• Non ci sono risultati.

La prima occupazione francese

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 29-33)

2. L’irrompere della Storia

2.2 La prima occupazione francese

2.2 La prima occupazione francese

Nel 1797 l’armata d’Italia guidata da Napoleone Bonaparte è ormai alle porte e il 23 marzo un drappello al comando di Murat entra in città: è l’inizio della prima occupazione francese. I Francesi entrarono «in mezzo ad un popolo numeroso, che si contenne con tutta prudenza e plausibile silenzio, disapprovato dai Francesi, che vantavano ovunque accoglienze migliori»63, il che certo non stupisce visto il sentimento pubblico che dominava la città64. Elio Apih nella sua ricostruzione di Trieste settecentesca ricorda:

Trieste odiava la guerra, che minacciava i commerci, le accumulate ricchezze e il buon ordinamento sociale, e aveva in orrore il giacobinismo che irrideva alle convenzioni e alle tradizioni sui cui poggiava il temperato illuminismo asburgico; assai pochi, forse tra gli israeliti e i borghesi, erano gli atteggiamenti di simpatia o almeno di interesse verso il nuovo corso della storia Occidentale65.

Il giudizio di Fabio Cusin sul sentimento antirivoluzionario e antifrancese di Trieste è ancora più (e forse troppo) netto:

I fatti della rivoluzione francese non potevano trovare alcuna eco favorevole in questa città, ignorante la sua parte e che non sentiva la necessità politica ed economica di ottenere ciò che essa possedeva già, la libertà cioè di sviluppare liberamente e sotto la protezione di speciali privilegi e di un saggio e solido governo, la propria attività mercantile66.

Certo pare troppo semplicistico ricondurre a una supposta ‘ignoranza’ della città lo sfavore dimostrato verso le armate napoleoniche, meglio è allargare il contesto e considerare le effettive ripercussioni di guerre e occupazione su un’area sottoposta pacificamente all’Impero da oltre quattro secoli e, proprio grazie a questo stesso Impero, in piena espansione e crescita67. Naturalmente, come ricorda Giovanni Quarantotti, esisteva anche una minoranza filofrancese, che aveva a cuore «le dottrine razionalistiche e quelle di libertà e uguaglianza, già in

63

Succinta narrazione di principali fatti, dall’irruzione de’ francesi in Trieste, fino alla loro partenza seguita il

24 maggio 1797, Stamperia Sperandio, Trieste, s.d., APIH 1957, p. 121 64

Sull’ostilità di Trieste ai «dogmi rivoluzionari di Francia» v. anche QUARANTOTTI 1954, p. XI. Sulle reazioni del Friuli alla Rivoluzione e all’arrivo dei Francesi, v. FRANGIPANE 1991: Frangipane rileva come anche in Friuli la Rivoluzione fosse stata percepita negativamente, come forte fosse l’ostilità verso il governo provvisorio filofrancese e come i Francesi fossero visti come occupanti e non liberatori.

65

APIH 1988, p. 16

66

CUSIN 1983 (1930), p. 239.

67

Nella medesima direzione puntano i lavori di Antonio Trampus(TRAMPUS 20081, p. 9): «Nel Litorale non vi fu posto per una Rivoluzione francese: la forza della borghesia si era consolidata già alla metà del Settecento e nelle prime occupazioni militari (1797, 1805) i Francesi furono trattati con diffidenza, se non con ostilità. Nell’Istria veneta i principi idealistici trovarono accoglimento in pochi intellettuali, ma venne a mancare la base sociale che potesse garantirne la realizzazione».

30

precedenza diffusevi da una Loggia massonica sorta nel 1774»68. La componente massonica filofrancese, come vedremo più avanti, resterà a Trieste sempre minoritaria, ma troverà un centro di irraggiamento nella vicina Capodistria69.

Il malcontento verso i Francesi è grande e si registrarono anche episodi di resistenza: tra il 14 e 17 aprile trecento fanti croati al comando del capitano Jesich de Gieseneck e un drappello di ussari al comando del capitano del genio Giuseppe Francesco Bonomo, aiutati da gruppi di contadini, sconfissero i Francesi a Cattinara e assediarono Trieste, che con il soccorso della popolazione venne liberata. I Francesi ripararono a Monfalcone, ma in virtù dei preliminari di Judenburg la città ritornò in mano loro.

L’accoglienza dunque fu fredda e l’occupazione di una brevità tale, appena due mesi, da non poter lasciare alcun segno. I fatti più notevoli furono l’arrivo del generale Dagua, che fece issare il Tricolore transalpino sul Castello di San Giusto e il giorno 26 marzo fece erigere un albero della libertà e naturalmente la visita di Napoleone tra il 29 e il 30 aprile.

Napoleone arrivò a Trieste alle 6.30 del mattino del 29 aprile e fece il suo ingresso, da conquistatore, a cavallo di un lipizzano bianco, dono delle autorità magistratuali, seguito da Clarke, Lannes, Berthier, Bernadotte, Murat. Scelse quindi di alloggiare a Palazzo Brigido. Appena arrivato, per prima cosa, lasciando da parte gli impegni pubblici, si rinfrancò con un bagno di acqua di mare. In seguito ricevette vari rappresentati, ma rifiutò l’udienza al console veneto, trattandolo a male parole e minacciando di «trasformarsi per Venezia in un nuovo Attila», almeno secondo il rapporto del console spagnolo De Lellis. La sera, in suo onore, si tenne a teatro la rappresentazione dell’Aristodemo di Vincenzo Monti: tutte le autorità cittadine (rimaste) erano presenti, ma Bonaparte, affetto da un forte mal di denti, non si fece vedere. L’indomani alle 8 del mattino, ancora dolorante, ripartì in carrozza. Bonaparte stesso, nel suo rapporto al Direttorio ebbe a dichiarare di aver voluto conquistare Trieste mosso «oltreché da ragioni di strategia militare, dal desiderio di sfruttarne le ben note ricchezze» e di aver deciso di recarsi di persona in città spinto anche dalla «curiosità di vedere con i propri occhi quel

68

QUARANTOTTI 1954, pp. 45-46 e p. 53, dove si cita la lettera di un anonimo democratico triestino al giornale veronese ‘L'Amico degli Uomini’: «non si era forse ancora fato esempio di una Rivoluzione così accelerata, così compita, e così tranquilla come quella triestina; non ci è più una divisa di tirannia, si è inalzato [sic] l'albero della Libertà, si è posta la Coccarda nazionale e non si è sparso una goccia di sangue; felici quei popoli che sanno fare passaggio dal massimo dei mali alla somma felicità, e non gli costa un sacrificio».

69

KRAMMERHOFER 1991 sottolinea come nell’Impero il movimento giacobino davvero sia stato esiguo, addirittura nullo dopo i processi del 1794-1795, pertanto anche per Trieste e l’Istria è più corretto parlare di francofilia e di intreccio tra logge massoniche circoli e latamente filofrancesi.

31

porto ed emporio in fondo all’Adriatico, divenuto in soli quarant’anni, come per bacchetta magica, uno dei principali d’Europa»70

.

Il 24 maggio la città era nuovamente in mano agli Austriaci e questa volta il giubilo fu grande: «si vedeva piangere d’allegrezza, gridare, danzare, ridere, ed sbraciarsi, come se fosse sortita dalla schiavitù più dura dell’Universo»71

.

Della prima occupazione restano, tra l’altro, due interessanti documenti autoptici ad opera di Antonio Cratey e Alessio de Periboni.

Antonio Cratey (1760-1840), patrizio triestino, ma di famiglia non abbiente, arcade romano-sonziaco, storico dilettante e autore della Perigrafia di Trieste (1808), fu impiegato fin dal 1785 presso la Cancelleria governiale, dopo aver compiuto gli studi di filosofia al seminario di Vienna. Mostrò sempre molto attaccamento per la Casa d’Austria, tanto che durante la terza occupazione francese preferì riparare a Vienna e nel 1814 scrisse un’ode di sperticate lodi al sovrano austriaco. Nel brevissimo diario (che rimase inedito) relativo alla prima occupazione francese ha lasciato una preziosa testimonianza della «paura dei francesi»72.

Il consigliere magistruale Alessio de Periboni fu incaricato di redigere un minuto rapporto dell’occupazione dal barone Ferdinando dell’Argento, preside del Giudizio civico-provinciale con unitovi il Magistrato politico-economico, al quale il Governatore Brigido, fuggendo alla vigilia dell’occupazione, aveva lasciato controllo della città. Il risultato è un diario (19 marzo – 28 maggio 1797), teso a dimostrare la mai vacillante fedeltà della città. Come ha infatti notato Sergio degli Ivanissevich, il governo aveva interesse ad insistere sul motivo della lealtà triestina:

il governo, cui premeva fornire un’immagine lealista della città, la considerò, al contrario di quanto succederà nel 1813, liberata e non conquistata […] Il comandante militare austriaco maggior generale conte Klenau pubblicò un proclama di incondizionata lode ai triestini per il loro contegno durante l’occupazione e l’imperatore stesso manifestò il suo augusto compiacimento per la loro ‘assennata e intrepida condotta nel tempo dell’Invasione delle Truppe Francesi’73.

Il manifesto di Klenau, dunque, fu redatto in tre lingue (italiano, tedesco, sloveno) ed elogiò ampiamente la fedeltà, lo zelo, il patriottismo della città:

70

DE INCONTRERA 1966.

71

Succinta narrazione cit., in APIH 1957, p. 125.

72

COVRE 1989.

73

32

Meritevoli di una speciale lode, non che della Sovrana clementissima approvazione e compiacenza, l’esemplare contegno del Magistrato della Città di Trieste, la segnalata fedeltà e lo zelo singolare de’ Cittadini, degli abitanti, e della Milizia urbana e suburbana della medesima nelle ultime circostanze dell’accadutovi ingresso delle Truppe francesi, e del felice ritorno delle Austriache, il sottoscritto Comandante di questa Guarnigione; testimonio oculare dell’edificante Patriottismo, e dell’affettuosa Sudditanza di ciascheduno de’ preaccennati Corpi, si crede in dovere di darne loro, anche per sentimento del ces. reg. General-Maggiore conte di Merveld la presente pubblica, onorevole, ed insieme giusta testimonianza.

Egli in oltre li assicura generalmente ed individualmente, che il da essi dimostrato sincero attaccamento al legittimo Sovrano nostro à avuta tanta forza sull’animo del prelodato signor Generale conte di Merveld, ch’egli è partito commosso da queste felici contrade, ed insieme determinato di farne alla Maestà Sua il più vivo e penetrante rapporto; ben sicuro di riscuotere dal di lui cuore paterno li più veraci sentimenti di tenerezza a favore di chi seppe tanto bene meritarseli.

Il 1797 segnò un cambiamento radicale nella geopolitica della regione: con la fine della Serenissima i domini asburgici in area italiana si espansero ulteriormente e così il Litorale austriaco - una regione oggi identificabile tra Aquileia,Trieste e l’entroterra fino alla Carniola, Porto re (Kraljevica) fino a Carlopago, la contea di Gorizia e Gradisca – si trovò a confinare con le nuove terre imperiali, cioè l’Istria definita ormai ex-veneta.

Seguirono quindi anni relativamente tranquilli per Trieste e le aree circostanti: gli spiriti ardenti repubblicani, come abbiamo visto, non riuscivano a trovare spazio in città e così il massone Domenico Piatti e suo figlio Antonio, entrambi filorivoluzionari e repubblicani, partirono alla volta di Napoli, dove furono tra i fautori della Repubblica Partenopea e dove finirono per pagare con la vita le loro idee, condannati a morte nell'agosto 1799 a seguito della reazione borbonica. L’«Osservatore triestino» diede una scarna cronaca della caduta della Repubblica napoletana e della conseguente sanguinosa repressione borbonica. Le prime notizie arrivano il 5 agosto 1799: «furono appiccati 70 e più decisi partitari Francesi, fra quali due Personaggi di primo rango; e ne furono imprigionati cento e più, a’ quali si sta formando il processo». Il 30 settembre il giornale fornisce un resoconto più accurato: «in principio molti Rei furono strozzati e gettati al mare; oltre che alcuni che dal popolo vennero bruciati vivi». Segue quindi un elenco dei giustiziati, divisi per il supplizio che hanno subito e alla voce «afforcati» troviamo anche i due Piatti, dei quali viene taciuta la cittadinanza triestina e per i

33

quali non si spende una singola parola di cordoglio, essendo «giacobini» e «rei», ancora ben lontani dall’immagine di «martiri» con la quale verranno consacrati nel XX secolo74

.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 29-33)