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La propensione all’export

Nel documento Consuntivo 2011 (1.3mb) (pagine 183-200)

10. GLI SCAMBI CON L’ESTERO

10.1.2 La propensione all’export

Come accennato precedentemente, in termini assoluti, l'Emilia-Romagna, con quasi 48 miliardi di euro di export, si è confermata terza in Italia, alle spalle di Lombardia e Veneto.

La terza posizione in ambito nazionale come regione esportatrice è di assoluto rilievo, tuttavia per avere una dimensione più reale della capacità di esportare occorre rapportare l’export di merci alla disponibilità dei beni potenzialmente esportabili, che provengono essenzialmente da agricoltura, silvicoltura e pesca e industria in senso stretto, che comprende i comparti energetico, estrattivo e manifatturiero. Non disponendo del dato aggiornato del fatturato regionale di questi settori, bisogna rapportare le esportazioni al valore aggiunto ai prezzi di base, in modo da calcolare un indice, che sia in un qualche modo rappresentativo del grado di apertura di un sistema produttivo verso l’export, effettuando la stessa operazione messa in atto per calcolare l’apertura all’export delle province dell’Emilia-Romagna descritta precedentemente.

Sotto questo profilo, è disponibile una serie omogenea più aggiornata rispetto a quella appena descritta per i dati provinciali, che abbraccia il periodo 2000-2009. In questo caso l’Emilia-Romagna ha mostrato un grado di apertura del 113,8 per cento, appena inferiore a quello medio del Nord-est (114,5), ma superiore di oltre dieci punti percentuali rispetto a quello nazionale. In Italia solo quattro regioni, vale a dire Friuli-Venezia Giulia (162,7), Piemonte (120,7), Toscana (115,5) e Liguria (114,6) hanno evidenziato indici superiori. Se confrontiamo il 2009 con la situazione dell’anno precedente emerge un generale arretramento della propensione all’export, con le uniche eccezioni di Liguria e Toscana. Per l’Emilia-Romagna la riduzione è ammontata a 18,1 punti percentuali, a fronte dei cali di 15,3 e 11,5 punti rilevati rispettivamente nel Nord-est e in Italia.

Anche questo andamento rappresenta un chiaro segnale dello spessore della crisi che ha colpito il sistema produttivo nel 2009. Se articoliamo il confronto con la situazione riferita al 2000, possiamo vedere che l’Emilia-Romagna è riuscita tuttavia a migliorare di circa diciassette punti percentuali la propria apertura all’export, risalendo dalla settima alla quinta posizione, scavalcando Lombardia e Veneto. La migliore performance in termini di crescita del grado di apertura all’export è appartenuta alla Liguria, il cui indice è migliorato, tra il 2000 e 2009, di circa quarantacinque punti percentuali, davanti a Friuli-Venezia Giulia (+30,6), Basilicata (+25,1) ed Emilia-Romagna (+16,9).

Gli arretramenti non sono tuttavia mancati come nel caso di Lazio (-2,5 punti percentuali), Marche (-9,0), Molise (-9,4) e Valle d’Aosta (-10,9). In estrema sintesi, l’Emilia-Romagna, al di là della battuta d’arresto accusata nel 2009, è risultata tra le regioni italiane che nel lungo periodo sono apparse più dinamiche nel miglioramento del rapporto tra produzione ed export, riuscendo a ridurre il differenziale del grado di apertura all’export con la più omogenea circoscrizione nord-orientale, dai quasi otto punti percentuali del 2000 ai 0,7 del 2009.

In valore assoluto, come detto precedentemente, l'Emilia Romagna ha esportato nel 2011 merci per un totale di quasi 48 miliardi di euro, in larga parte provenienti dal comparto metalmeccanico (macchinari ed apparecchiature generali e speciali in primis) che ha coperto quasi il 57 per cento dell'export regionale, rispetto alla percentuale del 54,1 per cento del 2000 e 51,5 per cento del 1995.

Seguono in ordine di importanza i prodotti della moda (10,5 per cento), agro-alimentari (10,1 per

cento) e della lavorazione dei minerali non metalliferi, che comprendono l'importante comparto delle piastrelle in ceramica (7,2 per cento).

Se restringiamo il campo di osservazione alle province dell’Emilia-Romagna, valutando l’incidenza dell’export di agricoltura, caccia, silvicoltura e pesca e industria in senso stretto sul rispettivo valore aggiunto61, la classifica per valori assoluti descritta precedentemente cambia aspetto. In questo caso è Reggio Emilia che manifesta la maggiore propensione all’export, con un indice pari a 157,7 per cento, davanti a Parma (144,7 per cento), Bologna (142,7 per cento) e Modena (132,1). La minore propensione è stata rilevata a Forlì-Cesena (86,0), Ferrara (88,9 per cento) e Rimini (107,6 per cento). In sintesi, la cosiddetta “area forte” dell’Emilia-Romagna, assieme alla limitrofa Parma, riesce a sfruttare maggiormente le potenzialità offerte dal suo vasto sistema produttivo, rispetto al resto della regione. Queste quattro province hanno registrato assieme una propensione media all’export pari al 142,8 per cento ben al di sopra della media regionale del 129,3 per cento e nazionale del 114,7 per cento.

Se si rapporta il valore delle esportazioni di alcuni settori a quello del relativo valore aggiunto ai prezzi di base, si può avere un quadro più dettagliato del grado di apertura verso l'export, pur nei limiti rappresentati dalla disomogeneità dei dati posti a confronto e dalla impossibilità di evidenziare tutti i settori. Secondo i dati Istat disponibili per il 200762, sono stati i prodotti chimici, comprese le cokerie e la chimica farmaceutica, ad avere registrato l'indice più elevato pari a 194,2 (ogni cento euro di valore aggiunto ne corrispondono oltre 194 di export), seguiti da quelli della moda (189,7) e metalmeccanici (166,7). Oltre quota cento troviamo inoltre i prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi (136,9). Nell'alimentare, bevande e tabacco la quota si riduce al 62,5 per cento. Gli indici più bassi si registrano nella carta, stampa, editoria (22,8), nei prodotti dell’industria estrattiva (25,8) e in quelli dell'agricoltura, silvicoltura e pesca (26,6). La considerazione che si può trarre da questi indici è che alcuni settori non riescono a sfruttare appieno le proprie potenzialità produttive. Il caso più emblematico è quello delle industrie alimentari, il cui export arriva soltanto, come visto, al 62,5 per cento del valore aggiunto. Se disponessimo del dato di fatturato, anziché del valore aggiunto, avremmo una percentuale ancora più ridotta, in linea con la contenuta quota di export sulle vendite che emerge dalle indagini congiunturali effettuate dal sistema camerale. Secondo i dati disponibili fino al 2010 le imprese esportatrici alimentari sono ammontate al 18,7 per cento del totale, a fronte della media generale del 23,3 per cento. La relativa quota di export sul totale del fatturato è stata del 24,2 per cento, largamente al di sotto del valore medio del 41,4 per cento dell’industria in senso stretto. Esportare prodotti alimentari non è sempre agevole a causa, molto spesso, di regole d’importazione piuttosto rigide, che di fatto possono mascherare una sorta di protezionismo. Restano tuttavia ampi margini di miglioramento per un settore che comprende produzioni tipiche della regione e uniche nel loro genere per le elevate qualità organolettiche.

Se confrontiamo le quote settoriali di partecipazione all’export del quinquennio 2007-2011 con quelle dei cinque anni precedenti, possiamo notare che i cambiamenti non sono andati oltre il punto percentuale, sia di segno negativo che positivo. Si ha in sostanza una sorta di cristallizzazione del mercato, nel senso che l’evoluzione dei vari prodotti esportati ha avuto sostanzialmente la stessa intensità, senza stravolgerne il peso nel medio periodo. Il guadagno relativamente più significativo ha riguardato i prodotti metalmeccanici agro-alimentari, la cui quota è salita dall’8,7 al 9,5 per cento, in virtù soprattutto della migliore tenuta evidenziata nell’anno della grande crisi, ovvero il 2009, quando l’export agro-alimentare risultò in diminuzione del 4,3 per cento, a fronte della flessione generale del 23,3 per cento. I prodotti metalmeccanici hanno guadagnato anch’essi rispetto alla quota media del quinquennio 2002-2006, ma in misura assai contenuta, pari ad appena 0,4 punti percentuali. Il contributo più consistente a questo moderato miglioramento è venuto dai

61 I dati del valore aggiunto sono di fonte Istituto Guglielmo Tagliacarne.

62 La serie è aggiornata al 2007 in quanto non si sono resi disponibili in tempo utile i dati settoriali della nuova serie calcolata in base alla nuova codifica Ateco2007, il cui rilascio è previsto per l’autunno 2012.

prodotti legati alla metallurgia (+1,2 punti percentuali). Negli altri ambiti settoriali le quote del quinquennio 2007-2011 sono rimaste pressoché invariate rispetto a quelle dei cinque anni precedenti. Gli spostamenti, sia in positivo che in negativo, delle quote degli altri i prodotti più venduti sono risultati prossimi allo 0 per cento. L’unica eccezione degna di nota, di segno negativo, è venuta dai prodotti relativi a computer e prodotti di elettronica e ottica; apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi, la cui quota si è ridotta di 0,8 punti percentuali rispetto a quella media del quinquennio 2002-2006. Per quanto concerne i prodotti della moda, certamente tra i più esposti alla concorrenza dei paesi emergenti che possono valersi di manodopera a basso costo, è da sottolineare il miglioramento della quota, seppure esiguo, manifestato tra i due quinquenni presi in esame (+0,4 punti percentuali), da attribuire soprattutto alla voce più importante, ovvero gli articoli di abbigliamento, anche in pelle e in pelliccia.

10.1.3 L’export per settori. Se guardiamo all’evoluzione del 2011 rispetto al 2010, il settore più importante, vale a dire l’industria metalmeccanica, ha fatto registrare una crescita del 16,7 per cento, di quasi quattro punti percentuali superiore all’incremento totale dell’export emiliano-romagnolo. La crescita è tutt’altro che disprezzabile ed è quasi riuscita a colmare la pesante flessione patita nell’anno della grande crisi, ovvero il 2009, avvicinando l’export metalmeccanico al livello del 2008 (-3,8 per cento). La buona intonazione delle industrie metalmeccaniche, che come descritto precedentemente sono tra le imprese più propense a esportare, ha riguardato la maggioranza dei comparti. L’unica eccezione è venuta dai computer e prodotti di elettronica e ottica, assieme agli apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi, le cui esportazioni sono diminuite dell’1,9 per cento rispetto al 2010. I segni positivi più accentuati sono stati rilevati negli “altri mezzi di trasporto” che hanno beneficiato della ottima intonazione di nautica e di cicli-motocicli (+45,2 per cento) e nelle macchine e apparecchi meccanici non classificati altrove (+20,9 per cento), che costituiscono la voce più importante dei prodotti metalmeccanici con circa 14 miliardi e 726 milioni di export equivalenti al 54,3 per cento del totale metalmeccanico e al 30,7 per cento di quello totale. Uno dei comparti tecnologicamente più avanzati di questa voce, vale a dire le “altre macchine di impiego generale”, che comprendono il packaging (hanno rappresentato l’11,1 per cento del totale dell’export), ha registrato un aumento prossimo al 20 per cento, di quasi sette punti percentuali superiore alla media generale, oltre che in accelerazione rispetto al già lusinghiero incremento del 14,0 per cento rilevato nel 2010. Anche l’importante gruppo delle “altre macchine per impieghi speciali” è cresciuto sensibilmente (+22,8 per cento), ampliando l’aumento rilevato nel 2010 (+8,3 per cento).

Per i prodotti della moda, i più esportati dopo quelli metalmeccanici, con una quota del 10,5 per cento, è stato rilevato un incremento dell’export pari al 15,0 per cento, ma in questo caso il sistema moda è riuscito ad annullare la flessione rilevata nel 2009, evidenziando un aumento del 7,7 per cento rispetto al 2008. In una fase congiunturale dal sapore recessivo (in regione la produzione è diminuita, seppure lievemente, per il quinto anno consecutivo) l’export è stata l’unica voce positiva, di cui tuttavia ha beneficiato solo una ridotta platea di imprese. La crescita del commercio mondiale si è fatta in sostanza sentire, mentre la concorrenza internazionale è apparsa più “morbida”. A tale proposito nel 2011 l’import nazionale di prodotti della moda è cresciuto del 10,9 per cento, risultando in rallentamento rispetto alla crescita del 18,9 per cento rilevata nel 2010.

La voce più consistente dei prodotti della moda, costituita dagli articoli di abbigliamento escluso quello in pelliccia, ha superato in Emilia-Romagna i 3 miliardi di euro, con un aumento del 16,2 per cento nei confronti del 2010, in forte accelerazione rispetto alla crescita del 2,5 per cento riscontrata nell’anno precedente. Anche le calzature hanno mostrato un buon andamento (+24,1 per cento) e anche in questo caso il 2011 è risultato più dinamico del 2010 (+10,2 per cento). Negli altri ambiti della moda sono stati rilevati solo aumenti, apparsi piuttosto ampi negli articoli di abbigliamento in pelliccia e negli articoli in pelle (articoli da viaggio, borse, pelletteria, ecc.).

Nell’ambito dei prodotti alimentari, bevande e tabacco – hanno inciso per l’8,4 per cento dell’export emiliano-romagnolo - si può parlare di buon andamento (+11,9 per cento), soprattutto se

si considera che è stato consolidato l’incremento del 2010, pari al 13,4 per cento, che aveva colmato la diminuzione accusata nell’anno della grande crisi, ovvero il 2009. Se approfondiamo la dinamica dei vari prodotti alimentari, possiamo notare che l’unico segno negativo ha riguardato i prodotti ittici (-2,3 per cento), che ha tuttavia compensato solo una piccola parte della crescita del 12,1 per cento rilevata nel 2010. La voce più consistente rappresentata da carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne, in pratica prosciutti e salumi, ha realizzato più di un miliardo di euro, superando del 7,6 per cento l’importo del 2010. Degno di nota è l’andamento dei prodotti lattiero-caseari, nei quali è compreso un prodotto tipico della regione quale il Parmigiano-Reggiano, le cui vendite all’estero sono aumentate del 21,4 per cento, consolidando brillantemente l’ottimo andamento riscontrato nel 2010 (+27,7 per cento). La nuova performance dei prodotti lattiero-caseari (l’80 per cento prende la strada dell’Unione europea) è da attribuire alla vivacità degli acquisti dei principali clienti, ovvero Francia, Germania e Regno Unito, cresciuti rispettivamente del 17,8, 36,3 e 27,0 per cento. Il quarto mercato per importanza, cioè quello statunitense ha registrato una crescita del 12,9 per cento, che ha consolidato la forte risalita del 2010 (+51,0 per cento) dopo la caduta del 2009. Per un altro importante cliente, quale la Spagna, il 2011 ha invece avuto un esito negativo (-1,5 per cento). La voce degli “altri prodotti alimentari”, eterogenea voce che comprende prodotti dolciari, condimenti e spezie, tè e caffè, precotti, ecc. è risultata la più venduta dopo le carni. Nel 2011 ha realizzato esportazioni per un valore di 736 milioni e 793 mila euro, con un aumento prossimo al 12 per cento rispetto al 2010, e anche in questo caso possiamo parlare di consolidamento nei confronti della brillante crescita rilevata nel 2010 (+17,5 per cento).

Rispetto al mercato delle carni, quello degli “altri prodotti alimentari” è risultato un po’ meno ristretto, nel senso che l’Unione europea ne ha acquistato per una quota pari al 63,6 per cento. Il principale cliente si è confermata la Germania, con una quota del 20,9 per cento, che è stata rafforzata da una crescita del 12,5 per cento rispetto al 2010. Segue la Francia con una incidenza del 12,0 per cento, ma in questo caso è stato registrato un incremento più “soft”, pari al 5,1 per cento.

Terzo mercato gli Stati Uniti (9,5 per cento) e anche per il colosso americano c’è stata una crescita

“tranquilla” (+6,1 per cento), inferiore a quella media dei prodotti alimentari. Per i prodotti da forno e farinacei (è compresa la produzione di pasta), che in regione derivano, in parte, da marchi conosciuti praticamente in tutto il mondo, il 2011 si è chiuso con un bilancio moderatamente positivo (+3,6 per cento), ma insufficiente a recuperare sulla diminuzione del 4,7 per cento emersa nel 2010. I principali mercati si sono confermati Francia e Germania, che hanno registrato aumenti rispettivamente pari al 6,3 e 4,2 per cento. Nei rimanenti più importanti mercati hanno segnato il passo Regno Unito e Svizzera, mentre si è consolidata la crescita degli Stati Uniti. Tra i mercati emergenti sono da sottolineare la performance di Russia (+28,5 per cento) e Australia (+48,5 per cento).

Il quarto settore per importanza, rappresentato dalla lavorazione dei minerali non metalliferi – ha rappresentato il 7,2 per cento dell’export dell’Emilia-Romagna – è ripresa rimasto sostanzialmente al palo (+0,5 per cento), dopo l’aumento del 10,9 per cento registrato nel 2010. Al di là di questi progressi, il livello del 2011 è rimasto largamente al di sotto del 2008 (-10,0 per cento), a dimostrazione di come la crisi del 2009 abbia inciso pesantemente sul settore che in regione è fortemente caratterizzato dalla produzione di materiali da costruzione in terracotta, in pratica le piastrelle per pavimenti e rivestimenti, che hanno rappresentato circa l’81 per cento dell’export dei prodotti dell’industria della lavorazione dei minerali non metalliferi. Nel 2011 il relativo export è aumentato del 2,6 per cento, e anche in questo caso è da sottolineare che si è rimasti ancora distanti dai livelli del 2008, prima che la crisi esplodesse in tutta la sua evidenza (-13,6 per cento). La sostanziale stabilità dell’export di piastrelle è da attribuire, in parte, al negativo andamento del terzo principale cliente, ovvero gli Stati Uniti (-1,9 per cento). Altri cali degni di nota per l’importanza dei mercati hanno interessato Spagna, Canada, Arabia Saudita e Grecia, mentre è da sottolineare il crollo della Libia, i cui acquisti, a causa della guerra civile, sono passati dai 5 milioni e 650 mila euro del 2010 ai circa 500 mila del 2011. I due principali clienti, ovvero Francia e Germania, hanno

accresciuto i propri acquisti rispettivamente del 5,9 e 5,0 per cento, mentre meritano l’etichetta di emergenti i paesi Brics63 assieme a Lituania ed Estonia.

10.1.4 I mercati di sbocco. In un contesto segnato dalla crescita del commercio internazionale e del Pil mondiale, l’export dell’Emilia-Romagna è apparso in ripresa in ogni continente, con l’unica eccezione dell’Africa, che ha riflesso le turbolenze politiche che hanno afflitto Tunisia, Libia ed Egitto.

L’Unione Europea allargata a ventisette paesi resta il principale acquirente dei prodotti regionali, con una quota nel 2011 pari al 55,7 per cento delle merci esportate. I principali partners, non solo europei, ma anche mondiali, si sono confermati Germania e Francia, con quote pari rispettivamente al 12,8 e 11,8 per cento. Rispetto alla situazione dei dieci anni precedenti - i dati sono stati resi omogenei tenendo conto dei nuovi paesi membri - l’Unione Europea ha visto ridurre la propria quota di oltre tre punti percentuali, non tanto per un calo dell’export, bensì per la maggiore velocità di crescita evidenziata da altre aree, in particolare il continente asiatico, la cui quota è migliorata di 3,4 punti percentuali, in misura superiore rispetto all’andamento nazionale (+2,2 punti percentuali).

Altri progressi, ma più contenuti, hanno riguardato l’Europa non Ue (+1,0 punti percentuali) e l’America Centro-meridionale (+1,1 punti percentuali), mentre all’opposto ha un po’ rallentato la sua corsa il mercato nord-americano, la cui quota nel 2011 si è ridotta di 2,2 punti percentuali, in misura leggermente più ampia rispetto a quanto avvenuto in Italia (-1,6 punti percentuali).

Rispetto al 2010, l'export verso i paesi dell’Unione europea è apparso in aumento dell’11,0 per cento (+8,8 per cento in Italia), avvicinandosi ai livelli precedenti la crisi del 2009. Per restare nell’ambito europeo, è da sottolineare il dinamismo evidenziato dai paesi non Ue, i cui acquisti sono aumentati del 24,0 per cento, senza tuttavia riuscire, anche in questo, caso a raggiungere il livello del 2008. Nelle rimanenti aree geografiche è da sottolineare la crescita dei continenti americano e asiatico rispettivamente pari al 18,5 e 15,5 per cento, oltre alla performance dell’Oceania e altri territori (+19,6 per cento), che resta tuttavia un mercato marginale, con una quota di appena l’1,4 per cento sul totale dell’export emiliano-romagnolo. Come accennato precedentemente, l’unico segno negativo ha riguardato il continente africano (-6,8 per cento), ma in questo caso l’Emilia-Romagna ha mostrato una relativa maggiore tenuta rispetto all’andamento nazionale (-10,2 per cento).

Se analizziamo nel dettaglio i flussi verso alcune aree geografiche delle voci più importanti, possiamo evincere che nei confronti dell’Unione europea, allargata a ventisette paesi, i principali prodotti esportati, vale a dire le “macchine e apparecchiature meccaniche non classificate altrove” - sono equivalsi a circa il 24 per cento dell’export - sono cresciuti del 19,5 per cento rispetto all’anno precedente, accelerando rispetto all’incremento del 14,4 per cento rilevato nel 2010. Si tratta di un andamento che assume una particolare valenza in quanto il gruppo delle “macchine e apparecchiature meccaniche non classificate altrove” comprende prodotti tecnologicamente avanzati a elevato valore aggiunto. La crescita è stata determinata dalle voci più importanti, vale a dire le “macchine di impiego generale”64 e “altre macchine di impiego generale”65, i cui aumenti si sono attestati rispettivamente al 24,9 e 15,2 per cento. Un altro incremento degno di nota ha riguardato il comparto delle “altre macchine per impieghi speciali” (+14,3 per cento).

La seconda voce per importanza, rappresentata dai prodotti della moda (10,9 per cento del totale) è apparsa in aumento dell’11,5 per cento, in misura meno brillante rispetto all’incremento del 15,8

63 Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa.

64 Comprendono la fabbricazione di motori e turbine (esclusi i motori per aeromobili, veicoli e motocicli), apparecchiature fluidodinamiche, pompe e compressori, rubinetti e valvole, cuscinetti, ingranaggi e organi di trasmissione esclusi quelli idraulici e quelli per autoveicoli, aeromobili e motocicli.

65 Comprendono la fabbricazione di forni, bruciatori e sistemi di riscaldamento, macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione, macchine e attrezzature per ufficio (escluso computer e unità periferiche), utensili portatili a motore e attrezzature di uso non domestico per la refrigerazione e la ventilazione, oltre a bilance, macchine per le industrie chimiche e affini, macchine automatiche per la dosatura, la confezione e per l’imballaggio, ecc.

per cento rilevato nel 2010. La intonazione crescita, comunque apprezzabile, di questi prodotti, tipici del made in Italy, è stata determinata dall’ottimo andamento degli articoli in pelle (escluso abbigliamento) e simili, il cui aumento del 21,4 per cento, ha consolidato il già buon incremento del 2010 (+16,0 per cento). Per le sole calzature la crescita è salita al 22,2 per cento. La voce più consistente, ovvero gli “articoli di abbigliamento, escluso quello in pelliccia”, ha evidenziato un incremento più leggero (+9,4 per cento), in frenata rispetto all’evoluzione del 2010 (15,9 per cento).

I prodotti tessili hanno evidenziato una crescita dell’11,8 per cento, e anche in questo caso è da annotare il rallentamento nei confronti dell’evoluzione del 2010 (+14,4 per cento).

Figura 10.1.4.1- Quote di export 1995. Quote di export 2011.

Figura 10.1.4.1- Quote di export 1995. Quote di export 2011.

Nel documento Consuntivo 2011 (1.3mb) (pagine 183-200)

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