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Trieste e i Cento giorni

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 47-55)

3. Trieste ‘restaurata’

3.2 Trieste e i Cento giorni

Fu dunque in questo clima instabile che arrivarono le prime notizie relative alla fuga di Napoleone dall’Elba, che diede il via ai Cento giorni, eventi dei quali le pagine dell’«Osservatore triestino» conservano un resoconto molto particolare. Trieste si trovava certo molto distante dal teatro delle operazioni, eppure fu da subito coinvolta e il suo foglio più celebre seguì con trepidazioni tutte le fasi di quella «scorreria». Il punto di vista del racconto è da subito antinapoleonico e ciò non deve stupire: da un lato forte era l’esigenza delle élites cittadine di dimostrare fedeltà all’imperatore (nonostante il malcontento), dall’altra il governo voleva dare un’immagine negativa di Napoleone per evitare di accendere i non del tutto sopiti fuochi filofrancesi. La peculiare cronaca dell’«Osservatore» assolse a questo duplice compito e, letta oggi, mostra la penetrazione capillare di quella che è stata definita la leggenda nera di Napoleone105. La cronaca del foglio triestino permette inoltre di ricostruire una visione contemporanea degli eventi, la visione appunto del governo di Vienna e delle sue diramazioni triestine. Non sarà dunque una deviazione dal tema principale di queste pagine, la ricostruzione del clima della Trieste ‘restaurata’, il ripercorrere la storia dei Cento giorni attraverso il racconto dell’«Osservatore triestino».

Un racconto scarno riferisce della fuga di Bonaparte dall’Elba. Con poche parole l’«Osservatore triestino» racconta quello che è l’inizio dei Cento giorni. La notizia giunge a Trieste, attraverso Livorno e Genova, il 17 marzo. Sembra una semplice cronaca, tuttavia ci

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Sulla leggenda nera di Napoleone si veda TULARD 1970, sul mito e il culto di Bonaparte, invece, v. TULARD 1980 e CRISCUOLO 1997, pp. 161-196.

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sono già tracce di condanna e di avversione nei confronti del nemico per eccellenza dell’Impero asburgico. Si insiste, fin da subito, sul carattere fallimentare e velleitario di quella che viene definita una «scorreria»: Napoleone, infatti, non è stato neppure capace di impadronirsi di una «piccola fortezza» e non trova «benché minimo partito»106

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Man mano giungono notizie dalle varie parti della Francia, seguendo l’avanzata di Bonaparte, su un punto sono tutti concordi: Napoleone non gode del favore della popolazione, che resta fedele al re. Questa chiave di lettura, parziale e fuorviante, certo dovuta alla volontà di denigrare l’avversario che, in realtà, godeva ancora di ampio consenso in patria, sarà un

leit-motiv della propaganda antinapoleonica107:

Notizie giunte in questo punto da Parigi del dì 8 del corrente mese, per via straordinaria, riferiscon, che la notizia dell’intrapresa di Bonaparte, pervenuta colà nel dì 6 del corrente mese, generalmente non abbia prodotto altro che stupore e sdegno. Tutti gli animi sono in favore del Governo reale; il popolo esprime apertamente i suoi sentimenti, ed à dal primo momento impoi date delle prove non equivoche d’attaccamento e fedeltà verso il re108

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L’immagine di Napoleone, con il consolidarsi della sua posizione, si fa sempre più fosca: viene ora presentato come un accolito dei circoli più esecrati, cioè «giacobini, terroristi, rivoluzionari». Non poteva, all’epoca, esserci accusa più infamante per un sovrano. Questo trinomio richiama alla mente la già ricordata letteratura antirivoluzionaria che era fiorita in tutta Europa alla fine dell’Ottocento e dove si accusavano i fautori della rivoluzione dei più atroci delitti109. Una produzione che doveva essere ben presente ai compilatori delle gazzette dalle quali l’«Osservatore» traeva i suoi articoli110

.

Il 12 maggio, finalmente, l’«Osservatore» dà il resoconto dell’ingresso di Napoleone a Parigi. Il tono è apocalittico. Innanzitutto Bonaparte viene paragonato a Vitellio, imperatore per soli pochi mesi e non certo tra i più celebrati111. La descrizione dell’entrata in città è poi

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«Osservatore triestino», 17 marzo 1815.

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TULARD 1980, p. 578: «Gli operai dei sobborghi parigini, almeno di alcuni di essi, erano ancora disposti a battersi nel 1815 di fronte all’invasore; la loro fedeltà all’imperatore era messa in evidenza da tutti i rapporti di polizia. Nella massa contadina, il prestigio di Napoleone non fu meno grande».

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«Osservatore triestino», 24 marzo 1815.

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TULARD 1980, p. 580: «I libelli realisti avevano fatto di Napoleone l’erede del Terrore e il discepolo di Robespierre»; CRISCUOLO 1997, p. 162: «Si sviluppò una leggenda nera. I primi materiali furono forniti dalla vasta produzione letteraria e propagandistica di matrice controrivoluzionaria: in tutti i paesi europei circolò un gran numero di giornali, libelli, caricature, ostili a Napoleone».

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«Osservatore triestino», 5 maggio 1815.

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Per il ritratto di Vitellio, celebri sono le pagine di Tacito (Lucius Cornelius Tacitus, Historiae, II, 87-101), nelle quali si può notare una forte consonanza con le descrizioni di Napoleone: «Vitellius contemptior in dies segniorique, ad omnis municipiorum villarumque amoenitates resistens, gravi urbem agmine petebat. Sexaginta miliaarmatorum sequebantur, licentia corrupta […] adregabantur e plebe flagitiosa per obsequia Vitellio cogniti, scurrae, histriones, aurigae, quibus ille amicitiarum dehonestamentis mire gaudebat. […] Magnificam orazione de semt ipso promposit, industriam temperantiamque suam laudibus attollens, consciis flagitiorum ipsis qui aderant omnique Italia, per quam somno et luxo pudendus incesserat. […] adeo omnis humani divinique iuris expers, pari

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quasi da romanzo gotico, sera scura e pioggia a dirotto, quasi che la natura stessa si ribellasse, come una tragedia e non a caso, infatti, Napoleone è appellato «l’eroe di questa rappresentazione Shakespeariana». A completare il quadro desolante c’è la totale assenza di figure umane: nessuno accoglie l’imperatore al suo ritorno, che non ha quindi nulla di trionfale112

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Il ritratto di Napoleone si arricchisce di nuovi particolari: consumato dall’ambizione, inizia ad assumer tratti che rasentano la pazzia, secondo la casistica del tiranno, solo e folle. Il pezzo finisce, poi, con una nota consolatoria, almeno per i realisti: l’Impero di Bonaparte è empio e Dio non tollererà che duri a lungo. Ai tanti aspetti negativi si aggiunge quindi, a chiare lettere, anche quello del disfavore divino.

Brusselles, il dì 13 maggio 1815. Leggesi in uno de’ nostri fogli il paragrafo seguente ‘Lo spirito di Parigi ispira sì poca sicurezza a Bonaparte ch’egli non crede poter prendere bastanti precauzioni per la sua personal sicurezza. Egli non dorme due notti in uno stesso letto. Vittima di sua folle ambizione, le resta appena l’ombra di quel gigantesco potere di cui non era ancor soddisfo. […] Il regno dell’empio non à che un periodo, e Dio finisce ognora col spezzar la verga di cui si servì per punirlo’113.

Dopo tante sventure, nel giugno giungono finalmente buone notizie: Napoli è libera, grazie al valore delle legioni austriache che, benché inferiori di numero (come non si manca di sottolineare), sono riuscite a sconfiggere Murat. Questa felice vittoria è l’ennesima occasione per istituire un paragone colla «jattanza de’ tempi scorsi», cioè tra il bene portato dall’Austria e il male causato dai Francesi114

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Se Napoli è finalmente libera, la Francia invece è sprofondata in un «sistema di abjezione e di terrore»: i giorni della Rivoluzione sembrano essere definitivamente tornati. Napoleone viene presentato come il più acceso dei rivoluzionari, alla testa della feccia della nazione, della «armate di Robespierre e Marat», novello Santerre, fautore di «Orgie demagogiche». Il suo ritratto si fa, se possibile, sempre più negativo115

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Di particolare interesse è il pezzo seguente, che accusa senza mezze misure la stampa filo napoleonica, su cui l’imperatore aveva fondato la sua fortuna, di essere piena di notizie false e

liberto rum, amicorum socordia, velut inter temulentos agebat. […] Laetum foedissimo cuique apud bonos invidiae fuit quod extructis in campo Martio aris inferias Neroni fecisset». Tre le fonti che concorsero a tramandare una visione negativa di Vitellio aveva certo grande notorietà il Panegirico di Plinio a Traiano di Alfieri (Parigi, Pierres, 1787, p. 51 e 65), dove l’imperatore è citato in due punti: «vi nocquero i feroci eserciti vostri da Cesare, Galba, da Otone, da Vitellio contra voi stessi condotti?» e «Nerone, Cajo, Ottone, Vitellio, Domiziano, trucidati tutti, vittime dei loro delitti».

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«Osservatore triestino», 12 maggio 1815.

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«Osservatore triestino», 6 giugno 1815.

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«Osservatore triestino», 20 giugno 1815.

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tendenziose. Le gazzette francesi, si dice, riportano soltanto menzogne e il loro fine è la pura propaganda senza riguardo alcuno per la verità116. Si riportano quindi, a titolo di esempio, alcune delle notizie messe sotto accusa, la cui colpa, in sostanza, sembra essere quella di presentare Bonaparte in una luce favorevole e di descrivere il sostegno che avrebbe ricevuto in città come Dresda e Amburgo, insomma con un’ottica del tutto opposta da quella adottata dall’«Osservatore» e dalle sue fonti europee.

Il Journal Universel del 10 dì andante contiene l’articolo seguente. Le gazzette francesi non osservano più alcuna misura. Esse non solo presuppongono delle false cose di fatto, non solo accumulano menzogne sopra menzogne e cercano di desviare un popolo sgraziatamente troppo credulo, ma hanno perfino l’imprudenza di coniare degli articoli che spacciano come estratti de’ Fogli Belgici. […] Noi ci avevamo proposto, così esprimesi in un altro pezzo il Journal

Universel, di non inserire più alcuna delle bugie dei Giornali di Buonaparte,

perché soltanto quelle che giornalmente sono contenute nel Moniteur, dalle gazzette inglese a ragione chiamato il: Menteur universel: riempirebbero quasi tutto il nostro foglio. Oggi però non possiamo resistere alla tentazione di comunicare ai nostri lettori ciò che segue alcune delle più risaltanti bugie che contiene questo foglio uffiziale dell’estero ‘Quando si ricevette in Dresda la notizia del ritorno di Napoleone, tutta la città venne illuminata, e tutti gridarono: Viva l’imperatore! […] A Dublino, alla notizia dello sbarco di Napoleone, il popolo tenne tre giorni consecutivi delle feste di esultanza (Ciò viene narrato con l’aggiunta che questa notizia sia pienamente veridica). […] Tutta la città di Amburgo è di sentimento francese […]’. È mai possibile, aggiunge il Journal

Universel, che perfino in Francia vi si dieno degli uomini tanto semplici da

credere a queste burle?117

Il nemico è sconfitto. La notizia arriva a Trieste nel giornale del 12 luglio, che non perde l’occasione per denigrare ancora i Francesi, presentati come un «torrente desolatore» che porta distruzione per tutte le terre dove si lancia in una fuga precipitosa e disordinata. C’è anche spazio per un’ennesima stoccata all’imperatore, degno soltanto di essere a capo di un’orda di «arabi ladroni». La parte dell’eroe positivo spetta invece al vincitore, il duca di Wellington, esaltato per il sangue freddo e la tranquillità - un’opposizione netta rispetta al disordine francese - dimostrate durante la battaglia118.

Con il passare dei giorni giungono maggiori dettagli sulla sconfitta patita dalle armate francesi. Un pezzo del 15 luglio è particolarmente interessante per la ricostruzione del ritratto nero di Napoleone fatto dall’«Osservatore» durante i Cento giorni. Si descrive qui la carrozza di Bonaparte, abbandonata sul campo di battaglia e quindi condotta a Dusseldorf. Tra i beni

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TULARD 1980, p. 98: «Bonaparte creò lo spirito di cameratismo utilizzando la stampa. L’idea non era nuova, ma non era mai stata sfruttata così sistematicamente».

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«Osservatore triestino», 1 luglio 1815.

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personali dell’imperatore sono rinvenuti alcuni libri119

, tra cui spiccano le Vite dei Cesari di Svetonio, che, secondo l’articolo, sarebbero state contrassegnate all’altezza della vita di Nerone e non stupisce certo che, in un’ottica antinapoleonica, si sia voluto associarne il nome a uno degli imperatori più odiati dell’Antica Roma. Si riesce così a tramutare in una caratteristica negativa anche la passione per la lettura che di per sé sarebbe invece lodevole120

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Poche, ma gioiose righe danno il resoconto dell’ingresso di re Luigi XVIII in Parigi. Ancora una volta la scena è del tutto opposta all’esecrato rientro di Napoleone di pochi mesi prima: folla in giubilo, luci e pompa accolgono il legittimo sovrano.

Sua Maestà il re di Francia agli 8 di questo mese alle ore tre pomeridiane, fra indescrivibile giubilo del popolo, fece il suo ingresso in Parigi, e smontò alle Tuileries. La guardia nazionale assunse la coccarda bianca. Tutta Parigi era illuminata, nel modo più pomposo121.

La vicenda napoleonica è ormai giunta al termine, ma l’«Osservatore» continua a dedicargli spazio, in un crescendo di pezzi sempre più denigratori. Il primo è un semplice articoletto in cui si stimano tutti i morti causati dalla cieca ambizione di Napoleone e si calcola l’impressionante cifra di 5.256.000 caduti: è la definitiva condanna di Bonaparte come mostro divoratore e portatore di guerra e caos122. Uno stravolgimento davvero netto rispetto all’immagine del sovrano della pace e dell’ordine cantato, tra gli altri, da Mascheroni123

. Parigi, li 11 detto [luglio]. Si fa il calcolo che, in dieci anni di guerra, Bonaparte abbia cagionata la morte a tanti uomini, quanti sono i minuti di vita ch’egli ha percorso in questo intervallo di tempo. Ci ha in dieci anni cinque milioni duecento cinquanta sei mila minuti124.

Qualche giorno dopo viene pubblicato un ritratto che si potrebbe definire a tutto tondo: tocca infatti ogni aspetto del personaggio Napoleone e riesce a trovarne sempre un lato negativo. Si parte dal carattere, ponendo l’accento sull’ambizione smodata e sul disprezzo per l’umanità tutta. Si descrive quindi l’aspetto fisico, soffermandosi sulla bocca, incapace di

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Tra le tante carte che si dichiarò di aver trovato nella carrozza di Napoleone spicca un manoscritto pubblicato a Parigi nel 1816: Machiavel commenté par Napoléon Buonaparte, manuscrit trouvé dans la carrosse de

Buonaparte, après la bataille de Mont-Saint-Jean, le 18 juin 1815, par l’abbé Aimé Guillon, Paris, Nicolle, 1816.

E anche la presenza di un testi di Machiavelli, ‘anima nera’ della scienza politica, non fu certo una scelta casuale, ma mirata a rafforzare l’immagine negativa del nemico sconfitto, ma sempre temuto.

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«Osservatore triestino», 15 luglio 1815.

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«Osservatore triestino», 25 luglio 1815.

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CRISCUOLO 1997., p. 163 «In Francia, solo dopo il disastro russo si diffuse nell’opinione pubblica un’immagine negativa di Napoleone. Con la grande leva del 1813 (963.000 uomini) nacque la leggenda dell’Orco che ogni anno, attraverso la coscrizione, divorava una parte dei suoi figli».

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Lorenzo Mascheroni, La Geometria del Compasso [1797], Moretti & Vitali, 2000: «Io pur ti vidi coll’invitta mano, /Che parte i regni, e a Vienna intima pace, / Meco divider con attento guardo /Il curvo giro del fedel compasso. /E te pur vidi aprir le arcane cifre / D’ardui problemi col valor d’antico / Geometra Maestro».

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ridere e perciò bruttissima. L’articolo ammette che Bonaparte era di semplici costumi, ma anche in questo riesce a trovare un difetto: la sua semplicità deriva, infatti, dal suo disinteresse per le arti e per ogni sentimento delicato. Si passa, quindi, alle capacità oratorie: l’espressione orale incoerente, quella scritta volgare. Si conclude con una frase sentenza che riassume tutta la vicenda di Napoleone: inizialmente speranza di molti, ne è poi divenuto il flagello.

Amburgo, li 18 luglio. Un foglio estero pubblica il seguente articolo coll’epigrafe:

Vidi anch’io Napoleone! […] Il suo unico compagno fu l’ambizione, e si mostrò

sempre pronto a far tutto onde soddisfarla. Amando solo se stesso, Bonaparte non amò mai nessun altro. […] Bonaparte giurò tutti i principj, e tutti li abjurò poscia. […] Gli uomini non erano per lui che i mezzi onde conseguire il suo scopo; ed egli era lo scopo di tutto. […] La bocca di Napoleone era bruttissima allorquando rideva; vi si scorgeva il disprezzo; il cielo non gli concesse verun’altra specie di riso. […] Egli era per natura semplice ne’ suoi costumi, nelle sue inclinazioni e ne’ suoi bisogni. […] Egli non aveva inclinazione né per le arti, né per i piaceri della tavola, né per altri sentimenti dilicati, imperciocchè queste prerogative lo avrebbero renduto simile agli altri uomini. Egli non voleva essere che diverso da essi, e dominarli. […] Egli diceva quanto saltavagli in testa; perché gli era permesso di dir ogni cosa. I suoi discorsi erano incoerenti, vaghi, pieni di espressioni e di frasi comuni.[…] Aveva il tono militare ed imperativo; spesso minacciava bestemmiando. […] Tempo già fu che gli adulatori paragonarono il suo stile a quello di Montesquieu! ma non ci ha al mondo due cose più diseguali di queste. Negli atti pubblici e nelle note ai giornali si riconoscevano subito i pensieri di Bonaparte, per lo stile volgare con che erano stesti. […] Io lo vidi, allorquando formava la speranza di tanti uomini, ed allorché divenne il loro flagello125.

Anche nelle poche righe in cui dà l’annuncio dell’arrivo nelle acque di Plymouth di Bonaparte, l’«Osservatore», continuando la sua campagna denigratoria, non si esime da un epiteto negativo, definendolo «Attila moderno»126. Il 6 settembre compare un ennesimo, ultimo ritratto, tratto da un’opera stampata in Parigi: un breve elenco delle anti-virtù che caratterizzano Napoleone. Dominano i campi semantici delle tenebre e dell’oscurità, dell’impostura, i caratteri con cui viene descritto Bonaparte sono quasi diabolici. Il suo malvagio dominio è stato infine spezzato dalla Provvidenza, che si può facilmente identificare nell’Austria e nei suoi alleati, veri strumenti della volontà divina.

Bonaparte mise in opera tutto ciò che rende l’uomo spregevole, vale a dire ipocrisia, astuzia, menzogna e qualunque altro meschino mezzo. Per tal modo egli fondò un Impero sull’impostura, ed ascese ad una grandezza tale a cui nessun individuo ne’ tempi moderni salì per la via del diritto e della verità. I deboli stupirono, ma la Provvidenza vigilava e la posterità imparerà come l’Impero delle tenebre crollò in un atomo e con lui il principe dell’oscurità127

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«Osservatore triestino», 9 agosto 1815.

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«Osservatore triestino», 16 agosto 1815.

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L’ultimo accenno a Napoleone è la descrizione di un’impietosa caricatura inglese, che raffigura l’ex imperatore alla testa di un armata di topi, pronti a marciare contro i gatti128

: a questo è ridotto l’uomo che era stata «la forza feroce che pose in movimento il globo».

Fra le molte caricature che presentemente sortono sopra Bonaparte e i suoi aderenti, ve n’è comparsa anche una che lo rappresenta nel mentre egli fa manovrare in S. Elena una Compagnia di Topi (i quali, com’è noto, abbondano in quest’isola). Essi portano una bandiera con l’iscrizione: Mort aux chats: morte ai gatti; ed ànno delle coccarde tricolori alle orecchie129.

Gli articoli considerati coprono uno spazio di circa sei mesi, dalla fuga dall’isola d’Elba all’esilio a Sant’Elena, e mostrano con chiarezza l’evoluzione della figura dell’imperatore francese. Com’è noto, proprio Napoleone era stato tra i primi a mettere in atto un efficace sistema di propaganda basato principalmente su bollettini, gazzette, fogli periodici e poi

chansons e poesie130: il caso dell’«Osservatore» è un felice esempio di propaganda al contrario, segno che la lezione era ormai stata assimilata in tutta Europa. L’ultima fase di questa dura campagna stampa vede il nemico ormai sconfitto: alla denigrazione e demonizzazione che avevano dominato gli articoli scritti durante gli ultimi sprazzi del suo dominio, dettati dalla paura e strumenti di propaganda necessari a combattere la fama e il mito del grande generale, si sostituisce l’aperta irrisione, quasi liberatoria, dello sconfitto, inerme ed esiliato. Per un giudizio più equanime, com’è noto, bisognerà attendere il passaggio di alcuni anni, la morte del protagonista e l’immortale poesia di Alessandro Manzoni, «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio».

La definitiva sconfitta di Napoleone e il suo esilio a Sant’Elena pongono fine alla minaccia rivoluzionaria: la situazione continentale si distende e anche a Trieste gli animi si rasserenano, così la cittadinanza accoglie con autentiche manifestazioni di giubilo l’imperatore Francesco I, che la onora con una sua visita nel 1816, nell’ambito di un viaggio che tocca tra l’altro Gorizia, Capodistria, Pirano, Parenzo, Fiume e Pola. Il 30 aprile 1816 l’imperatore giunge a Trieste e nelle parole dell’«Osservatore triestino» del 2 maggio «la

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Copia di tale stampa è conservata presso la Bibliothéque Nationale de France di Parigi.

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«Osservatore triestino», 20 settembre 1815.

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CRISCUOLO 1997, p. 161: «Napoleone è stato il principale artefice del proprio mito. Fin dai primi successi egli dimostrò di aver perfettamente compreso l’importanza della pubblica opinione […] e non trascurò alcuno strumento per accrescere la propria popolarità. I fasti della sua prima campagna furono celebrati in termini entusiastici dai due giornali da lui fondati nell’estate del 1797 (Courrier de l’armée d’Italie e La France vue de

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 47-55)