporto diretto tra

produttore e consumatore, al quale il venditore rimane estraneo»146.

144Per approfondimenti, cfr. LUMINOSO, I contratti tipici ed atipici, Milano, 1995, p. 119; MACARIO, voce Vendita, in Enc. giur., XXXII, Roma, 1988, p. 19. Per l’inquadramento della figura, cfr. anche LUMINOSO, Vendita, in Digesto civ., Torino, 1999, p. 651; IDEM, I contratti tipici ed atipici, cit., p. 160. Prescindendo da preconcette soluzioni, che sempre abbisognano di una preventiva interpretazione letterale dell’impegno del produttore, problemi d’inquadramento hanno suscitato quelle obbligazioni riparatorio–sostitutive assunte dal quest’ultimo per il tempo successivo all’operatività temporale della garanzia e subordinate ad una prestazione (solitamente pecuniaria) richiesta al consumatore che, a rigor di legge, sembrerebbero star fuori dalla garanzia di fabbrica e dar vita ad alter fattispecie contrattuali. Sul

minor favor per il consumatore che una tale opzione comporta, si leggano i condivisibili rilievi di CIAN, Commentario breve al codice civile, Art. 1519-bis, in op. cit.

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Cfr. VANACORE, Tutela diretta del consumatore verso il produttore per i vizi nella vendita di beni

di consumo, in La responsabilità civile, 12, 2007, p. 1040.

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CAPITOLO II

IL REGRESSO DEL VENDITORE COME STRUMENTO DI EQUILIBRIO