2. I “soggetti qualificati” autori del reato-‐‑presupposto
2.3. La problematica incidenza della delega di funzioni sui criteri
dirigenti69, – che, sebbene in attuazione delle direttive datoriali, organizzano autonomamente l’attività lavorativa e vigilano sulla stessa con poteri gerarchici (art. 2, lett. d), d.lgs. n. 81/2008) – nella categoria dei subordinati sono invece collocabili i preposti, che pur vigilando sui propri sottoposti, non svolgono le funzioni organizzative e direttive che caratterizzano le posizioni apicali70.
2.3. La problematica incidenza della delega di funzioni sui criteri oggettivi di ascrizione della responsabilità all’ente.
Una questione di grande rilievo, sulla quale si è concentrata l’attenzione della dottrina – e che meriterebbe una trattazione autonoma data la rilevanza delle implicazioni che porta con sé, ma che esula dalle finalità del presente lavoro – è quella relativa all’incidenza della delega di funzioni sul modus operandi dei criteri oggettivi di ascrizione della responsabilità di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 231/200171.
In particolare, la questione può sintetizzarsi nel seguente interrogativo: nell’ipotesi in cui vengano delegate singole e specifiche funzioni rientranti nella sfera di competenza di uno dei soggetti indicati nell’art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001, in quale categoria dovrà farsi rientrare il delegato? In quella
69 Mentre alcuni Autori ritengono pacifica l’inclusione dei dirigenti tra i soggetti apicali (cfr. DE
SIMONE G., La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, cit.), altri sostengono che dovrebbe operarsi una valutazione caso per caso, in quanto la qualifica dirigenziale non sempre si traduce in un potere di direzione dell’impresa: cfr. PRESUTTI
A. -‐‑ BERNASCONI A, Manuale della responsabilità degli enti, cit., p. 70.
70 SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società: principi generali e criteri imputativi nel d.lgs. n. 231/2001, cit., p. 899.
71 La letteratura sul tema della delega e sulle sue implicazioni penalistiche è ormai pressoché sterminata. Si veda, per tutti, il contributo monografico di VITARELLI T., Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006. Cfr., altresì, DOVERE S., Delega di funzioni prevenzionistiche e compliance programs, in Resp. amm. soc. ed enti, 2010, n. 4, p. 101 ss.; LECIS U., La delega di funzioni e l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro. Il ruolo del modello organizzativo a norma del d.lgs. 231/2001, in Resp. amm. soc. ed enti, 2010, n. 2, p. 157 ss.
dei soggetti apicali oppure in quella dei sottoposti all’altrui direzione o vigilanza?
La questione si inserisce all’interno della più complessa problematica concernente l’efficacia scriminante della delega di funzioni su cui dottrina e giurisprudenza si sono espresse in numerose occasioni.
La giurisprudenza di legittimità ha subordinato l’efficacia liberatoria della delega di funzioni in ambito penale all’esistenza di alcuni presupposti di tipo oggettivo e soggettivo.
Tra i presupposti oggettivi vengono annoverati: la complessità interna dell’impresa a prescindere dalle sue dimensioni72; il requisito della certezza, con il quale si vuole indicare che la delega deve avere un contenuto chiaro e puntuale, completo e ben determinato, riportante la specifica indicazione dei poteri delegati, così da non lasciare dubbi circa la portata del conferimento stesso 73; l’effettivo trasferimento dei poteri in capo al delegato, con l’attribuzione di una completa autonomia decisionale e di gestione, oltre alla possibilità di far fronte alle necessità più urgenti con idonea capacità di spesa74; l’esistenza di precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie che disciplinano il conferimento della delega, nonché l’adeguata pubblicità della stessa75.
72 Cass., sez. III, 13 settembre 2005, n. 33308, in Cass. pen., 2006, n. 9, p. 2928 ss., la quale, peraltro, ha affermato che «la tesi contraria che ancorava l’efficacia penalistica della delega alla notevole dimensione dell’azienda, non solo era priva di specifico fondamento testuale, ma è ora in contrasto con la recente evoluzione legislativa, che positivamente riconosce pieno diritto di cittadinanza alla delega di funzioni, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda».
73 Si veda, ex multis, Cass., sez. II, 26 maggio 2003, n. 22931, in Dir. prat. lav., 2003, p. 2101.
74 Cfr. Cass., sez. II, 26 maggio 2003, n. 22931, cit.
75 Cfr. Cass., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 11835, in Guida dir., 2013, n. 19, p. 87 ss., la quale, tra l’altro, ha affermato che, «in base alla realistica valutazione delle esigenze della moderna economia, imponenti l’articolato decentramento delle grandi strutture produttive, ed un approccio ragionevole alla problematica della suddivisione delle responsabilità, anche organizzative e di vigilanza, l’esigenza di una delega scritta o comunque formale, da parte degli organi verticistici di una società di rilevanti dimensioni, è superflua, dovendosi presumere in re ipsa, allorquando ricorra la suddivisione dell’azienda in distinti settori, rami o servizi, ai quali siano preposti soggetti qualificati ed idonei». Conforme anche Cass., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 28542, in www.dejure.it.
Tra i presupposti soggettivi, invece, sono annoverati: l’idoneità e la capacità tecnica del soggetto delegato76; l’assenza di ingerenza del delegante nelle funzioni del delegato e l’assenza di richieste di intervento da parte del delegato77.
La difficoltà di dare una risposta al quesito sopra formulato nasce dal fatto che, se ciò forma oggetto di delega, il delegato potrebbe anche esercitare – con autonomia decisionale e di spesa – talune delle funzioni tipiche di un soggetto in posizione apicale, ma al contempo egli rimane sottoposto, almeno entro certi limiti, al potere-‐‑dovere di sorveglianza del delegante.
Secondo l’opinione prevalente in dottrina78, per apprezzare concretamente la situazione del soggetto delegato, occorre osservare nello specifico i poteri che gli siano stati attribuiti e fare una valutazione che tenga conto del «tasso di autonomia […], dei suoi poteri decisionali e organizzativi oltre che delle capacità di spesa per operare in via concreta»79. A seconda che tale valutazione abbia esito positivo o negativo, sarà possibile procedere all’inclusione del delegato nella categoria dei soggetti apicali oppure in quella dei sottoposti.
Pertanto, rispetto al potere-‐‑dovere di sorveglianza del delegante, si ritiene prevalente il dato relativo alla natura delle funzioni delegate, e ciò tanto più se si condivide l’opinione secondo la quale «quello esigibile dal delegante non può che essere un controllo “a largo spettro”, avente ad oggetto la funzionalità e la persistente adeguatezza, nel corso del tempo, del modello organizzativo nel suo complesso»80.
76 Cass., sez. II, 28 aprile 2004, n. 19560, in www.dejure.it.
77 Si veda, Cass., sez. III, 19 aprile 2006, n. 13706, in www.dejure.it.
78 Tra gli altri, PRESUTTI A. -‐‑ BERNASCONI A, Manuale della responsabilità degli enti, cit., p. 69; GENNAI S. -‐‑ TRAVERSI A., La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 43 ss.; SANTI F., La responsabilità della società e degli enti: i modelli di esonero delle imprese, cit., p. 171 ss.
79 Così, PRESUTTI A. -‐‑ BERNASCONI A, Manuale della responsabilità degli enti, cit., p. 69.
80 Testualmente, DE SIMONE G., La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, cit., p. 30.
Ma il problema rimane aperto, anche perché le indicazioni provenienti dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 sembrano porsi in contrasto con tale orientamento81.
3. I diversi modelli di imputazione soggettiva del reato all’ente.
Nella costruzione del modello di responsabilità da reato degli enti, il punto più critico per il legislatore è stato certamente quello concernente l’imputazione soggettiva del reato all’ente.
Due erano i profili di criticità da affrontare, peraltro strettamente correlati l’uno all’altro: il primo riguardava la necessità di evitare un’imputazione automatica – non fondata, pertanto, quantomeno sulla colpa – suscettibile di assumere i connotati tipici della responsabilità oggettiva; il secondo profilo riguardava la necessità di evitare un conflitto con il principio di cui all’art. 27, comma 1, Cost., in quanto, al di là del nomen juris attribuito alla responsabilità dell’ente, era ben chiaro per il legislatore che non si stesse parlando di una semplice responsabilità amministrativa82.
81 L’art. 16, comma 3, d.lgs. n. 81/2008, esplicitamente afferma che la delega non esclude l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite, benché poi aggiunga che la vigilanza si esplica anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4, dello stesso decreto, che formano parte integrante del modello organizzativo.
82 Nella Relazione governativa al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 18, si legge: «Si è prima ricordato come, in passato, la principale controindicazione all’ingresso di forme di responsabilità penale dell’ente fosse ravvisata nell’art. 27, comma 1, cost., inteso nella sua accezione di principio di colpevolezza in senso “psicologico”, e cioè come legame psichico tra fatto ed autore. Si è anche già detto che una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo (riprovevolezza) consente oggi di adattare comodamente tale categoria alle realtà collettive. Si aggiunga ora che, rispetto al passato, si sta consolidando unanimità di vedute su un altro aspetto. La Corte Europea dei diritti dell’uomo e la migliore dottrina concordano nel ritenere che le imprescindibili garanzie del diritto penale debbano essere estese anche ad altre forme di diritto sanzionatorio a contenuto punitivo, a prescindere dalle astratte “etichette” giuridiche che il legislatore vi apponga. A ciò l’esigenza, fortemente avvertita, di creare un sistema che, per la sua evidente affinità con il diritto penale, di cui condivide la stessa