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Il regresso tra regolazione del mercato e tutela dei consumator

IL REGRESSO DEL VENDITORE COME STRUMENTO DI EQUILIBRIO NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLA FILIERA DISTRIBUTIVA

4. Il regresso tra regolazione del mercato e tutela dei consumator

La volontà di definire un meccanismo che consenta di contemperare le legittime esigenze commerciali del professionista con la necessità di tutelare adeguatamente il consumatore ha comportato la previsione di un dispositivo normativo in cui l’ampliamento del ventaglio delle tutele previste in favore dell’ultimo anello della catena distributiva possa controbilanciare il rafforzamento dei diritti del consumatore182. In quest’ottica, l’adozione di un equo criterio di distribuzione dei rischi e dei benefici connessi alla libertà d’impresa, consentirebbe al venditore di non vedersi costretto a sopportare in via esclusiva gli oneri patrimoniali conseguenti al difetto di conformità. La disciplina normativa del regresso, nell’ambito della vendita dei beni di consumo, risulta pertanto suscettibile di essere indirizzata a riequilibrare la posizione dei professionisti c.d. “deboli” o “consumatori intermedi” (quali i dettaglianti o i fornitori) nei confronti dei grandi produttori, poiché essi potranno essere sollevati sia da una pronuncia di vessatorietà delle clausole contrattuali imposte dal produttore nella contrattazione con il consumatore, sia in presenza di un difetto di conformità e relativa condanna al risarcimento del danno183.

Il riconoscimento della possibilità di riversare su altri operatori della medesima filiera – sia esso produttore, grossista, o altro intermediario – i costi anticipati per il soddisfacimento della garanzia legale del consumatore, potrebbe altresì essere letto in un’ottica di costante sollecito al miglioramento e all’affinamento dei processi di produzione e di distribuzione e, per tal via, del livello qualitativo dei beni offerti al pubblico, perché si impedisce al fabbricante di essere, nei fatti, libero da rischi patrimoniali con l’addossare ai distributori le conseguenze negative di difetti a se stesso ascrivibili.

Una simile lettura della norma potrebbe finanche rappresentare una valida argomentazione su cui fondare le conclusioni di chi si spinge a sostenere che le

182

LOMBARDI, in Garanzia e responsabilità nella vendita dei beni di consumo, in op.cit., p. 456 e ss. 183

IDEM, in nota, p. 457. Sulla figura del consumatore intermedio si rinvia a CASSANO, Professionista

debole e clausole vessatorie (a proposito dell’azione di regresso di cui all’art. 1469-quinquies, 4 comma, c.c.), in Danno e resp., 2000, p. 587 ss.

disposizioni di cui all’art. 131 Cod. consumo assumerebbero un’autentica finalità di politica economica184.

Ciò premesso, nei fatti, un notevole freno – se non addirittura il principale – per la piena e puntuale applicazione dell’intera disciplina legale sulle garanzie postvendita, è tuttavia rappresentato dalla disposizione – conforme all’opzione che la direttiva 99/44/CE ha rimesso alla discrezionalità degli Stati membri nonché alla disciplina codicistica della compravendita – di cui al medesimo art. 131 Codice del consumo, ai sensi della quale è possibile prevedere nei contratti commerciali, all’interno della filiera distributiva, deroghe espresse al diritto di regresso attraverso l’inserimento di un “patto contrario o

rinuncia” al medesimo diritto. A fortiori, pertanto, deve considerarsi altresì possibile la

previsione di limitazioni pattizie all’esercizio di tale diritto185.

Tale esclusione può conseguire a qualsiasi accordo o atto unilaterale intervenuto indifferentemente prima o dopo il sorgere del diritto di regresso, che abbia l’effetto di renderne più difficoltoso l’esercizio da parte del venditore finale o di escluderlo, in presenza di determinate circostanze, quale, ad esempio, una pattuizione diretta ad imporre al venditore finale un obbligo di denuncia del difetto a pena di decadenza ovvero diretta a prevedere l’onere per il venditore finale convenuto dal consumatore di chiamare in causa colui contro il quale intenda poi agire in regresso o, ancora, volta ad escludere il diritto di regresso nel caso in cui il difetto sia stato materialmente causato dal soggetto passivo186.

Alla previsione di tale possibilità è conseguita una prassi commerciale consolidata in base alla quale i produttori, così come i diversi operatori economici della medesima filiera distributiva, nell’ambito delle c.d. “operazioni negoziali complesse”, tipiche del decentramento produttivo e distributivo – quali, ad esempio, le intese verticali – sono soliti adottare, nei propri rapporti contrattuali, clausole di esonero, totale o parziale, da responsabilità.

184 Cfr. ancora LOMBARDI, op.ult.cit., in nota, p. 457.

185Più diffusamente,sul punto, cfr. DELOGU, I patti modificativi della responsabilità del venditore: la

direttiva 1999/44/CE, l’odierno diritto italiano e le prospettive di riforma, in Contratto impresa/Europa,

2000.

186 Così ZACCARIA – DE CRISTOFARO, Art. 131 (Diritto di regresso), in Commentario breve al

In particolare, è possibile riscontrare la notevole diffusione di clausole che prevedano espressamente una limitazione temporale della responsabilità del produttore – in genere un anno – ovvero producano il medesimo risultato attraverso espedienti quali la previsione di un termine iniziale di decorrenza che non coincida con l’acquisto del bene da parte del consumatore finale (ad esempio dal momento in cui il bene viene acquisito dal rivenditore).

Parimenti frequenti sono quelle previsioni contrattuali imposte dai produttori che subordinano la prestazione del proprio servizio di assistenza al divieto a carico dei rivenditore, ad esempio, di effettuare interventi diretti di riparazione di un bene ovvero di decidere autonomamente in merito alla necessità della sostituzione del medesimo, senza ricorrere ai centri di assistenza autorizzati, pena la decadenza da qualsiasi diritto ad essere rimborsati per la prestazione eseguita.

Appare dunque evidente che tanto l’esclusione quanto la limitazione della possibilità per il venditore finale di agire in regresso nei confronti del proprio dante causa rappresentino un chiaro vantaggio economico a beneficio di quest’ultimo, tanto che la prassi di prevedere “patti in deroga” costituisce ormai la regola, in particolare quando il potere economico del dettagliante è minore rispetto a quello del fornitore.

A tal proposito, non sembra sufficiente, seppur fondato, il rilievo secondo cui simili clausole impedirebbero l’esercizio del diritto di regresso limitatamente all’immediato dante causa, rimanendo impregiudicata la possibilità di agire contro qualunque altro soggetto della catena contrattuale, naturalmente a condizione che questi sia effettivamente responsabile del difetto di conformità187.

Una simile obiezione, infatti, non contempla, naturalmente, l’ipotesi in cui l’effettivo responsabile del difetto di conformità sia l’immediato contraente del venditore finale, eventualità questa ancor più evidente e rilevante nel caso in cui la controparte contrattuale del dettagliante sia proprio il produttore. In quest’ultimo caso, infatti, il peso dell’intera disciplina finirebbe per gravare esclusivamente sul dettagliante.

Tale rischio ha finito per rappresentare un vero e proprio deterrente ai fini della corretta e puntuale applicazione della disciplina sulla garanzia postvendita da parte dei rivenditori che, di fatto, tentano di sottrarsi al medesimo arrivando, di frequente, persino

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a rifiutarsi di prestare ai consumatori i rimedi previsti ex lege ai sensi dell’art. 130, comma 2, Codice del consumo (ad esempio “rinviandoli” presso i centri d’assistenza dei produttori), come riscontrato dalla stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in occasione delle richiamate istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette che hanno avuto come oggetto proprio la mancata prestazione dell’assistenza postvendita188.

Occorre infine considerare che, anche nel caso in cui non vengano espressamente previste deroghe o limitazioni contrattuali al diritto di regresso, i rivenditori, al fine di salvaguardare le relazioni commerciali che intrattengono con i propri fornitori e produttori, difficilmente arrivano ad agire in giudizio nei confronti di questi ultimi – come dimostra la pressoché assoluta mancanza di pronunce giurisprudenziali in tal senso – preferendo farsi carico dei costi eventualmente sostenuti piuttosto che “inimicarsi” i propri partners commerciali.

In definitiva, risulta abbastanza evidente che i dettaglianti, in particolare se si tratta di piccoli imprenditori autonomi, finiscono per rappresentare a tutti gli effetti l’anello debole della catena contrattuale, almeno da un punto di vista meramente normativo, schiacciati da una parte dallo squilibrio economico in favore dei produttori, capaci di imporre simili clausole, e dall’altra obbligati al rispetto degli obblighi cui sono ex lege tenuti nei confronti dei consumatori.

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