Abbiamo fin qui parlato delle ragioni della scelta dell’immaginazione letteraria, argomentando i legami col diritto e le dinamiche del loro rapporto, ma è centrale la preferenza verso la narrativa per questo tipo di esercizio, anche per comprendere meglio la selezione dei testi che ho deciso di analizzare, quelli di Salvatore Satta e Salvatore Mannuzzu.
Di fronte alla scelta ripetuta del romanzo viene da domandarsi: perché non la saggistica? Cosa porta a prediligere la letteratura al cinema o altre forme d’arte che in egual misura creano una partecipazione emotiva? La scelta delle Lettere non è l’unica possibile, anzi una riflessione simile potrebbe, e in qualche misura è già in atto69, sul cinema, pur rimanendo ancora inserita all’interno delle pubblicazioni di Law and Literature. Il ruolo del cinema è in fase di crescita e nell’ultimo decennio gli si sono aggiunte anche le serie televisive come prodotti seriali che offrono opere di uguale qualità e profondità. I film hanno assunto un ruolo importante tra i narratori della contemporaneità, come termometro dei costumi e della moralità, grazie alla loro diffusione globale e alla loro efficacia nel descrivere la società. È facile capire l’interesse che possono suscitare e si può prevedere una crescita delle pubblicazioni giuridiche che faranno uso di conoscenze cinematografiche come è stato per la letteratura. Infatti in esso ritorna l’elemento centrale della narrazione della realtà, integrato della componente visiva estranea al mondo della giurisprudenza: dai manuali di diritto ai testi normativi come dalle sentenze sono escluse le immagini. A questa
69 Al cinema viene dato risalto nelle pubblicazioni del Centro Studi Federico Stella. Rimando quindi ai primi due volumi di Giustizia e Letteratura per chi fosse interessato ad approfondire il tema: Aa.Vv., Giustizia e Letteratura I, a cura di Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2012; Aa.Vv., Giustizia e Letteratura II a cura di Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014.
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«desertificazione»70 rappresentativa corrisponde il rischio, che abbiamo ampiamente trattato, di cadere in un eccesso di astrazione che allontana dalla vita: una giustizia cieca anche rispetto alla conformazione della realtà71. Il cinema ha quindi la capacità non solo di descrivere il mondo, ma anche di integrare questa esperienza di una vera e propria messa in scena. Si lascia qui, come nel teatro, meno spazio alla fantasia del giurista, ma lo si conduce per mano in un’esperienza di immaginazione.
Proprio questo avvicinamento col cinema ci dovrebbe aiutare infatti a capire in quale modo il romanzo è il mezzo preferenziale del Diritto. Lo sforzo di immaginazione richiesto non è vago, ma, come abbiamo visto, specifico nell’indossare le vesti di un altro tanto da poter aver una visione dei fatti che possono avvenire in una vita umana. Non interessa un approccio storico, ma uno emotivo e immaginifico, esattamente la sensazione generata nel rapporto tra lettore e il personaggio di un libro o tra lo spettatore e l’attore. Si richiede a chi si approccia a un turbamento, di favorire l’esercizio di immedesimazione, superare le barriere razionali con cui, per esempio, ci possiamo approcciare ad un saggio dove l’attenzione è concentrata sul ragionamento. Abbassare le difese è un processo necessario per compiere lo sforzo doloroso di esser messi a confronto con la fragilità e complessità umana. Aristotele affermava che la narrativa fosse l’attività “più elevata della storia”: ritengo che in questo caso sia quella che meglio si presta all’esercizio di concretezza e partecipazione indispensabile a far percepire bisogni e desideri umani nella realtà del loro manifestarsi in società.
In questo caso ricordiamoci che non vogliamo parlare di empatia, concetto dai contenuti ancora sfumati e dibattuti e fin troppo abusato in ambito politico, per quanto la Nussbaum ne parli come di uno specchio con una funzione cognitiva sugli stati emotivi dell’altro, che però non implica una partecipazione attiva a questi. La Nussbaum, rispetto alla narrativa,
70 Claudia Mazzuccato, Il mondo senza immagini in Aa.Vv., Giustizia e Letteratura II, a cura di Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pag. 436.
71 Gianni Canova, Il conflitto tra immagini e parole nella filmografia di Stanley Kubrik in Aa.Vv., Giustizia e Letteratura II, a cura di Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, pagg. 467-478.
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preferisce – richiamandosi anche agli studi di Wayne Booth – la ricerca della capacità di astrarsi dal proprio vissuto, ma al contempo di confrontare in maniera critica i temi trattati nel romanzo con le proprie esperienze personali e anche con quelle di altri lettori.
Se pensiamo alla lettura in questo modo, come una combinazione del proprio essere immersi nell’attività di immaginazione e di momenti di analisi critica più distaccata (e interattiva), possiamo già farci un’idea del motivo per cui potremmo trovarla un’attività perfettamente adeguata al ragionamento pubblico in una società democratica.72
In questo semplice concetto si esprime la vera ragione degli studi di
Law and Literature, il motore che permette alla giurisprudenza di trovare
nella narrativa uno strumento così prezioso. Inoltre è chiaro come rappresenti al meglio la scintilla che anima la materia, anche di studiosi che si pongono altri obiettivi o che fanno di differenti mezzi i loro principali strumenti di lavoro. Tutti compiono l’esercizio di immaginazione letteraria teorizzato dalla Nussbaum, tutti allo stesso modo hanno nel loro agire una funzione etica, per questo ritengo la Law and Literature as Ethical
Discourse il punto di partenza teorico principale a cui affidarsi quando ci si
vuole approcciare a questa materia.