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LA FINANZA COMPORTAMENTALE

2.1.3 LA DIVERSIFICAZIONE NAÏVE

Dopo aver analizzato le tesi che mettono in discussione il principio della razionalità degli investitori e dell’efficienza dei mercati, rimangono da considerare le critiche mosse dalla finanza comportamentale all’ultimo pilastro fondante dell’impostazione classica, ossia la convinzione che gli investitori, nella realizzazione dei loro portafogli di investimento, seguano attentamente i dettami della teoria di portafoglio che si basa sul principio media-varianza.

Come si è visto, fino agli anni Cinquanta la letteratura finanziaria, partendo dal presupposto che gli investitori sono dei soggetti razionali in grado di ottimizzare il proprio profilo di rischio- rendimento, continuava a promuovere il principio di diversificazione del portafoglio titoli e il conseguente beneficio che ne deriva: se si sceglie di allocare il proprio denaro in più attività finanziarie i cui rendimenti non sono perfettamente correlati tra loro, allora si riduce la rischiosità complessiva dell’investimento.

La finanza comportale dimostra come, nella maggioranza dei casi, la teoria classica del portafoglio venga sistematicamente violata dal comportamento degli investitori. Anche in questo caso, infatti, gli investitori, per semplificare il loro processo decisionale e sfruttare comunque i vantaggi della diversificazione del portafoglio, utilizzano delle “scorciatoie mentali” (appunto le c.d. euristiche) che gli consentono di scegliere più semplicemente una soluzione soddisfante anche se non ottima. Importanti sono le evidenze che danno prova di come i soggetti, anche quando intendono diversificare gli investimenti, non adottino una diversificazione che considera l’effetto della correlazione.

Nello studio “A behavioral model for asset allocation” gli studiosi tedeschi Niklas Siebenmorgen e Martin Weber, attraverso un esperimento dimostrano come i promotori finanziari, gli impiegati di

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Jacobsen B., Boumans, 2002, “The Halloween indicator. Sell in may and Go Away. Another Puzzle”, American Economic Review, vol. 995, pp. 1618-1635.

banca con esperienza nel campo della consulenza agli investimenti finanziari, non siano in grado di applicare correttamente le correlazioni e l'approccio tradizionale alla Markowitz. Inoltre analizzarono la capacità esplicativa di un nuovo approccio comportamentale alla selezione di portafoglio basato sui concetti di puro rischio e di diversificazione ingenua.

In “The Mean-Variance-Optimization Puzzle Security Portfolios and Food Portfolios” gli autori Kenneth L. Fisher e Meir Statman (anno) riassumono il risultato dei loro studi grazie ad un’analogia: come le persone nella costruzione delle loro diete, prestano più attenzione all’utilità anziché al costo e ai valori nutrizionali, allo stesso modo gli investitori preferiscono portafogli intuitivamente attraenti piuttosto che portafogli ottimizzati secondo l’approccio standard della media-varianza.

Con “Individual investors’ risk judgments and investment decisions: the impact of accounting and

market data” M. G. Lipe (anno) verifica che gli investitori, contrariamente a quando indicato nella

teoria classica del portafoglio, nelle loro decisioni vengono influenzati dalla variabile varianza ma non dalla covarianza.

In “Experimental Tests of the Mean-Variance Model for Portfolio Selection” Yoram Kroll, Haim Levy e Amnon Rapoport (anno) chiesero a degli studenti universitari esperti in statistica di selezionare 40 portafogli tenendo in considerazione una serie di informazioni. I risultati mostrano un'alta percentuale di portafogli non efficienti secondo il principio di media-varianza e come tale percentuale non diminuisca nemmeno con la pratica ed un alto livello di richieste di informazioni inutili.

Lo studio intitolato “All their eggs in one basket: Portfolio diversification of US households” condotto da Morgan Kelly (anno) valuta, invece, il grado di diversificazione dei portafogli delle famiglie statunitensi: l’esito appare negativo (scarsa diversificazione).

Alla luce di queste e altre considerazioni, per tener conto delle distorsioni legate alla psicologia dei decisori (soggetti non esperti ma anche professionisti) sono stati presentati nuovi modelli per le decisioni di portafoglio. Noi ci soffermeremo, in particolare, su una di queste.

Una strategia di diversificazione intermedia, nata dalla mescolanza tra il modello della teoria classica e il modello “emotivo” della teoria comportamentale, prende il nome di naïve

diversification (diversificazione ingenua). La naïve diversification viene definita come la tendenza

dei consumatori a diversificare i propri investimenti al di là di quanto giustificabile sulla base di ragioni economiche razionali (Benartzi & Thaler, 2001). Più gli investitori ricorrono a giudizi intuitivi, più è probabile che essi cadano nel bias c.d. di diversificazione ingenua. La diversificazione a volte può essere una strategia sensata, ma allo stesso tempo può portare a investimenti incoerenti con le proprie preferenze di rischio.

Il primo autore a studiare tale fenomeno fu Itamar Simonson (1990)58. Egli diede la possibilità a degli studenti di scegliere tra sei semplici snack (caramelle, patatine…) in due differenti condizioni: una di scelta sequenziale (ogni settimana una scelta, per tre settimane) e una di scelta simultanea, (una sola scelta, durante la prima settimana, in funzione dei consumi stimati per le tre settimane successive). I risultati di questo esperimento consentirono a Simonson di dimostrare come le persone tendono ad una maggiore diversificazione in una condizione di scelta simultanea rispetto all’opzione di scelta sequenziale: in altre parole, quando gli individui devono prendere una decisione in un’unica volta sono portati ad una maggiore diversificazione rispetto a quando hanno la possibilità di prendere la decisione in modo più dilazionato nel tempo. Esperimenti simili o col medesimo scopo sono poi stati condotti anche da altri studi e tutti hanno confermato come il concetto di diversificazione non sia quello inteso da Markowitz.

Questa diversificazione si definisce ingenua perché gli investitori nella costruzione del loro portafoglio ottimale adottano la “regola 1/N”, ovvero tendono a dividere in modo equo i loro risparmi tra le diverse opzioni disponibili, comportandosi così in modo incoerente ed irrazionale. Ad esempio, se all’investitore venissero offerte tre alternative di investimento, egli dividerebbe la sua somma di denaro in modo eguale tra queste ottenendo un beneficio di diversificazione pari a 1/3.

L’investitore si limita quindi ad operare un semplice calcolo matematico (e non probabilistico come vorrebbe la finanza classica): suddivide la somma da investire in modo esattamente proporzionale tra le alternative che ha a disposizione. L’unica accortezza che avrà sarà quella di ridurre o aumentare la somma destinata ad una alternativa rischiosa in misura proporzionale al suo grado di propensione al rischio.

Nonostante questo modo di operare si allontani dalla diversificazione prevista dal modello di Markowitz, oggi è quello maggiormente diffuso (citare un riferimento).

Rilevanti sono gli studi di Benartzi e Thaler che hanno spesso condotto test per la definizione dei piani di accumulo dei lavoratori americani59. Consideriamone uno. I due studiosi rivolgendosi a dei dipendenti chiesero loro come avrebbero deciso di ripartire i loro contributi di fronte alle seguenti alternative: un fondo azionario e uno obbligazionario. I dipendenti decisero di destinare metà del loro risparmio al fondo azionario e la restante metà a quello obbligazionario, sebbene i rischi tra i due strumenti fossero evidentemente differenti. Anche aggiungendo un terzo fondo azionario, gli individui continuarono a dividere in modo equo il loro patrimonio e in questo caso, quindi,

58 Simonson I. “The Effect of Purchase Quantity and Timing on Variety-Seeking Behavior.” Journal of Marketing

Research, May 1990, 27 (2), pp. 150-62.

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Benartzi S., Thaler R., marzo 2001, “Naïve Diversification Strategies in Defined Contributions Saving Plans”, The American Economic Review, Vol. 91, n.1.

dedicarono ben due terzi alle azioni e un terzo alle obbligazioni, aumentando notevolmente il rischio di portafoglio invece di ridurlo come suggerisce il reale concetto di diversificazione.

Nonostante tutto, in alcuni casi questa regola di allocazione può non essere del tutto sbagliata. Tuttavia l’eccessiva fiducia in questo tipo di scelta può rivelarsi molto costosa. Il primo caso che rende evidente quanto detto consiste nel diversificare in modo errato costruendo un portafoglio che non si trova sulla frontiera efficiente. In questa circostanza i danni sono limitati: anche la più ingenua tra le diversificazioni “1/n” porta molto spesso ad un punto che si trova molto vicino a quelli che si trovano sulla frontiera efficiente. Nel secondo caso, invece, il costo è elevato e deriva dall’aver scelto un punto sbagliato lungo la frontiera efficiente.

Indipendentemente da questo, quello che si vuole comprendere è se effettivamente la diversificazione naïve sia una strategia dovuta solamente ad aspetti cognitivi ed emotivi tipici degli investitori o se, in realtà, gli individui non sono in grado di mettere in atto le teorie classiche a causa della mancanza di una adeguata cultura finanziaria sul tema della diversificazione e delle scelte finanziarie in generale.