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La posizione della linguistica come scienza

Il nesso esistente fra linguaggio, cultura e pensiero viene trattato anche in un altro celebre scritto di Sapir, La posizione della linguistica come scienza180.

In queste pagine, il linguista cerca di dimostrare che la linguistica possa essere considerata a pieno titolo come disciplina scientifica. Nel fare ciò, Sapir sottolinea da una parte l’importanza della linguistica per l’antropologia e dall’altra evidenzia l’interdipendenza fra le diverse discipline afferenti al campo delle scienze umane, in particolare, fra linguistica, antropologia, sociologia, psicologia, filosofia, e l’esistenza di un legame anche, seppur più remoto, con la fisica e con la fisiologia.

Soffermiamoci per un attimo sul legame fra linguistica ed antropologia, e quindi, fra linguaggio e cultura. Sapir infatti argomenta:

179Ivi, p. 35.

180 Edward Sapir, The Status of Linguistics as a Science, «Language», vol. 5, 1929, pp. 207-214, ristampato in Edward Sapir, Benjamin Lee Whorf, Linguaggio e relatività, Marco Carassai, Enrico Crucianelli (a cura di), Roma, Castelvecchi, 1° edizione, 2017, pp. 37-46.

Il linguaggio sta diventando sempre più prezioso come guida allo studio scientifico di una data cultura.

In un certo senso, la rete di schemi culturali di una civiltà viene catalogata nella lingua che esprime tale civiltà. È un’illusione pensare di poter comprendere i lineamenti significativi di una cultura

mediante la pura e semplice osservazione e senza la guida del simbolismo linguistico che rende questi lineamenti significativi e intellegibili alla società. Un giorno, il tentativo di padroneggiare una cultura primitiva senza l’ausilio della lingua della società che l’ha sviluppata sembrerà tanto dilettantesco quanto gli studi di uno storico che non è in grado di maneggiare i documenti originali della civiltà che si accinge a descrivere181.

Sapir spiega chiaramente che il linguaggio, in senso generale, e la singola lingua in particolare, sia lo specchio riflesso delle caratteristiche e degli assetti culturali di una società, tanto che non si può pensare si poter approfondire e studiare la cultura di una civiltà senza aver altrettanto approfondito e studiato la sua lingua. La lingua cataloga ed archivia i dati culturali della civiltà stessa, è ciò che rende significativi questi stessi dati.

Segue il passaggio appena citato, un altro altrettanto degno di nota, nel quale si possono leggere i chiari segnali non solo del profilarsi dell’ipotesi della relatività linguistica, ma anche di una versione più radicale di essa:

La lingua è una guida alla “realtà sociale”. […] Gli esseri umani non vivono soltanto nel mondo obiettivo né soltanto nel mondo dell’attività sociale comunemente intesa, ma si trovano largamente alla mercé

della particolare lingua che è diventata il medium di espressione della loro società. È un’illusione immaginare che ci si adatti alla realtà senza l’uso della lingua e che la lingua sia semplicemente un mezzo accidentale per risolvere specifici problemi di comunicazione o di riflessione. Il cuore della questione è che il “mondo reale” è costruito, in larga parte inconsciamente, sulle consuetudini della lingua del gruppo. Non ci sono due lingue che siano sufficientemente simili da essere considerate

rappresentative della stessa realtà sociale. I mondi in cui vivono diverse società sono mondi distinti, non sono semplicemente lo stesso mondo con altre etichette.

La comprensione di una semplice poesia, per esempio, implica non solo una comprensione delle singole parole nel loro significato comune, ma anche una comprensione piena dell’intera vita della comunità così come essa è riflessa nelle parole, o suggerita dalle sue sfumature. […] Noi vediamo, udiamo e

facciamo tutte le altre esperienze nel modo in cui le facciamo, giacché le consuetudini linguistiche della nostra comunità ci predispongono a certe scelte d’interpretazione182.

È difficilmente confutabile il fatto che in queste righe non trapeli una chiara interpretazione “forte” della teoria della relatività linguistica. In esse, infatti, la lingua viene presentata come la guida e il mezzo attraverso cui una comunità di parlanti costruisce il proprio “mondo reale”, proprio perché ogni mondo è a sé stante poiché è dipendente dalla lingua parlata dalla comunità stessa. A dimostrazione di ciò, Sapir porta l’esempio dell’interpretazione di una poesia. Nella sua comprensione, il lettore/ascoltatore non dovrà solo assumere il significato “letterale” delle parole di cui è composta, ma dovrà anche cogliere la vita racchiusa in quelle stesse parole. In

181 Edward Sapir, Benjamin Lee Whorf, Linguaggio e relatività, Marco Carassai, Enrico Crucianelli (a cura di), Roma, Castelvecchi, 1° edizione, 2017, p. 39 (grassetto mio).

breve, come afferma la frase finale del brano sopracitato, “Noi vediamo, udiamo e facciamo tutte le altre esperienze nel modo in cui le facciamo, giacché le consuetudini linguistiche della nostra comunità ci predispongono a certe scelte d’interpretazione”, la nostra esperienza del mondo è guidata e condizionata dal nostro sistema linguistico. È inoltre importante sottolineare la non casualità dell’esempio fornito al lettore; il fatto che Sapir si soffermi proprio sulla poesia come mezzo d’espressione di una intrinseca soggettività, è un dato tutt’altro che irrilevante. Come vedremo più avanti, infatti, essa avrà un ruolo centrale non solo nella vita privata del linguista, ma anche nelle sue formulazioni delle teorie linguistiche ed antropologiche.

A proposito della relazione fra linguistica e psicologia, Sapir, dopo aver criticato l’attenzione eccessiva degli psicologi nei confronti degli aspetti psicofisici propri dell’azione del parlare, senza prendere in sufficiente considerazione la natura simbolica dell’attività del parlare183, si sofferma a delineare la differenza fra simboli primari e simboli secondari. Nel caso di quelli primari “la somiglianza del simbolo con ciò che esso rappresenta è ancora abbastanza evidente”184. I simboli secondari o referenziali, invece, sono quelli in cui il rapporto di somiglianza è ormai talmente distante da perdere ogni collegamento con ciò che rappresentano. A tal proposito, Sapir definisce la lingua come “l’esempio più complicato di quell’insieme di simboli secondari o referenziali che una società ha sviluppato”185, dal momento che il rapporto fra parole e referente si è ormai logorato completamente e non è più rintracciabile direttamente. In quest’ultima argomentazione si può rivedere la nozione di “arbitrarietà del segno linguistico”, elaborata dal linguista svizzero Ferdinand De Saussure nel suo Cours de Linguistique générale, opera pubblicata postuma nel 1916. Secondo De Saussure, infatti, la parola è un segno, o simbolo, costituito dall’unione arbitraria di un significante con un significato. Più specificamente, il linguista parla di “triangolo semiotico” in riferimento al rapporto fra significante, significato e referente. Il rapporto fra referente (oggetto concreto della realtà) e significato (immagine mentale) è mediato dal significante, ossia da un insieme di fonemi (se la parola è espressa attraverso l’oralità) o di grafemi (se la parola è scritta). Per esempio, nella lingua italiana abbiamo la parola “cane” per riferirci ad uno specifico referente, l’animale “cane” nella realtà; la parola concreta “cane” (l’insieme dei fonemi /k/ + /a/ + /n/+ /e/, o l’insieme dei grafemi che formano la parola scritta “cane” appunto) è ciò che chiamiamo significante; ad esso è associato infine un significato, ossia l’immagine mentale a cui rimanda

183 Ivi, p. 42.

184 Ivi, p. 43.

questa parola nella mente dei parlanti italiani. Ora, l’arbitrarietà del rapporto fra il significante “cane” ed il suo significato è facilmente riscontrabile se facciamo il confronto con altre lingue. Per esempio, in inglese avremo la parola corrispondente “dog”, in francese “chien”, in spagnolo “perro” e via dicendo, dunque avremo diversi significanti per uno stesso significato. Ciò ci induce a non credere che vi sia una naturalità nel rapporto fra significante e significato, ma che piuttosto si tratti di una convenzione che i parlanti di una determinata lingua istituiscono e che varia da lingua a lingua, da comunità linguistica a comunità linguistica.

Dopo questa doverosa parentesi di carattere più strettamente linguistico, vorrei soffermarmi sulle ultime riflessioni condotte da Sapir nel suo articolo La posizione della linguistica come scienza. Nel finale del suo articolo Sapir torna, infatti, al punto di partenza, il fatto di voler dimostrare la scientificità della disciplina linguistica. Nel sottolineare che la lingua è “primariamente un prodotto culturale o sociale” e che come tale vada compreso186, afferma come la linguistica, più di ogni altra disciplina dell’ambito delle scienze umane, permetta uno studio scientifico della società. È altrettanto cruciale, però, che i linguisti vadano oltre le barriere della propria scienza, cogliendo il valore che essa può rappresentare per altri campi d’indagine:

È particolarmente importante che i linguisti, spesso e a ragione, accusati di non riuscire a guardare oltre le eleganti configurazioni della loro disciplina, diventino consapevoli di quanto la loro scienza potrebbe significare per l’interpretazione del comportamento umano in generale. Che a loro piaccia o no, dovranno preoccuparsi sempre più dei molti problemi antropologici, sociologici, psicologici che invadono il campo della lingua187.