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La dottrina del “margine di apprezzamento”

Il controllo operato dalla Corte di Strasburgo sulle misure di deroga

4. I criteri interpretat

4.1 La dottrina del “margine di apprezzamento”

Sin dalle sentenze della fine degli anni '50, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha fatto riferimento ad un "margine di apprezzamento" lasciato agli Stati per l'adozione di misure derogatorie, o di misure costituenti una "interferenza" rispetto alle disposizioni della CEDU. Questo riferimento, costantemente richiamato dalla Corte in moltissime delle sue pronunce, in particolare in sede di applicazione degli artt. 8-11, 14, 15 CEDU e dell'art. 1 del primo Protocollo, ha assunto una pregnanza tale da dare luogo a quella che i numerosi commentatori che l'hanno osservata hanno definito una vera e propria "dottrina"59. Tale dottrina assume diverse accezioni e significati a seconda, ad esempio, della norma della CEDU violata o derogata da uno Stato, o dell'interesse sulla base del quale lo Stato in questione giustifica l'interferenza con il diritto sancito dalla CEDU.

Il margine di apprezzamento è quel margine in cui la Corte riconosce agli Stati libertà di azione e di manovra, prima di dichiarare che la misura statale di deroga, di limitazione o di interferenza con una libertà garantita dalla CEDU configuri una concreta violazione della Convenzione stessa: il confine tra misure ammesse e non ammesse risulta quindi mobile.

Il principale problema creato dalla dottrina del margine di apprezzamento è quello di conciliare un'interpretazione uniforme della CEDU con un criterio di relatività che assicuri il rispetto delle diversità giuridiche, culturali e sociali dei paesi membri della CEDU stessa.

D'altro canto, discende da questa tensione tra sovranità statali e applicazione uniforme della Convenzione anche la penetrante critica che spesso viene rivolta alla dottrina del margine di apprezzamento, secondo la quale essa potrebbe dare luogo ad un sistema di protezione dei diritti potenzialmente disomogeneo.

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Anche se non mancano le voci che hanno sollevato obiezioni a questa definizione, lamentando la carenza di quel minimo di "specificità teorica" e di coerenza che dovrebbe caratterizzare una "dottrina".

La dottrina del margine di apprezzamento, dunque, vuole conciliare aspetti apparentemente contraddittori come l'uniforme applicazione della Convenzione ed il rispetto delle diversità statali, le quali possono essere di natura sociale e culturale, economica, politica e giuridica.

Parlando in particolare dell’uso della dottrina da parte della Corte in sede di applicazione dell'art. 15 CEDU, la possibilità per gli Stati di godere di un margine di apprezzamento che consenta loro di valutare in quale caso ricorrano gli estremi della "guerra" o del "pericolo pubblico che minacci la vita della nazione" trova la sua origine nel diritto bellico, che attribuisce agli Stati una discrezionalità nel riconoscere l'esistenza di una situazione di guerra "esterna" o di grave emergenza "interna". L’ampia possibilità derogatoria offerta dall’art. 15 è compensata da una serie di cautele (v. cap. II). Non stupisce che la teoria del margine di apprezzamento abbia trovato il suo primo campo di prova proprio in questo contesto: da un lato, infatti, le misure adottate ex art. 15 CEDU sono quelle che in maniera più evidente e diretta vanno ad incidere sul contesto di tutela dei diritti umani predisposto dalla Convenzione, dall'altro lato il giudizio sulla loro ammissibilità nel quadro della Convenzione è quello che risulta più intriso di "politicità", andando a coinvolgere valutazioni statali di natura fortemente politica come quella sul riconoscimento dello stato di emergenza.

Di seguito verranno analizzati i casi giurisprudenziali più rilevanti in materia.

a) il caso Grecia c. Regno Unito (Cipro) e il caso Lawless

Nel caso Grecia c. Regno Unito del 1956, originato dalla situazione dell'isola di Cipro, per la prima volta Commissione di Strasburgo (non la Corte) riconosceva in capo agli Stati l'esistenza di "un certo margine di apprezzamento" in ordine a due diversi aspetti: da una parte la ricorrenza di quegli estremi di urgenza che l'art. 15 CEDU ritiene indispensabili per attivare la deroga ivi prevista (cioè la guerra o l'altra situazione di pericolo

idonea a mettere in pericolo la vita della nazione), e dall'altra parte il giudizio sulla circostanza che le misure adottate siano solo e soltanto quelle strettamente richieste dalla situazione di emergenza.

La Corte, invece, fece uso del concetto di margine di apprezzamento per la prima volta nella sentenza Lawless del 1961, nella quale si decise del ricorso di un cittadino irlandese - vicino all'IRA - che era stato sottoposto a detenzioni senza processo da parte della governo irlandese.

Queste deroghe all'art. 5 della Convenzione erano state giustificate ai sensi dell'art. 15 CEDU come deroghe collegate alla "pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione". In quel caso la Corte riconobbe che in capo allo Stato che adotta le misure derogatorie sussiste un margine di apprezzamento in ordine sia alla ricorrenza dello stato di emergenza (che veniva ravvisato nella esistenza stessa di gruppi di terrorismo armato come l'IRA), sia nella scelta delle misure "strettamente richieste dalla situazione".

La Corte non scese ad esaminare se lo stato di emergenza addotto dal governo irlandese esistesse davvero, ma si limitò a verificare se la Repubblica irlandese avesse ragionevolmente desunto da tale stato una situazione di emergenza che minacciasse la vita della nazione. La principale novità di questa decisione, rispetto all'orientamento già espresso dalla Commissione nel caso di Cipro, sta soprattutto nel fatto che la Corte non intese accogliere l'orientamento espresso nel corso del giudizio dal governo irlandese, secondo il quale la Corte stessa avrebbe solamente potuto giudicare sulla ricorrenza di una condizione di "buona fede" dello Stato, ai sensi dell'art. 18 CEDU, e non invece sulla ricorrenza degli elementi previsti dallo stesso art 15. La Corte, invece, operò un giudizio sulla "ragionevolezza" delle misure adottate e sulla "proporzionalità" rispetto alla situazione di emergenza lamentata: in entrambi i casi, peraltro, ritenne che le misure adottate dal governo irlandese fossero ammissibili in quanto rientranti nel citato margine di apprezzamento.

Da subito dunque la dottrina del margine di apprezzamento si è configurata come lo strumento con cui la Corte traccia il confine tra la propria competenza e quella riservata agli Stati. E, fin dall'inizio, la Corte riconosce la propria competenza ad individuare questo confine, anche in un contesto intriso di politicità, come quello aperto dall'art. 15 CEDU. b) il caso greco

La vicenda fu originata dal colpo di Stato del colonnelli in Grecia, che giunse di fronte alla Commissione nel 1969 per via di alcuni ricorsi presentati dai paesi scandinavi contro alcune misure adottate in Grecia dal nuovo regime militare, che tendevano a derogare parecchie disposizioni della Convenzione, quali soprattutto quelle che consacrano la libertà di espressione del pensiero, la libertà di riunione, il diritto ad un processo equo. Pur di fronte all'invocazione e alla rivendicazione, da parte del governo greco, del proprio margine di apprezzamento in ordine alla determinazione sia della sussistenza di uno stato di emergenza sia alla congruità con tale situazione delle misure adottate, la Commissione restò indifferente al richiamo alla giurisprudenza inaugurata con il caso Lawless, e censurò ampiamente le misure adottate dal governo greco; la vicenda si concluse addirittura con la denunzia della Convenzione da parte della Grecia.

L'atteggiamento della Commissione nei confronti della Grecia conferma come il giudizio sulla corretta applicazione della deroga di cui all'art. 15 CEDU implichi un fattore politico difficilmente ponderabile a priori. Coloro che hanno commentato la decisione della Commissione, infatti, sono concordi nel valutare come essa sia derivata dalla "volontà politica di mettere in difficoltà un governo sicuramente non democratico", come indubbiamente era il governo militare greco, e che tale decisione deve quindi considerarsi una "parentesi" nella giurisprudenza della corte sul margine di apprezzamento.

c) Il caso Regno Unito c. Irlanda

La prima compiuta teorizzazione della dottrina del margine di apprezzamento nel quadro dell'applicazione dell'art. 15 CEDU si deve alla sentenza sul caso Regno Unito c. Irlanda del 1976, nella quale, ancora una volta, la Corte si trovava a valutare la compatibilità di una deroga adottata ex art. 15 con i limiti e le garanzie previste da quello stesso articolo. In questo caso, peraltro, le parti in causa non mettevano in discussione l'esistenza di una situazione di emergenza (che, anche stavolta, era da individuarsi nell'attività dell'IRA sul territorio nordirlandese), ma l'Irlanda contestava che alcune misure adottate dal governo britannico fossero effettivamente "strettamente richieste dalla situazione".

La Corte in tale situazione ha raffinato la propria giurisprudenza Lawless - nella quale si era limitata a rivendicare il proprio controllo sulla ragionevolezza delle misure di deroga - individuando per la prima volta una vera e propria ratio della dottrina del margine di apprezzamento. In primo luogo la Corte riconosce che spetta allo Stato di riconoscere se sussiste una situazione di emergenza e quali siano gli strumenti necessari a fronteggiare tale situazione. Ciò in quanto lo Stato da un lato è responsabile per la "vita della nazione", e dall'altro è in "continuo e diretto contatto con i bisogni più pressanti del momento"; la Stato quindi, si trova in una "miglior posizione" (better position) rispetto alla giudice internazionale per decidere se esista una emergenza e quali siano gli strumenti necessari per affrontarla.

Ma ciò non esclude del tutto il ruolo della Corte.

Accanto al margine di apprezzamento statale, quindi, si accompagna a si affianca l'esercizio da parte della Corte di una funzione di "supervisione" della adeguatezza delle misure adottate: tale supervisione, peraltro, non può concretarsi in una mera critica - formulata ex post, in sede di giudizio- della eventuale inadeguatezza delle misure adottate ad affrontare la situazione di emergenza (con il che si verificherebbe una sorta di

"sostituzione" a posteriori della Corte allo Stato nella scelta delle misure adottabili), ma deve avere ad oggetto semplicemente il judicial review delle misure a suo tempo adottate, avendo riguardo al momento in cui esse furono adottate.

La giurisprudenza inaugurata con il caso Irlanda c. Regno Unito è stata poi nelle sue linee generali seguita con i successivi casiBranningan e Mc

Bride del 1993 e Aksoy del 1996.

Tutta l'evoluzione giurisprudenziale sopra descritta appare compresa in una doppia tensione. Da un lato vi si può ravvisare la volontà di riempire di contenuto giuridico le espressioni indeterminate utilizzate dall'art. 15 CEDU, attraverso una interpretazione di esse che consenta alla Corte di mantenere un ruolo nella sua applicazione, impedendo che la semplice notificazione della deroga autorizzi lo Stato a tenere un contegno sostanzialmente arbitrario, nel rispetto, peraltro, della natura notoriamente sussidiaria della tutela garantita dalla Convenzione rispetto al diritto nazionale.

D'altro canto non può trascurarsi il riferimento costante alla better

position dello Stato, secondo cui le autorità interne degli Stati sono le "più

vicine" alla concreta situazione di fatto, e sono quindi le più indicate a qualificarla come "guerra" o "pericolo pubblico che minacci la vita della nazione": ciò attribuisce loro "un certo margine di apprezzamento".

Queste circostanze inducono a ritenere che, nell'ambito dell'applicazione dell'art. 15 CEDU, il ruolo della dottrina del margine di apprezzamento abbia avuto una evoluzione meno incisiva di quanto non sia accaduto nella giurisprudenza relativa ad altre parti della Convenzione.

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