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La gestione dell’impianto sportivo come servizio

Prima di giungere ad analizzare il cuore della questione, appare necessario andare a ricercare quali sono state le definizioni di servizio pubblico elaborate dalla dottrina e valutare, alla luce delle medesime, se la gestione di un impianto sportivo sia qualificabile come servizio pubblico. La definizione del concetto di servizio pubblico è stata considerata, da un’autorevole scuola di pensiero, tra le più tormentate dell’ordinamento giuridico italiano107, poiché la legislazione non ne ha mai saputo fornire una nozione espressa e, conseguentemente, la dottrina non ha avuto a disposizione precisi ed univoci termini di riferimento sui quali fondare le proprie costruzioni teoriche. Come in ogni ambito del diritto, la qualificazione giuridica delle attività è variabile, seguendo gli scopi, gli interessi e le condizioni del mercato e della società108.

Manca una definizione anche nel tessuto dell’art. 133, lett. c) c.p.a., che, pur statuendo che “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri 107 V. l’autorevole contributo sulla questione di M.S. GIANNINI, Diritto

amministrativo, Vol. I, Giuffrè, Milano, 1993.

108 Un esempio limite conferma quando appena sostenuto: “il primo servizio pubblico istituito dai comuni fu, per quanto possa apparire paradossale, quello dei bordelli. Intorno alla metà del 1300, quando ancora le attività di interesse generale, come l’assistenza, la sanità, l’istruzione, i servizi cimiteriali, erano gestiti dalla chiesa o da pie confraternite, i comuni disciplinarono l’esercizio della prostituzione e vi adibirono appositi edifici, talvolta gestendoli direttamente, il più delle volte affidandone la gestione ai privati”, come sostenuto da G. Rossi, Principi di diritto amministrativo, II ed., Giappichelli, Torino, 2015, p. 408.

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corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”, non ne delimita puntualmente i connotati, limitandosi a qualche esemplificazione.

Nell’ambito della dottrina che si è occupata in termini generali della definizione del concetto di servizio pubblico si distinguono tradizionalmente due indirizzi: la concezione soggettiva e la concezione oggettiva.

Secondo la teoria soggettiva (o nominalistica), “il servizio pubblico consiste in un’attività non avente forma autoritativa rivolta a terzi, la cui titolarità è assunta da un ente pubblico. Si tratta quindi di una nozione residuale, imperniata sul fatto meramente nominalistico che una certa attività sia assunta da un pubblico potere, mentre non hanno rilievo le caratteristiche dell’attività svolta”109. Dunque, secondo tale teoria, “nell’ottica del diritto amministrativo, servizio pubblico in senso stretto può aversi solo in rapporto a compiti che il soggetto pubblico consideri propri nell’ambito delle

109 R. CHIEPPA – R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, IV ed., Milano, Giuffrè, 2018, p. 1067.

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sue competenze istituzionali; a tali compiti sono chiamate a partecipare anche persone fisiche o giuridiche private, posto che il loro svolgimento non implica (di norma) esercizio di poteri autoritativi, ma l’attività viene comunque riferita all’organizzazione pubblica globalmente intesa”110.

L’orientamento che condivideva la teoria soggettiva del servizio pubblico è stato oggetto di diverse critiche che hanno condotto all’elaborazione della concezione oggettiva. Seconda quest’ultima dottrina, “a prescindere dalla titolarità del servizio, è la natura dell’attività e la sua sostanziale rispondenza ad un interesse generale ad assumere rilievo ai fini della qualificazione dell’attività in termini di servizio pubblico. Secondo questa impostazione, quindi, è servizio pubblico ogni attività che sia oggetto di applicazione di un regime giuridico peculiare, volto alla tutela dell’interesse pubblico attraverso di essa perseguito e indipendentemente dalla natura pubblica degli operatori”111. A sostegno di tale tesi sono stati portati diversi argomenti di natura positiva. In primo luogo, l’art. 43 Cost. il quale prevede che, “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni

110 R. VILLATA, Pubblici servizi. Discussione e problemi, Giuffrè, 2008, p. 20. 111 R. CHIEPPA – R. GIOVAGNOLI, op. cit., p. 1068.

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di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Come è evidente, la riserva od il trasferimento alo Stato od altro ente pubblico delle imprese che si riferiscono a pubblici servizi essenziali è prevista come mera possibilità, con la conseguenza che è costituzionalmente ammessa l’eventualità di una gestione di servizi ad opera di privati. In secondo luogo, altre ragioni a sostegno della concezione oggettiva possono essere rinvenute nel processo di privatizzazione che ha interessato gli enti pubblici economici: si è assistito, infatti, al progressivo transito da una forma diretta di intervento pubblico nell’economia ad un modello di intervento che vede la pubblica amministrazione limitarsi ad un ruolo di regolamentazione, indirizzo e controllo di attività non semplicemente gestite, ma sempre più assegnate a soggetti privati; attività che, tuttavia, non per ciò solo, perdono quelle connotazioni pubblicistiche che spesso in passato avevano giustificato il loro espletamento ad opera di enti pubblici.

Un ultimo argomento a sostegno di tale impostazione deriva dal diritto comunitario e, in particolare, dall’art. 106, par. 2 TFUE, che prevede come “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro

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affidata”. Appare chiaro come il tenore della norma sia quello di indicare che la qualificazione di servizi di interesse economico generale – locuzione che corrisponde a quella di servizi pubblici propria del nostro ordinamento nazionale – prescinda dalla natura giuridica del soggetto preposto all’espletamento dell’attività economica, ma che si caratterizza per la sottoposizione della stessa attività ad una disciplina che, costituendo deroga, sia pure parziale, al regime concorrenziale, dia luogo ad una conformazione pubblicistica dell’attività, giustificata dalla necessità di perseguire gli specifici compiti assegnati al gestore del servizio.

Giungendo ora alla rilevanza nell’indagine in oggetto di tale approdo dottrinale, è possibile evidenziare come la nozione oggettiva di servizio pubblico si attaglia perfettamente alla gestione degli impianti sportivi da parte della pubblica amministrazione. In particolar modo, uno degli indirizzi facenti parte dell’orientamento che sostiene la teoria oggettiva, pone l’accento sul requisito della destinazione dell’attività al pubblico: il servizio viene, in sostanza, definito come pubblico proprio perché indirizzato istituzionalmente al pubblico, destinato cioè a soddisfare direttamente specifici bisogni di rilevanza generale dei cittadini, qual è quello dello sport, costituzionalmente tutelato e previsto in via indiretta da una serie di disposizioni, tra cui gli artt. 2, 18, 32 e così via.

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Per quanto attiene agli orientamenti della giurisprudenza amministrativa, questa si è pronunciata nel corso dei decenni sulla possibilità di qualificare lo sport e la gestione degli impianti sportivi come servizio pubblico.

Un primo orientamento afferma che “sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale, come nel caso della gestione di impianti sportivi comunali”112.

Ancora più chiaramente si è espressa, negli anni successivi, la giurisprudenza di Palazzo Spada, affermando che “secondo la costante giurisprudenza di questa Sezione sono servizi pubblici non solo i servizi specificamente denominati tali dalla legge e riservati ai comuni e alle province, ma tutte le attività di produzione di servizi rispondenti a fini di utilità e di promozione sociale. Un centro sportivo strutturato in una piscina, di proprietà comunale, è un bene che per sua natura è destinata ad essere adibita ad un uso pubblico. L'attività ad essa inerente, pertanto, ha tutte le caratteristiche per essere qualificata come un servizio pubblico”113.

Inoltre, in merito alla possibilità di considerare la piscina comunale come servizio pubblico, si è affermato che “i tratti distintivi del servizio pubblico sono ravvisabili nel servizio 112 Cfr. Sent. C.d.S., Sez. IV, n.6325 del 2000, nonché Sent. C.d.S., Sez. VI, n. 1514 del 2001.

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di gestione della piscina comunale. Difatti si tratta di un’attività oggettivamente correlata alla realizzazione di interessi pubblici essendo funzionale, per le sue caratteristiche intrinseche, a consentire a qualunque interessato lo svolgimento di attività sportiva, strettamente connessa con la tutela della salute che l’art. 32 della

Costituzione individua quale fondamentale diritto

dell’individuo e interesse della collettività. D’altro canto, è evidente che si tratta di un’attività prestata direttamente in favore degli utenti per soddisfare interessi di rilevanza generale”114.

Al fine di sgombrare il campo da qualsiasi dubbio di origine definitoria, si segnala come recentemente l’ANAC abbia stabilito che “come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alla natura del bene “impianto sportivo”, esso rientra nella previsione dell’ultimo capoverso dell’art. 826 c. c., ossia in quella relativa ai beni di proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili, i quali, ex art. 828 c.c. non possono essere sottratti alla loro destinazione. Su tali beni insiste, dunque, un vincolo funzionale, coerente con la loro vocazione naturale ad essere impiegati in favore della collettività, per attività di

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interesse generale e non vi è dubbio che la conduzione degli impianti sportivi sottenda a tale tipologia di attività”115. Appare utile richiamare, in tale ambito, la giurisprudenza costituzionale, la quale ha posato la propria attenzione sui limiti della giurisdizione amministrativa in materia di pubblici servizi, statuendo che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990)”116. La dottrina, in riferimento a tale arresto giurisprudenziale, ha affermato come “la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998, non solo per il riferimento ad una materia - quella dei servizi pubblici - dai confini estremamente opachi, ma anche per il riferimento indistinto a “tutte le controversie” ricadenti in tale settore, atteso che tale previsione è totalmente svincolata dalla natura delle posizioni giuridiche coinvolte, facendo rientrare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A.

115 V. Deliberazione ANAC AG 87/2015/AP del 2 dicembre 2015, nonché, sul tema, Sent. C.d.S. n. 2385/2013. La Sent. C.d.S., Sez. V, n. 3380 del 26 luglio 2016, inoltre, conferma il consolidato orientamento a tenore del quale gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile dell’ente, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive.

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controversie in cui non vi è alcun inestricabile legame con posizioni di interessi legittimo e nelle quali, quindi, la P.A. non agisce in alcun modo in veste di Autorità”117.

Una volta accertato che lo sport e, di conseguenza, la gestione degli impianti sportivi può essere considerata un servizio pubblico, è necessario spingere l’indagine ancora più a fondo, per comprendere se, in tale ambito, abbia valore la distinzione tra un servizio pubblico avente rilevanza economica ed un servizio pubblico non avente rilevanza economica.

Preliminarmente, tuttavia, bisogna comprendere se sia l’ente locale a stabilire, di volta in volta, la rilevanza economica o meno del servizio pubblico ovvero vi siano dei criteri che vincolano la discrezionalità dell’amministrazione locale. Un primo passo verso una possibile chiarificazione è quello di delucidare la nozione di rilevanza economica del servizio sportivo118.

In altre parole, bisogna differenziare fra due differenti forme di servizi. Da un lato, i servizi che si ritiene debbano essere resi alla collettività anche al di fuori di una logica di profitto d’impresa, cioè quelli che il mercato privato non è in grado o non è interessato a fornire, che sono definiti i cd. “market failures”, vale a dire quelle “esigenze che, se si lasciassero soltanto alle energie del mercato, o non sarebbero tutelate o

117 V. RAGANATO, La giurisdizione esclusiva del G.A. alla luce della

giurisprudenza della Corte Costituzionale.

118 Approfondisce la questione G. MANFREDI, La giuridificazione dello sport e degli

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lo sarebbero solo in parte. Con riferimento al servizio postale, ad esempio, qualora venisse rimessa integralmente al mercato l’attività di distribuzione e di recapito della corrispondenza, nessun operatore privato sarebbe disposto a sopportare le diseconomie connesse alla gestione di questo servizio in aree extraurbane o in località remote e scarsamente popolate. Tutta l’attività si concentrerebbe piuttosto nelle fasce di territorio più redditizie”119. Da non confondere con i “fallimenti del mercato” sono i “merit goods”, cioè quei beni che in assenza di obbligatorietà ed eventualmente di gratuità, molti non consumerebbero, come ad esempio nell’ ambito della cultura e dell’istruzione.

Dall’altro lato, invece, troviamo quei servizi che, pur essendo di pubblica utilità, fanno parte di quella fetta di mercato allettante per gli imprenditori, poiché la loro gestione permette di ottenere una remunerazione dei fattori di produzione e del capitale e consente all’impresa di trarre dalla gestione la fonte della remunerazione, con esclusione di interventi pubblici.

È stato affermato in dottrina che “il legislatore ha operato ipotesi di distinzione, inserendo, tuttavia, i servizi sportivi, insieme a quelli culturali e sociali, tra quelli privi di rilevanza economica, mentre altri servizi, come ad esempio quelli del

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trasporto pubblico, sono considerati tra quelli aventi rilevanza economica”120.

Il mondo sportivo, d’altra parte, è recentemente mutato in misura sostanziale e la situazione reale consente di operare distinzioni che comportano valutazioni completamente diverse rispetto al passato.

La gestione degli impianti sportivi privi di rilevanza economica è quindi quella che va certamente assistita dall’ente pubblico, poiché la gestione non è in grado di sostenersi da sola, trovandoci di fronte ad “market failures”. Quella degli impianti sportivi con rilevanza economica è invece quella che è in grado di sostenersi e di produrre reddito.

Nel settore sportivo è impensabile, sotto questo profilo, determinare ripartizioni pertinenti compiendo una mera distinzione tra tipi di impianti: sono, infatti, eccessivamente variegate le condizioni delle singole strutture in base al bacino d’utenza, alla grandezza ed alla tipologia di gestione. In tale senso, la possibile redditività di un impianto va determinata analizzando il caso di specie, compiendo uno approfondimento in base alla tipologia, alle attività praticate, al costo dell’organico, alle tariffe da esercitare nei confronti dell’utenza, ai metodi di gestione e a tutto quanto può essere utile a determinarne la produttività.

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Ovviamente strutture nelle quali la sola attività pensabile è quella agonistica, come ad esempio ad un singolo campo da pallacanestro, raramente potranno generare reddito, così come altri piccoli impianti all’aperto, come ad esempio le piste destinate alle varie discipline dell’atletica. Sempre più di frequente, tuttavia, l’impiego degli impianti sportivi si indirizza ad un insieme esteso di utenti, la cui richiesta è quella di una attività quantomeno sportiva basica, se non addirittura ricreativa, che non ha niente a che spartire con l’attività agonistica.

La forma societaria del futuro gestore non sembra determinate per stabilire, a prescindere da tutti gli altri elementi, la rilevanza economica di un impianto sportivo. Che tale soggetto assuma la forma di una associazione od una società sportiva costituita senza scopo di lucro oppure una società di tipo commerciale non ha rilievo, come non avrà particolare considerazione il fatto che il potenziale utile venga suddiviso oppure reinvestito nell’attività che determina la redditività di una impresa.

In quest’ottica, sembra attualmente illogico, alla luce delle attuali evoluzioni del mercato, classificare i servizi sportivi complessivamente intesi come attività senza rilevanza economica, perché ciascuna specifica circostanza e situazione deve essere considerata caso per caso.

In tale ambito si è espressa recentemente l’ANAC, affermando che “in ordine alle modalità di affidamento di tale

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gestione, alla luce delle intervenute disposizioni del d.lgs. 50/2016, occorre distinguere tra impianti con rilevanza economica ed impianti privi di rilevanza economica. Laddove gli impianti sportivi con rilevanza economica sono quelli la cui gestione è remunerativa e quindi in grado di produrre reddito, mentre gli impianti sportivi privi di rilevanza economica sono quelli la cui gestione non ha tali caratteristiche e va quindi assistita dall’ente”121.

Più in particolare, recenti arresti giurisprudenziali stabiliscono come “ai fini della definizione della rilevanza economica del servizio sportivo è necessario distinguere tra servizi che si ritiene debbano essere resi alla collettività anche al di fuori di una logica di profitto d’impresa, cioè quelli che il mercato privato non è in grado o non è interessato a fornire, da quelli che, pur essendo di pubblica utilità, rientrino in una situazione di mercato appetibile per gli imprenditori in quanto la loro gestione consente una remunerazione dei fattori di produzione e del capitale e permette all’impresa di trarre dalla gestione la fonte della remunerazione, con esclusione di interventi pubblici”122.

Prosegue ancora l’ANAC ribadendo che “nel settore sportivo sussistono diverse tipologie di impianti, distinte per bacino d’utenza, per grandezza, per attività alle quali sono deputati; pertanto, la redditività di un impianto sportivo deve

121 V. Deliberazione ANAC n. 1300 del 14 dicembre 2016. 122 Sent. TAR Lazio, 22 marzo 2011 n. 2538.

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essere valutata caso per caso, con riferimento ad elementi quali i costi e le modalità di gestione, le tariffe per l’utenza, le attività praticate”123.

Secondo alcuni orientamenti comunitari, la distinzione tra attività economiche e non ha carattere dinamico ed evolutivo, in quanto non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei relativi servizi, che varia nel tempo a seconda delle trasformazioni sociali. Secondo costante giurisprudenza comunitaria spetta comunque al Giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare dell’: assenza di uno scopo precipuamente lucrativo; mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività; eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione.

L’ente locale, infine, incide spesso sulla potenziale rilevanza economica degli impianti, con l’introduzione di vincoli

convenzionali che comprimono la capacità di

autofinanziamento del soggetto gestore: fra questi, il rispetto del sistema tariffario dei servizi rivolti all’utenza; i vincoli sociali di utilizzo; il numero di giornate di uso riservato degli impianti a titolo gratuito per iniziative dell’ente o di soggetti patrocinati; eventuali migliorie obbligatorie124.

123 V. Deliberazione ANAC n. 1300 del 14 dicembre 2016.

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