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f La proposta di direttiva sull’accesso alla giustizia

Ad oggi, la direttiva sull’accesso alla giustizia in materia ambientale è ferma allo stato di proposta130, e si focalizza prevalentemente sugli atti o le omissioni delle autorità pubbliche o private. Essa si propone di rafforzare la legittimazione dei cittadini ad agire in giudizio, superando la specificità dei diversi sistemi nazionali che può sfociare in differenti livelli di tutela con conseguente disparità di trattamento.

La direttiva si ripropone di ampliare la sfera dei soggetti che possono agire in giudizio anche riguardo a chi non ha subito direttamente il danno derivante dal mancato rispetto della normativa, garantendo alle associazioni ambientaliste che presentino determinati requisiti, la possibilità di ottenere tutela in via amministrativa o giurisdizionale.

Prima di procedere con il ricorso vi è l’obbligo di informare l’autorità pubblica al fine di consentire un eventuale ritiro o modifica dell’atto contestato.

La proposta di direttiva prevede dei requisiti minimi affinché si possa agire legittimamente, che potranno essere estesi dalle normative nazionali di recepimento, individuando due categorie di ricorrenti: i ricorrenti ordinari o “membri del pubblico”131 ed i ricorrenti privilegiati o “soggetti abilitati”132.

I primi, soddisfatte le condizioni previste dal diritto nazionale, possono ricorrere contro azioni e omissioni dei privati che violino il diritto ambientale (art. 3) nonché contro atti e omissioni della pubblica amministrazione che violino il diritto ambientale qualora vantino un interesse sufficiente, oppure un proprio diritto, dopo aver richiesto un riesame interno che non abbia dato luogo ad alcuna decisione o che abbia dato luogo ad una decisione inadeguata.

Una recente sentenza133 sull’accesso alla giustizia in materia ambientale risolve la questione devoluta alla Corte134 affermando che: qualora un progetto rientrante

130 Bruxelles, 24.10.2003, COM (2003) 624 definitivo, 2003/0246 (cod). Si veda: S. Nespor, L’accesso

alla giustizia nelle controversie giudiziarie in materia ambientale: considerazioni su due recenti volumi, in Riv. giur. ambiente, 2004, p. 861; G. Monediarie, L’accès à la justice communautaire en matière

d’environnement au miroir de la Convention d’Aarhus, in Revue Juridique de l’environnement, 1999, p. 63; Pallemaerts, Access to environmental justice at EU level, in Europe Law Publication, 2011.

131 Art 2, lett. b della COM (2003) 624 definitivo del 24.10.2003: si definisce <<"membro del pubblico", una o più persone fisiche o giuridiche e, ai sensi della legislazione nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi costituiti da tali persone.>>

132 Art. 2, lett. c della COM (2003) 624 definitivo del 24.10.2003: si definisce << "soggetto abilitato", qualsiasi associazione, organizzazione o gruppo che abbia come obiettivo la tutela dell'ambiente e che sia stato riconosciuto secondo la procedura di cui all'articolo 9.>>

133 Corte di Giustizia delle comunità europee, 18.10.2011, cause riunite da C-128/09 a C – 131/09; C – 134/09; C – 135/09, in Racc. 2011 p. 00000.

nell’ambito di applicazione dell’art 9 n. 2 della Convenzione di Aarhus sia adottato mediante un atto legislativo, debba essere garantito, in base alle norme nazionali procedurali, un controllo da parte di un organo giurisdizionale o di un organo indipendente e imparziale istituito per legge. Nel caso in cui nessuno di questi ricorsi sia esperibile, spetta ad ogni organo giurisdizionale nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, l’esercizio di tale controllo disapplicando eventualmente l’atto legislativo.

I soggetti abilitati non devono dimostrare né un interesse sufficiente né la violazione di un diritto per poter adire un tribunale, purchè l’oggetto del ricorso rientri nelle loro attività statutarie e il ricorso riguardi il loro ambito geografico di azione (art. 5). Prima di poter agire in via giudiziaria devono richiedere all’autorità pubblica il riesame della misura.

Affinché tali soggetti siano abilitati occorre un riconoscimento formale, che può avvenire in via preliminare o “ad hoc” (art 9). Sono soggetti abilitati quelli che soddisfano determinati requisiti, tra cui ad esempio essere dotati di personalità giuridica, non perseguire fini di lucro, avere come obiettivo statutario la protezione dell’ambiente ed aver operato attivamente per un periodo minimo fissato dallo Stato non superiore a tre anni (art 8).

Gli Stati infine provvedono a rendere efficace, rapido e non eccessivamente oneroso l’accesso ai tribunali.

I soggetti abilitati (associazioni, gruppi o organizzazioni riconosciute da uno Stato membro e aventi come obiettivo primario la tutela dell'ambiente) in grado di esercitare azioni legali, che ritengano che un atto o un'omissione amministrativa di un'istituzione o organo comunitario siano contrari al diritto ambientale, possono introdurre una domanda di riesame interno presso questa istituzione o organo. La domanda deve essere presentata per iscritto entro al massimo quattro settimane a 134 Le domande di pronuncia pregiudiziale sono state proposte nell’ambito di controversie che vedono opposti alcuni abitanti frontisti degli aeroporti di Liège-Bierset e di Charleroi-Bruxelles Sud nonché della linea ferroviaria Bruxelles-Charleroi e la Région wallonne (Regione vallona) in merito ad autorizzazioni per lavori inerenti a tali strutture. La questione pregiudiziale relativa al tema dell’accesso alla giustizia in materia ambientale, era la seguente: se l'art. 9 della convenzione di Aarhus debba essere interpretato nel senso di obbligare gli Stati membri a prevedere la possibilità di proporre un ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge per poter contestare la legittimità di decisioni, atti o omissioni soggetti alle disposizioni dell'art. 6. In altri termini se gli artt. 9 della convenzione di Aarhus e 10 bis della direttiva 85/337/CEE (concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in GU L 175 p. 40) debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che il diritto di realizzare un progetto rientrante nel loro ambito di applicazione sia conferito mediante un atto legislativo contro il quale in base alla normativa nazionale non è esperibile alcun ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge che consenta di contestare tale atto nel merito e sotto il profilo procedurale.

decorrere dall'atto o dall'omissione. L'istituzione o organo pubblica una decisione scritta e motivata entro al massimo dodici settimane. La decisione descrive le misure da adottare per conformarsi al diritto ambientale o dichiara che la domanda è respinta.

Se il soggetto abilitato che ha introdotto la domanda ritiene che la decisione dell'istituzione o organo della Comunità non garantisca il rispetto del diritto ambientale, può adire la Corte di giustizia. Il soggetto abilitato può seguire lo stesso iter quando l'istituzione non ha comunicato la propria decisione entro il termine previsto.

Come già sottolineato, i soggetti abilitati hanno il diritto di agire in giudizio, senza dover dimostrare una lesione ad un diritto, né un interesse sufficiente, qualora siano stati riconosciuti e l'oggetto della domanda rientri nel campo statutario delle loro attività.

Per essere riconosciuti, i soggetti devono:

- essere indipendenti, non perseguire scopi di lucro e avere per obiettivo la tutela dell'ambiente;

- essere attivi a livello comunitario (operare in almeno 3 Stati membri);

- essere stati legalmente costituiti da più di 2 anni e aver contribuito alla tutela dell'ambiente;

- aver ottenuto la certificazione dei propri conti degli ultimi 2 anni da parte di un revisore riconosciuto.

Il rispetto di questi criteri è valutato ad intervalli regolari. La loro violazione comporta l'annullamento del riconoscimento. La Commissione deve adottare la procedura per il riconoscimento dei soggetti abilitati.

Nel diritto ambientale internazionale con il termine PIEL (public interest environmental litigation) sono indicati i giudizi in materia ambientale promossi da persone fisiche o giuridiche (gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ambientaliste, ONG) al fine di perseguire interessi generali, interessi diffusi o interessi di particolari categorie di soggetti che non sono in grado di agire in giudizio.

Uno dei temi più ricorrenti e dibattuti è l’ampiezza ed i limiti dell’accesso alla giustizia da parte di tali organizzazioni.

Una ricerca sull’accesso alla giustizia di organizzazioni ambientalistiche e di associazioni con finalità di carattere ambientale finanziata dall’Unione europea135 ha

135 Centre d’étude du droit de l’environnement (CEDRE)- Centre of environmental studies and applied research, Access to justice in environmental matters, 2003. India Pakistan e Bangladesh sono risultati Paesi all’avanguardia in materia di accesso alla giustizia, sia per l’indipendenza del potere giudiziario, sia per la comune derivazione dalla common law inglese. La Corte suprema indiana ha promosso con la propria giurisprudenza un ampio accesso alle associazioni e organizzazioni portatrici di interessi

messo in evidenza tendenze comuni sul tema, in cui le azioni promosse dalle organizzazioni ambientaliste hanno avuto generalmente un ruolo positivo, hanno operato attivamente promuovendo azioni giudiziarie e per ottenere l’applicazione della normativa comunitaria ambientale. L’allargamento dell’accesso alla giustizia alle organizzazioni ambientaliste ha contribuito ad accrescere e potenziare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi temi.

collettivi. Inoltre per la Corte suprema non serve più dimostrare di aver anche indirettamente subito un danno ma basta un “sufficient interest”. Ciò ha influito sulla giurisprudenza delle Corti Supreme degli Stati confinanti del Pakistan e del Bangladesh, che a partire dagli anni novanta applicano un criterio così temperato nella dimostrazione di aver subito un danno da sfociare nel criterio del “sufficient interest”. In Pakistan il caso più noto è Shehla Zia v. WAPDA, in PLD, 1994 SC 693, concernente la richiesta di bloccare la costruzione di un impianto perché avrebbe potuto esporre una parte della popolazione agli effetti di onde elettromagnetiche. Il ricorso è stato accolto dalla Corte suprema, osservando che l’art 9 della Costituzione del Pakistan che tutela il diritto alla vita comporta anche la tutela di rango costituzionale del diritto ad un ambiente sano. Si veda sulla tematica: Werner Menski et al., Public

Interest Litigation in Pakistan, Pakistan Law House, Karachi, 2000, p. 109; Nicholas A. Robinson, A

Common Responsabilità: Sustainable Development and Economic, Social and Environmentale Norms, in

Asia Pacific Journal of Environmental Law, 2000, p. 195; Jona Razzaque, Public Interest Environmental