Considerazioni sulla metodologia dell’indagine delle forze di lavoro. L’andamento del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna viene prevalentemente analizzato sulla base della nuova rilevazione Istat delle forze di lavoro. Rispetto al passato, siamo in presenza di un’indagine definita
“continua” in quanto le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane dell’anno, tenuto conto di una opportuna distribuzione a livello trimestrale del campione complessivo.
I cambiamenti non hanno riguardato le sole modalità di rilevazione, ma anche alcune definizioni delle varie condizioni, arricchendo nel contempo le informazioni sull’occupazione, facendo emergere il lavoro coordinato e continuativo e interinale. Nell’ambito della disoccupazione è stato accresciuto il campionario di possibilità e la precisione dell’individuazione delle azioni di ricerca effettuate. Tra le motivazioni che spingono ad uscire dal mercato del lavoro sono state introdotte la cura della famiglia per assenza di servizi adeguati - la mancanza di asili è tra queste - e la indisponibilità di impieghi part-time.
Per quanto concerne la figura di occupato, nella vecchia rilevazione veniva considerato tale chi dichiarava di esserlo, sottintendendo un criterio soggettivo basato sulla percezione di essere in questa condizione. Con la nuova rilevazione è considerato occupato colui che nella settimana precedente l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro remunerato, o anche non remunerato se l’attività è svolta in un’azienda di famiglia. Siamo pertanto di fronte ad un criterio di sapore più oggettivo, che prescinde dalla percezione soggettiva della persona intervistata. Per le persone in cerca di occupazione, che devono essere comprese tra i 15 e i 74 anni, siamo di fronte a parametri sostanzialmente uguali a quelli in vigore precedentemente. Si deve essere disponibili a lavorare nelle due settimane successive all’intervista e si deve avere effettuato almeno una ricerca attiva di lavoro nelle quattro settimane precedenti. Non tutte le informazioni sopra riportate sono state divulgate a livello regionale, come ad esempio, nel caso delle collaborazioni continuative a progetto.
I confronti con il passato vanno sempre effettuati con la dovuta cautela in quanto occorre tenere conto dei flussi delle regolarizzazioni di cittadini stranieri. A tale proposito giova ricordare che la prima regolarizzazione di stranieri attuata in Italia venne disposta con le circolari del Ministero del Lavoro del 2 marzo e 9 settembre 1982, che riguardò tuttavia un limitato numero di stranieri. Nel 1986 ne seguì un’altra che comportò 105.000 richieste di regolarizzazione, in gran parte provenienti da stranieri disoccupati. All'inizio degli anni '90 il flusso delle immigrazioni crebbe ulteriormente e venne così emanato un altro provvedimento legislativo di sanatoria con il d. l. n. 416 del 1989, poi modificato e previsto nella legge n. 39/1990, la cosiddetta Legge Martelli. All'art. 9 fu prevista una ulteriore sanatoria per coloro che potevano attestare di essere entrati in Italia entro il 31-12-1989 a prescindere da ogni altra condizione, che comportò 225.000 domande di regolarizzazione. Nel 1995 segue un altro provvedimento di regolarizzazione conosciuto come sanatoria 'Dini' (decreto legge n.489) che si esplica in 244.000 domande accolte. Un’altra sanatoria viene varata il 16 ottobre 1998, a seguito dell’approvazione della Legge del 6 marzo 40/1998, la cosiddetta “Turco-Napolitano”, che comporta l’accoglimento di 215.000 domande di regolarizzazione. Il processo di riforma della materia dell'immigrazione contenuto nel Testo Unico giunge a termine con il D. P. R.
31 agosto 1999 n. 394, con il Regolamento di attuazione del Testo Unico. La materia sull’immigrazione trova tuttavia una nuova disciplina, che sostituisce il Testo Unico, con la Legge 189/2002, meglio nota come “Bossi-Fini”. In questo caso segue la sanatoria dalle proporzioni più massicce, di cui beneficiano circa 700.000 persone.
Negli anni successivi si hanno altri provvedimenti di regolarizzazione, come ad esempio nel 2009 quando oggetto della sanatoria sono in particolare le badanti. Tra inizio e fine settembre si contano circa 294.000 domande.
L’ impatto delle sanatorie sulla popolazione delle varie regioni risulta importante.
Le persone regolarizzate, dopo avere ottenuto il permesso di soggiorno, vanno di norma a iscriversi nei registri anagrafici, accrescendo la popolazione residente e modificando di conseguenza l’universo a cui rapportare i dati campionari. In Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2010, la popolazione straniera residente è ammontata a 500.597 unità, contro le 461.321 di fine 2009 e 163.838 di fine 2002. Tra fine 2002 e fine 2010 c’è stato un aumento percentuale medio annuo del 16,3 per cento, a fronte della crescita nazionale del 13,7 per cento. Nello stesso arco di tempo l’incidenza della popolazione straniera sul totale è salita in Emilia-Romagna dal 4,1 all’11,3 per cento, in Italia dal 2,7 al 7,5 per cento. Come di può ricavare da queste cifre, l’Emilia-Romagna ha avuto un impatto della popolazione straniera sulle proprie anagrafi decisamente importante e tale da alterare significativamente l’universo della popolazione al quale fare riferimento. Le regolarizzazioni attuate negli anni scorsi oltre ad aumentare la popolazione ufficiale, hanno fatto emergere posizioni lavorative prima sconosciute. Ne consegue, e ci ripetiamo, che l’analisi dell’andamento occupazionale degli ultimi anni deve essere effettuata con una certa cautela.
L’evoluzione generale. Nel 2011 il mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna si è chiuso positivamente, senza risentire del rallentamento del ciclo congiunturale in atto dall’estate, causato delle turbolenze finanziarie innescate dai dubbi sulla solvibilità di alcuni paesi europei, Italia compresa. Tale andamento è per certi versi sorprendente, soprattutto se si considera che in ogni trimestre del 2011 la consistenza degli occupati è apparsa in crescita tendenziale, con una intensità che è risultata maggiore nella seconda parte dell’anno, cioè quella più interessata dalla crisi (+1,8 per cento nei confronti dell’analogo periodo del 2010), rispetto alla prima (+1,5 per cento). Oltre tutto il clima rilevato in un campione di imprese nel mese di dicembre, lasciava presagire, quanto meno per gli ultimi mesi, una frenata dell’occupazione. Secondo un’indagine condotta in dicembre da Unioncamere Emilia-Romagna e Istituto Guglielmo Tagliacarne su di un campione di 1.500 imprese industriali, commerciali e dei servizi alle imprese, il 72,9 per cento delle imprese aveva dichiarato di avere avuto solo conseguenze negative dalla crisi, in aumento rispetto alla percentuale del 66,8 per cento rilevata un anno prima. Il calo della produzione aveva provocato, in circa un quinto delle imprese, un esubero del personale. Per fare fronte a questa situazione il 26,4 per cento delle imprese aveva fatto ricorso a licenziamenti, in misura tuttavia un po’ più contenuta rispetto alla situazione registrata nell’autunno 2010 (29,7 per cento).
Come vedremo diffusamente in seguito, non sono tuttavia mancate le zone d’ombra che sono state rappresentate dai vuoti registrati nell’occupazione indipendente e tra i settori nelle costruzioni e in agricoltura. Si è acuito il peso dei contratti a tempo determinato e part-time. Sotto l’aspetto dell’età alla crescita delle classi più anziane si è contrapposto il calo di quelle più giovani, anche se in questo caso l’invecchiamento della popolazione può avere influito. Se nel 2009 le imprese avevano cercato di mantenere la componente “core” dell’occupazione, sacrificando quella precaria, nel 2011 emerge, come nel 2010, una tendenza espansiva dell’occupazione a tempo determinato, che sembra sottintendere incertezza da parte delle imprese sulla durata e spessore della ripresa. Un altro fenomeno emerso nel 2011 è stato rappresentato dalla forte crescita del part time e non è da escludere che questo andamento possa essere dipeso, in taluni casi, dalla conversione dei rapporti di lavoro da full a part time, come avvenuto nel 2009.
Nel 2011 le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno stimato mediamente in Emilia-Romagna circa 1.967.000 occupati, vale a dire l’1,6 per cento in più rispetto alla media del 2010, equivalente, in termini assoluti, a circa 32.000 persone. Al di là dell’incremento, resta tuttavia una consistenza degli occupati inferiore dello 0,6 per cento a quella del 2008, prima cioè che la crisi si manifestasse in tutta la sua evidenza.
L’andamento dell’Emilia-Romagna è risultato meglio disposto rispetto a quanto riscontrato sia nel Nord-est (+1,2 per cento) che nel Paese (+0,4 per cento). In ambito regionale solo l’Abruzzo ha registrato una crescita dell’occupazione più ampia di quella rilevata per l’Emilia-Romagna (+2,7 per cento), mentre cinque regioni hanno accusato diminuzioni, in un arco compreso tra il -0,2 per cento del Lazio e il -1,1 per cento della Campania.
Una ulteriore conferma del bilancio annuale positivo dell’occupazione è venuta anche dallo scenario economico proposto nello scorso maggio da Unioncamere Emilia-Romagna - Prometeia, relativamente alle unità di lavoro, che misurano il volume di lavoro effettivamente svolto (vedi nota 3). Nel 2011, secondo le stime del sistema camerale e di Prometeia, le unità di lavoro sono cresciute dello 0,8 per cento rispetto al 2010, recuperando tuttavia solo parzialmente nei confronti delle flessioni accusate nel biennio 2009-2010.
Tavola 3.1 – Popolazione per condizione e genere. Emilia-Romagna. Periodo 2004-2011.
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Occupati: 1.846 1.872 1.918 1.953 1.980 1.956 1.936 1.967
- Maschi 1.044 1.066 1.086 1.108 1.120 1.092 1.083 1.094
- Femmine 802 806 832 846 860 864 853 873
Persone in cerca di occupazione: 71 74 67 57 65 98 117 110
- Maschi 29 29 29 23 27 48 53 52
- Femmine 42 45 38 34 38 50 64 58
- Con precedenti esperienze lavorative 57 61 55 47 52 85 98 89
- Maschi 24 26 26 20 21 43 45 43
- Senza precedenti esperienze lavorative 14 13 12 11 13 13 19 21
- Maschi 5 3 3 4 6 5 8 9
- Femmine 9 10 9 7 7 8 11 12
Forze di lavoro 1.917 1.947 1.985 2.011 2.045 2.054 2.052 2.077
- Maschi 1.073 1.096 1.115 1.131 1.147 1.139 1.135 1.145
- Femmine 844 851 870 880 898 914 917 932
Non forze di lavoro 15-64 anni: 772 775 761 752 755 780 799 799
- Maschi 289 288 283 273 275 296 301 303
- Femmine 483 488 478 478 480 484 498 497
Popolazione di 15 anni e oltre 3.561 3.613 3.642 3.667 3.706 3.750 3.778 3.803
- Maschi 1.715 1.744 1.759 1.771 1.790 1.810 1.821 1.830
- Femmine 1.846 1.869 1.883 1.895 1.916 1.940 1.957 1.972
Tassi di attività (15-64 anni) 70,9 71,1 71,9 72,4 72,6 72,0 71,6 71,8
- Maschi 78,3 78,7 79,3 80,1 80,1 78,9 78,6 78,6
- Femmine 63,4 63,4 64,3 64,6 64,9 65,1 64,5 64,9
Tassi di occupazione (15-64 anni) 68,3 68,4 69,4 70,3 70,2 68,5 67,4 67,9
- Maschi 76,2 76,6 77,1 78,4 78,2 75,5 74,9 75,0
- Femmine 60,2 60,0 61,5 62,0 62,1 61,5 59,9 60,9
Tassi di disoccupazione 3,7 3,8 3,4 2,9 3,2 4,8 5,7 5,3
- Maschi 2,7 2,7 2,6 2,1 2,4 4,2 4,6 4,5
- Femmine 5,0 5,3 4,3 3,9 4,3 5,5 7,0 6,2
(a) La somma degli addendi può non coincidere con il totale a causa degli arrotondamenti.
Fonte: Istat.
Anche i dati Smail (Sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro) aggiornati al 30 giugno 2011 hanno illustrato una situazione espansiva dell’occupazione, in linea con l’andamento positivo della prima metà dell’anno evidenziato dalle indagini sulle forze di lavoro. Nei confronti dell’analogo periodo dell’anno precedente è stata registrata una crescita dell’1,2 per cento, che è equivalsa a quasi 19.000 addetti in più. L’aumento è stato determinato da entrambe le posizioni professionali: dipendenti (+1,2 per cento), autonomi (+1,1 per cento).
L’occupazione per genere. Per quanto concerne il genere - siamo tornati alla rilevazione sulle forze di lavoro – entrambe le componenti sono apparse in aumento, con una maggiore intensità per le femmine (+2,4 per cento) rispetto ai maschi (+1,0 per cento). In Italia la componente maschile è invece apparsa in leggera diminuzione (-0,1 per cento), a fronte della crescita rilevata per le femmine (+1,2 per cento). Un andamento analogo a quello dell’Emilia-Romagna ha riguardato la circoscrizione nord-orientale, che ha registrato per le femmine un incremento più ampio (+2,6 per cento) rispetto a quello riscontrato per i maschi (+0,1 per cento). Il peso della componente
femminile sul totale dell’occupazione dell’Emilia-Romagna si è conseguentemente rafforzato, passando dal 44,1 per cento del 2010 al 44,4 del 2011. Nel 1993, ultimo anno oggetto della ricostruzione sulla base dei nuovi criteri della rilevazione sulle forze di lavoro, si aveva un rapporto attorno al 41 per cento. La crescente importanza dell’occupazione femminile nel mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna non è che un aspetto del processo di emancipazione delle donne, che le ha portate a entrare in professioni prima esclusivamente maschili, basti pensare, ad esempio, alle forze dell’ordine e a quelle armate. L’Emilia-Romagna si trova all’avanguardia in questo processo di emancipazione come efficacemente illustrato dal più elevato tasso di attività femminile del Paese, pari al 64,9 per cento.
L’occupazione per classe d’età. Tra le varie classi di età, in Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, è nuovamente quella intermedia da 35 a 44 anni a registrare il tasso di occupazione più elevato pari all’86,6 per cento, davanti alle fasce da 45 a 54 anni (84,0 per cento) e 25-34 anni (78,4 per cento). I tassi si riducono notevolmente, e non può essere altrimenti, nella classe da 15 a 24 anni, che comprende larga parte della popolazione studentesca (24,8 per cento), e in quella da 65 anni e oltre, che è prevalentemente costituita da pensionati.
Rispetto alla situazione del 2010, l’aumento dell’occupazione è stato trainato dalle classi di età meno giovani, vale a dire con almeno 45 anni di età. In quella da 45 a 54 anni c’è stata una crescita del 4,3 per cento, che sale al 9,9 per cento nella classe di età da 55 a 64 anni. Un analogo andamento ha inoltre caratterizzato le persone con almeno 65 anni di età, i cui occupati sono saliti da circa 39.000 a circa 43.000 (+10,6 per cento). Questa tendenza potrebbe essere stata favorita dalla modifica dei requisiti, sempre più stringenti, per accedere alla pensione12.
Altro segno per le tre classi di età nelle quali è divisa la fascia da 15 a 44 anni di età, con diminuzioni che sono apparse via via più intense con l’abbassarsi dell’età. Resta da chiedersi quanto possa avere inciso l’invecchiamento della popolazione sul calo dell’occupazione delle classi di età dei più giovani, ma resta tuttavia una tendenza che vede l’occupazione giovanile in una posizione più debole rispetto ai meno giovani. I motivi possono essere diversi, ma molto spesso la maggiore età è sinonimo di esperienza, di conoscenze professionali che un giovane non può ovviamente avere, e nei momenti di crisi le imprese tendono a salvaguardare il core dell’occupazione, spesso costituito da dipendenti di vecchia data, con tutto il suo bagaglio di specializzazioni che possono essere costate ingenti risorse in fatto di formazione. Nella classe da 15 a 24 anni la consistenza degli occupati si è ridotta del 4,0 per cento rispetto al 2010 (-5,5 per cento in Italia), per un totale di circa 4.000 addetti. La riduzione è andata a scapito del relativo tasso di occupazione sceso al 24,8 per cento, vale a dire ai minimi dal 2004, quando era attestato al 37,1 per cento. L’impoverimento è palese, ma occorre tenere conto che tra le cause può anche esservi l’aumento della scolarizzazione, che accresce la platea della popolazione giovanile. Nella classe di età da 25-34 anni è stata rilevate una flessione prossima al 2 per cento (-2,6 per cento in Italia), per un totale di circa 8.000 persone. In questo caso il relativo tasso di occupazione si è attestato su livelli comprensibilmente più elevati rispetto a quello della classe da 15 a 24 anni (78,4 per cento), su livelli inferiori a quelli del 2004 (84,2 per cento).
La perdita di occupazione giovanile, al di là dei fattori legati all’invecchiamento, rappresenta la nota più dolente di tutto l’andamento del mercato del lavoro del 2011, in linea con quanto emerso in Italia. L’adeguamento dell’input di lavoro ai ridotti volumi produttivi imposti dalla crisi è stato pagato soprattutto dai giovani, che sono poi quelli, e ci ripetiamo, che sottintendono una minore esperienza lavorativa rispetto alle altre classi e che quindi vengono “sacrificati” dalle imprese per primi, non essendo parte del “core” dell’occupazione. Resta semmai da sottolineare la crescita degli
12 Tra il 2007 e il 2011 il limite anagrafico minimo per l’accesso alla pensione di anzianità dei dipendenti privati e pubblici è stato progressivamente innalzato dai 57 anni del 2007-08 ai 60 del 2011, provocando un rallentamento delle uscite dall’occupazione dei lavoratori più anziani. Stime della Banca d’Italia indicano che se le coorti nate tra il 1951 e il 1953 avessero avuto lo stesso tasso di pensionamento di quelle nate tra il 1948 e il 1951, nel 2011 in quella classe d’età vi sarebbero stati circa 10.000 pensionati in più (circa 100.000 in Italia).
occupati over 64 anni. Nel 2004 erano circa 34.000. Nel 2011 ammontano a circa 43.000, prevalentemente maschi (circa 32.000). Se si considera che in questa classe di età abbondano i pensionati, viene spontaneo pensare a persone che non vogliono comunque uscire dal mercato del lavoro, o che sono costrette a entrarvi allo scopo di arrotondare il magro l’importo della pensione.
L’occupazione per titolo di studio. Se analizziamo i tassi di occupazione calcolati sulla popolazione in età di 15 anni e oltre dal lato del titolo di studio, possiamo vedere che i valori più elevati hanno nuovamente riguardato i possessori di laurea-post laurea (75,8 per cento) e di diploma (69,6 per cento). In ambito nazionale troviamo una situazione analoga, ma articolata su tassi generalmente più contenuti rispetto a quelli proposti dall’Emilia-Romagna. I tassi di occupazione tendono a ridursi per i possessori di licenza media e licenza elementare. In Emilia-Romagna quello relativo alla licenza media si è attestato nel 2011 al 50,8 per cento, per scendere al 10,7 per cento nell’ambito della licenza elementare. In Italia i rispettivi tassi sono ammontati al 42,1 e 10,4 per cento.
Rispetto alla situazione del 2010, solo i possessori di licenza elementare hanno accusato una flessione degli occupati (-18,1 per cento), a fronte degli aumenti rilevati per tutti gli altri titoli di studio: licenza media (+3,5 per cento), diploma (+0,5 per cento), laurea e post-laurea (+8,3 per cento). Non disponiamo di dati per classe di età, ma da questi andamenti sembra emergere che i giovani meno qualificati abbiano rappresentato l’anello debole del mercato del lavoro regionale e che in ogni caso il possesso di un titolo di studio qualificato faciliti l’ingresso nel mercato del lavoro in misura maggiore rispetto a chi dispone di titoli meno qualificati.
Il tasso di occupazione. La crescita della consistenza degli occupati ha migliorato i fondamentali del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna, consolidando la posizione di preminenza in ambito nazionale.
In termini di tasso specifico di occupazione 15-64 anni, l’Emilia-Romagna, con un rapporto pari al 67,9 per cento, ha mantenuto la seconda posizione, alle spalle del Trentino Alto Adige (68,5 per cento), precedendo Valle d’Aosta (67,0 per cento), Veneto (64,9 per cento) e Lombardia (64,7 per cento). I tassi più contenuti, a fronte della media nazionale del 56,9 per cento, hanno nuovamente riguardato le regioni del Sud, con le ultime posizioni occupate da Campania (39,4 per cento), Sicilia (42,3 per cento), Calabria (42,5 per cento) e Puglia (44,8 per cento). Rispetto al 2010, la metà delle regioni italiane ha migliorato il proprio tasso di occupazione in un arco compreso tra i +0,2 punti percentuali della Liguria e i +1,3 dell’Abruzzo. L’Emilia-Romagna si è trovata a ridosso della fascia privilegiata, con un aumento del proprio tasso di occupazione pari a 0,5 punti percentuali, a fronte della stabilità rilevata in Italia. Nove regioni, distribuite tra Nord, Centro e Meridione, hanno invece accusato cali in un arco compreso tra i -0,2 punti percentuali della Toscana e i -0,8 delle Marche. Al di là di questi andamenti, è da rimarcare che nessuna regione è riuscita a centrare l’obiettivo del 70 per cento previsto per il 2010 dall’Unione europea nel consiglio straordinario di Lisbona. In ambito provinciale solo Bolzano e Ravenna hanno superato tale soglia, con tassi rispettivamente pari al 71,0 e 70,2 per cento. Appena al di sotto si sono collocate Bologna (69,6 per cento), Cuneo (69,0 per cento) e Ferrara (68,6 per cento). E’ da sottolineare che nelle prime cinque posizioni si sono collocate tre province dell’Emilia-Romagna. Se poi ci si spinge fino alla decima posizione, si trovano altre tre province emiliano-romagnole, quali Parma (68,1 per cento), Modena (68,1 per cento) e Reggio Emilia (67,3 per cento).
L’elevata incidenza degli occupati sulla popolazione dell’Emilia-Romagna deriva in particolare dall’elevato tasso di occupazione femminile che nel 2011 ha collocato la regione ai vertici del Paese (60,9 per cento), precedendo Valle d’Aosta (60,8 per cento), Trentino Alto Adige (60,3 per cento) e Piemonte (57,2 per cento). La regione vanta nella sostanza un grado di emancipazione femminile piuttosto elevato, che sottintende nuclei famigliari con più di un reddito, con conseguente relativa maggiore ricchezza rispetto ad altre aree del Paese. Non è un caso che alcune delle regioni a più elevato reddito per abitante siano anche quelle che registrano i migliori tassi di occupazione
femminili. Se si scende la penisola i tassi di occupazione femminili tendono a ridursi fino ad arrivare ai minimi di Campania (25,4 per cento), Sicilia (28,7 per cento), Puglia (30,1 per cento) e Calabria (31,3 per cento), vale a dire regioni tra quelle a minore reddito pro capite del Paese.
L’evoluzione dell’occupazione per rami di attività economica. L’occupazione del settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca è tornata a calare, sia pure moderatamente (-0,8 per cento), c consolidando la diminuzione dell’1,7 per cento rilevata nel 2010. Una analoga tendenza è emersa dai dati Smail aggiornati a fine giugno 2010 che hanno registrato un calo degli addetti dell’1,0 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009.
L’incidenza sul totale dell’occupazione si è attestata al 3,8 per cento, rispetto alla quota del 3,9 per cento del 2010. L’adozione della nuova codifica delle attività Ateco2007 ha comportato una revisione delle statistiche settoriali delle forze di lavoro che non è andata oltre il 2008. Resta pertanto difficile cogliere i cambiamenti strutturali, ma al di là di questo limite resta tuttavia una tendenza al ridimensionamento – circa 1.000 addetti in meno tra il 2008 e il 2011 – che conferma quanto emerso in passato prima del cambiamento di codifica.
La tendenza riduttiva della consistenza degli addetti è ormai una costante del settore primario. Le cause sono per lo più rappresentate dalla mancata sostituzione di chi abbandona l’attività, vuoi per raggiunti limiti di età, vuoi per motivi economici, e dal processo di razionalizzazione che vede sempre meno aziende, ma più ampie sotto l’aspetto della superficie utilizzata, fenomeno questo che è stato messo in luce dall’ultimo censimento agricolo del 2010.
Sotto l’aspetto dell’invecchiamento, giova richiamare le rilevazioni dell’Inps sui lavoratori autonomi, che costituiscono la maggioranza degli occupati in agricoltura. Nel 2010 il peso dei coltivatori diretti - rappresentano la forma più diffusa di conduzione dei fondi - con almeno 60 anni
Sotto l’aspetto dell’invecchiamento, giova richiamare le rilevazioni dell’Inps sui lavoratori autonomi, che costituiscono la maggioranza degli occupati in agricoltura. Nel 2010 il peso dei coltivatori diretti - rappresentano la forma più diffusa di conduzione dei fondi - con almeno 60 anni