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La riduzione dell’incolto boschivo nei secol

Nel documento La pianura veronese nel medioevo (pagine 32-36)

La consapevolezza delle gravi conseguenze insite nell’attività indiscriminata di disboscamento, in particolare la scomparsa progressiva di legname da lavoro, oltre che di quello da ardere, rallentò ma non fermò il processo.

Negli statuti cittadini del 1276 una posta autorizza gli abitanti di Isola della Scala ad «alienare, çaponare, extirpare» parti del bosco «Hengazate», nonostante il divieto sancito mezzo secolo prima (196).

193 Engazzà, frazione di Salizzole - ma a soli quattro chilometri da Nogara -, deve probabil- mente il suo nome al bosco «Hengazate Nogarie».

194 Doc. citato sopra, nota 139. 195 Liber iuris cit., pp. XX-XXIII.

Non abbiamo rinvenuto molte notizie dettagliate concernenti le aree boschive del- la pianura per il secolo XIV e poche anche per il secolo seguente; ma la documenta- zione inedita ed inesplorata è vastissima.

Nel 1311 Giuseppe della Scala, abate di San Zeno, fondò presso Fatolé una nuova villa (197). Tracce di disboscamento si ritrovano nel 1330 a San Pietro in Valle, nella bassa pianura (198). Nella prima metà del secolo XV abbiamo menzione di centinaia di campi a bosco in Roncanova, venduti da Santa Maria [74] in Organo (199); nella seconda metà di seimila campi di terreno boschivo nella zona dell’antico «nemus Hengazate», un tempo appartenenti ai Dal Verme (200). Prima del 1478 un bosco venne ceduto dagli abitanti di Isola della Scala in «Hengazata» (201); nel 1456 quelli di Concamarise vendettero, mantenendone il dominio utile, un appezzamento boschi- vo di 800 campi presso il Tregnone, nella selva «Gadius», confinante con diritti del comune di Asparetto e con quelli già dei Dal Verme, passati a Venezia (202).

Pur persistendo ancora in buona parte un manto boschivo, la zona fra Tartaro e Menago non era più in grado di assolvere al compito che le era stato proprio ancora in età comunale, quando nel bosco di Cerea erano procurate le «trabes» per costruire una casatorre o gli uomini di Tombazosana e «Canove» comperavano legna dai No- garesi, quasi certamente per i lavori di arginatura dell’Adige, nei secoli XII e XIII.

Nel secolo XV il legname da costruzione e da ardere, non solo nella nostra zona e nel territorio veronese, faceva fortemente difetto.

La repubblica veneta fin dai secoli XIII-XIV aveva elaborato provvidenze per la difesa dei boschi, nei territori di vecchio e nuovo dominio (203). Nella prima metà del secolo XV le carenze gravi di legname portarono a provvedimenti più numerosi, anche se ancora non ben coerenti. Particolarmente dannosa si rivelò una legge del 1452 (204) che lasciava la manutenzione dei boschi, compresi quelli pubblici, alle comunità locali: in quel tempo la deficienza di legname toccò l’apice! Si dovette ben presto correre ai ripari, istituendo nel 1464 il «Magistrato dei Provveditori sopra le legne e boschi» (205), ed emanando fra il 1470 ed il 1488 una serie di leggi dirette al- la tutela soprattutto dei «roveri».

In particolare, per il Veronese, nel marzo 1470 un intervento ducale constatava che in tutto il dominio i boschi erano distrutti e le terre trasformate in aziende agrarie, «possessiones», di modo che la legna da ardere e il legname da costruzione e da lavo- ro andavano scomparendo; invitava perciò i rettori veronesi, con l’assistenza del Con-

197 A.S.Vr., Ospitale civico, perg. n. 1290, 1311 novembre 12.

198 A.S.Vr., Orfanotrofio femminile, Abbazia di San Zeno, reg. I-3, c. 40r, 1330 gennaio 31. 199 Doc. citato avanti, nota 456.

200 A.S.Vr., Santa Maria in Organo, proc. n. 789, cc. 39r, 58v. 201 Ibidem, c. 28r.

202 A.S.Vr., Carlotti-Trivelli, perg. n. 359, 1456 maggio 8.

203 A. Di Bérenger, Saggio storico della legislazione veneta forestale dal secolo VII al secolo XIX, Venezia, 1863, pp. 10-12; R. Romano, Tra due crisi: l’Italia del Rinascimento, Torino, 1971, pp. 58-59.

204 A. Di Bérenger, op. cit., p. 13. 205 Ibidem, pp. 14-15.

siglio e di esperti, a reintrodurre nei luoghi idonei le colture arboree (206). Il Consi- glio dei XII e L (207) inviava a Venezia una relazione: dopo aver ricordato che oltre duecento anni prima erano stati dal Comune cittadino spartiti ed assegnati alle ville rurali, particolarmente della Zosana e del Lungo Tione, «magna nemora» con il dirit- to di usufruirne, non con quello di alienarli o porli a coltura, constatava che molti di essi erano stati ridotti «ad terras de cultura», particolarmente negli ultimi dieci o venti anni; alcuni poi erano stati venduti dalle comunità, che ne mantenevano solo il domi- nio utile (208).

Il mese successivo il doge (209), presa visione della relazione, stabiliva che per il futuro nessuno più avrebbe potuto estirpare né tagliare legna nei boschi, se non nei tempi e modi da stabilirsi; invitava ad attuare il rimboschimento nei luoghi opportuni, principalmente lungo le rive dell’Adige; precisava infine che la difesa doveva essere particolarmente attenta nei distretti della Zosana e del Lungo Tione, ove appunto si erano verificati i maggiori ed indiscriminati tagli ad opera di privati e di enti ecclesia- stici (210). Il Consiglio, qualche mese [75] dopo, ritornò sulla materia, prendendo il provvedimento invero ben poco nuovo ed utile, risalendo al 1228 (211)! - di proibire ogni vendita di legname al di fuori del territorio veronese, aggiungendovi di suo solo il divieto agli ufficiali pubblici di concedere deroghe (212).

Disposizioni particolari (213) e generali continuano in quegli anni fino a giungere ad elaborare una legislazione in materia; ne illustriamo brevemente i punti salienti (214). Premesso che la mancanza di legname adatto, particolarmente di «rovere», po- neva in grave penuria il rifornimento dell’arsenale, tanto che si era costretti a rifornir- si in paesi stranieri, si stabiliva che in tutti i territori soggetti nessuno ardisse «taiar né far taiar alcun legno de rovere»; veniva promosso un censimento di tutti i roveri esi- stenti nel dominio veneto, a cura di messi dell’arsenale e di rappresentanti locali: i li- bri relativi sarebbero stati inviati all’arsenale. Ai fini del rimboschimento, nelle co- munità ove esistevano terre di proprietà comune, un campo su dieci doveva essere ri- servato all’allevamento delle querce, in numero di duecento per campo; le colture do- vevano essere protette da un fossato, così da impedirne l’accesso agli animali; per i

206 A.S.Vr., Archivio del comune, Atti del consiglio, reg. n. 62, c. 162r, 1470 marzo 9.

207 Sul reggimento di Verona durante il dominio veneto e sui suoi Consigli si vedano A. Giu- liani Bossetti, La trasformazione aristocratica dei Consigli di Verona durante il dominio veneziano, «Studi storici veronesi», III (1951-1952), pp. 41-63, e A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del ‘400 e ‘500, Bari, 1964, pp. 92-106.

208 Ricordiamo la vendita di boschi effettuata nel 1456 da Concamarise - cfr. sopra, nota 202 - e in tempo imprecisato, prima del 1478, da Isola della Scala - cfr. sopra, nota 200 -.

209 A.S.Vr., Archivio del comune, Lettere ducali, reg. n. 12, c. 116r, 1470 aprile 14.

210 Le disposizioni per Verona precedono la prima legge sui boschi, severamente restrittiva, del 15 luglio 1470: A. Di Bérenger, op. cit., p. 15.

211 Liber iuris cit., posta CCLXXV.

212 A.S.Vr., Archivio del comune, Atti del consiglio, reg. n. 62, c. 163r, 1470 marzo 13.

213 Ibidem, Lettere ducali, reg. n. 13, c. 143v, 1488 febbraio 5; c. 159v, 1488 ottobre 7, edita in A. Gloria, Della agricoltura nel Padovano. Leggi e cenni storici, voll. 2, Padova, 1855, II, n. 905.

214 A. Gloria, Della agricoltura cit., II, n. 906, 1488 settembre 25 (= A.S.Vr., Archivio del co- mune, Lettere ducali, cc. 160r-161r).

villaggi che non avevano beni comuni, si riservava al medesimo uso un campo su cento (215). Queste disposizioni si intrecciavano con altre che stabilivano l’inalienabilità dei boschi e dei beni comunali; vietavano anche lo svegro di quelli privati, nonché il loro taglio prima di dieci anni. Incentivi erano infine previsti per i privati che si fossero dedicati alla coltura delle querce (216).

Poco dopo la metà del secolo XV si ebbero anche interventi diretti del governo veneziano per la preservazione di singole zone boschive, particolarmente importanti per il rifornimento di legname all’arsenale o anche per motivi di difesa. Nel 1455 (217) una lettera ducale stabiliva che il podestà di Legnago non poteva concedere ad alcuno, se non abitante nel territorio, di raccogliere legna nel bosco; anche coloro che ne erano autorizzati potevano usufruire di legname da lavoro per le proprie necessità, non per far carbone; a quest’ultimo scopo era riservata la legna «dolce» o quella, pur «forte», che poteva essere rinvenuta per terra; sei «saltarii», guardie campestri, erano incaricati della sorveglianza; era concesso tuttavia ad un «magister» di Marega di pre- levare legname, dal momento che egli lavorava per l’arsenale veneziano. A difesa del bosco era vietata ogni attività di pascolo; la fossa inoltre della «Bozzolea» (218), che allora penetrava nel bosco, doveva essere divertita al più presto per non danneggiarlo.

Nel 1466, in seguito ad un’ennesima relazione inviata da Verona, il doge veniva a conoscenza che molti boschi erano stati nel 1225 assegnati alle ville fra Tione e Tar- taro, nella bassa pianura, soprattutto in quella zona lungo il Tartaro che confina con il Bastione di San Michele e oltre il fiume con il territorio ferrarese, disponeva che tali boschi fossero mantenuti «densissimi» e che la vendita da poco effettuata da Isola della Scala di circa mille campi presso il Bastione fosse annullata, poiché un bosco fitto ed alto, «densissimus et in culmine», costituisce un valido baluardo difensivo come dei «seralea»; ove i boschi fossero stati estirpati, dovevano essere fatti ricresce- re (219).

[76] In tanta scarsità di legname, avvertita già nel secolo XIII, intensi si sviluppa- rono i traffici lungo l’Adige con la regione trentina. Conosciamo la fortuna di una famiglia di «radaroli», mercanti appunto di legname, i Bevilacqua, che, immigrati in città nel secolo XIII, divennero ben presto una delle maggiori famiglie cittadine dell’epoca scaligera (220).

Il problema del reperimento del legname da lavoro e da costruzione, impiegato in grande copia nelle opere di arginatura dell’Adige, è a volte oggetto delle deliberazio-

215 La legislazione in materia fu attenuata l’anno seguente: A. Gloria, Della agricoltura cit., I, p. CCLVI, e II, n. 907, 1489 marzo 10.

216 A. di Bérenger, op. cit., pp. 15-17.

217 A.S.Vr., Archivio del comune, Lettere ducali, reg. n. 11, 186v, 1455 dicembre 16.

218 La fossa «Bozzeleda» proveniva da Minerbe; la sua manutenzione spettava alle ville di Mi- nerbe, San Zenone, Terrazzo e Porto: ibidem, reg. n. 11, c. 55r, 1442 ottobre 3.

219 Ibidem, reg. n. 12, c. 85v, 1466 dicembre 31.

220 L. Simeoni, Il commercio del legname fra Trento e Verona nel secolo XIII (1260), «Atti dell’I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto», ser. 3a, XIII (1907), estrat- to; G. Sandri, I Bevilacqua e il commercio del legname tra la Val di Fiemme e Verona nel sec. XIV, «Archivio veneto», XXVI (1940), pp. 170-180, poi in Scritti di Gino Sandri, a cura di G. Sancassa- ni, Verona, 1969, pp. 421-432.

ni del Consiglio cittadino. Vedremo nella seconda parte del nostro contributo, come il fabbisogno delle «colonne» in legno per queste opere - dapprima anche in quercia, poi di larice ed abete, infine solo di larice -, dovesse essere per tempo preventivato al fine di apprestarne l’approvvigionamento, che avveniva certamente tramite i «radaro- li» (221).

Nel documento La pianura veronese nel medioevo (pagine 32-36)