Cristiana Barbatelli
In Cina con o senza partner?
Era ed è uno dei temi più discussi in convegni e dibattiti fin da quando il Paese si è aperto agli investimenti esteri alla fine degli anni ‘80. Nel 1996, nello studio Going it alone in China,8 riportavo in forma statistica i risul-tati raccolti attraverso 30 interviste ad aziende che, avendo scelto formule differenti nei loro investimenti diretti, elencavano e valutavano le ragio-ni della scelta, il gradimento, il rischio, le difficoltà e altri fattori deter-minanti per il successo del loro progetto in Cina. La maggior parte degli intervistati preferiva fare a meno del partner e giustificava la scelta basan-dosi sui seguenti fattori:
• protezione del know how aziendale;
• capacità di scegliere e decidere la strategia di sviluppo senza alcun vincolo esterno all’azienda;
• maggior dinamismo della gestione interna; • meno vincoli nella comunicazione aziendale;
• maggior semplicità e rigore nella governance societaria.
Tuttavia le aziende esprimevano qualche preoccupazione perché andare “da soli” in Cina poteva comportare:
• difficoltà nella comprensione delle norme e dei meccanismi dell’am-biente del business;
• difficoltà e lentezza nella costruzione dei rapporti esterni e nelle rela-zioni con i poteri locali;
• maggiore difficoltà nella risoluzione di problemi e ostacoli posti da autorità locali, da fornitori, da clienti;
• complessità nella gestione delle risorse umane locali.
8 Cristiana Barbatelli, Going it alone in China, Political and Economic Relations Between Asia
Gli stessi intervistati poi identificavano gli ostacoli identificati come rischi per il successo del progetto.
In quegli anni, molti settori industriali non permettevano ancora inve-stimenti totalmente esteri, pertanto, la maggior parte delle aziende inter-vistate erano joint venture.
A seguito di questa ricerca ho scritto un articolo che fu pubblicato dieci anni fa con il titolo “La gestione dell’azienda in Cina”; non è un caso che il saggio si apra proprio con un’analisi dei rischi che determinano il suc-cesso o l’insucsuc-cesso dei progetti di investimento in Cina nel caso si vada da soli o si scelga di investire con un partner locale.9
Mentre nei primi dieci anni che hanno seguito l’apertura agli investi-menti esteri in Cina si registra un numero prevalente di joint venture,10 in seguito, negli anni duemila, con la graduale perdita di rigore delle norme che regolano gli investimenti esteri, e con una maggiore possibilità a più settori industriali di investire senza socio cinese, il numero di società di tipo WFOE (anche italiane), a capitale totalmente straniero, è cresciuto esponenzialmente.
Negli ultimi cinque anni ho visto di nuovo apparire investimenti in “controtendenza”, ovvero a capitale misto, effettuati da aziende straniere assieme a partner locali. È possibile che si sia evoluto il concetto di part-nership, e magari per questo motivo, anche a causa di una maggiore ma-turità degli investitori esteri, si è modificato in modo significativo il loro comportamento. Sicuramente le aziende ora hanno una maggiore consa-pevolezza dei rischi che presenta il mercato cinese. Se scelgono di inve-stire in Cina assieme a un partner lo fanno consapevolmente e con una maggiore maturità e fiducia.
Purtroppo se dovessi rispondere oggi alla domanda iniziale, ovvero se sia meglio andare in Cina da soli o con un partner (in circostanze dove non sia il sistema normativo a limitare le scelte dell’investitore estero), di-rei che, a guardare i risultati, si deve ancora ammettere che le joint ven-ture di successo sono molto poche e che le cosiddette WFOE (wholly
fo-9 C. Barbatelli, La gestione dell’azienda in Cina, in Maria Weber, La Cina non è per tutti, Edi-zioni Olivares, 2005.
10 Owen C.H. Ho, Determinants of foreign direct Investment in China: a sectorial analysis, School of Economics & Commerce, University of Western Australia, 2002.
reign-owned enterprises) vantano tutto sommato un maggior numero di
storie di successo.11
Se peraltro dovessi analizzare la durata e misurare la velocità della cre-scita delle società che hanno investito in Cina con un socio e di quelle in joint venture, dovrei ammettere che le WFOE crescono e si sviluppano con un tempo medio sicuramente più lungo delle società miste e che il successo ottenuto, e dunque la capacità di creazione di valore che posso-no esprimere, è dovuto alla loro “capacità di resistenza” in una crescita più lenta e a volte assai perigliosa.12
Oggi, in un mercato cinese che si presenta più facilmente parame-trabile e dalle caratteristiche più riconoscibili, poiché ormai “testato”, e dunque strategicamente più misurabile, le aziende che vanno da sole san-no che il loro percorso, pur san-non essendo semplice, sarà in una certa misu-ra più controllabile e dunque progmisu-rammabile.13
La domanda che ci si deve porre è se il percorso di crescita di un’azien-da WFOE sia tanto differente un’azien-da quello di una società in joint venture. Infatti le questioni che preoccupano e non vengono mai completamen-te risolcompletamen-te dagli investitori senza partner, quali la possibilità di difendere il know how tecnologico, o il marchio, o la difficoltà di capire e motivare le risorse umane e di gestire efficacemente i rapporti con le autorità locali o i fornitori e i clienti, e fondamentalmente la difficoltà di superare l’isola-mento in modo da creare valore anche per il territorio, sono temi ancora oggi sentiti e sofferti da tutte le aziende, anche dalle joint venture.
E infatti, mentre nella maggior parte dei casi la partnership con un so-cio cinese serve a garantire in qualche modo un rapporto più stretto con l’ambito locale (conoscenza del territorio, scelta delle maestranze, rap-porto con le autorità), l’azienda in joint venture resta spesso intrappola-ta in una tenaglia costituiintrappola-ta proprio dalle relazioni che il partner cinese
11 Sea-Jin Chang, Jaiho Chung ,Jon Jungbien Moon, When do wholly owned subsidiaries
per-form better than joint ventures?, Strategic Management Journal Impact Factor and Inper-formation,
Hoboken, Wiley & Sons, 2013.
12 Cristiana Barbatelli, Life of an SME in China: phases and way out strategy, Atti del Conve-gno: “Cina e Salento. Internazionalizzazione, criticità e opportunità di sviluppo del sistema loca-le” - 19 gennaio 2007 - Lecce Sala Conferenze del Monastero dei Teatini, Fondazione Italia Cina. 13 Leggi su questo tema: Ping Gao, Jiang Yu, Kalle Lyytinen, Applying structuration theory to
the benchmarking analysis: Case of China’s telecommunications market. Government in Standar-dization in the Catching-up Context: Case of China’s Mobile System. University of Manchester,
deve “soddisfare”. Spesso il partner locale, proprio per contribuire fatti-vamente al territorio, vincolerà molte scelte gestionali (e anche di gover-no). Chiederà dunque che si ricorra a fornitori di servizi e di beni locali, che la manodopera sia selezionata localmente, che i manager abbiano una expertise locale, che si favoriscano perentoriamente logiche locali a scapi-to di criteri nazionali o addirittura internazionali.
In questi casi, l’isolamento dell’azienda è da leggersi in modo oppo-sto. L’ossessiva “localizzazione” delle risorse limiterà infatti la capacità di guardare “fuori dai confini” e renderà l’azienda isolata, spesso, dal mer-cato, e incapace di acquisire una dimensione internazionale.
Da un’analisi condotta nel 2013,14 lo sviluppo del progetto da par-te delle aziende espar-tere con o senza joint venture è delineato da curve completamente differenti. Nel caso in cui l’azienda sia da sola, la curva che definiamo “della disperazione” determina i primi anni di vita della WFOE, la quale evolve da una fase di completo isolamento dal territorio e sviluppa gradualmente il rapporto con esso. Il percorso richiede tempo, attenzione e distribuzione di risorse, ma il raggiungimento del rapporto consolidato con l’ambiente la rende più forte e dunque finalmente in gra-do di crescere (fig. 1). La joint venture invece parte da una situazione in cui i fattori “esterni” che influenzano il progetto sono in qualche modo sotto il controllo del socio locale ed evolve in una situazione successiva di “disperazione” e stress che è generata da fattori interni, fra i quali non ultimo il cattivo rapporto con il socio (fig. 2).
Da queste osservazioni preliminari deriva la prima ipotesi: che qua-lunque progetto di investimento in Cina viva sempre e comunque in una permanente condizione di Sino-foreign joint venture (travalicando natu-ralmente la definizione giuridica e economica) e che dunque esista per tutte le aziende, sia che investano con un partner o da sole, un “partner” rappresentato da un’entità “fisica” e/o “giuridica”, nel caso di una Joint venture o una non entità rappresentata dal territorio e dai fattori esterni nel caso di una WFOE , e che questo “partner” determini e condizioni la crescita e lo sviluppo dell’azienda.
Se guardiamo le curve di crescita in entrambi i casi, per le aziende estere che investono in Cina, sia nel caso in cui esista un partner fisico
14 Cristiana Barbatelli, 2013, Una cultura per l’impresa, Atti del Convegno “Alleanze UniMc-Istituto Confucio e China Center di Macerata Strategiche”, Macerata, Febbraio 2013.
all’interno della struttura societaria sia che non ve ne siano, si può affer-mare che non cambia di molto la durata complessiva dello stress della crescita aziendale (vedi grafico).