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La situazione antecedente al Trattato di Lisbona

coloro che si muovono

2.4.1. La situazione antecedente al Trattato di Lisbona

Nella prima giurisprudenza comunitaria, la cittadinanza europea sembra rilevare solo quando vi è un attraversamento di confini, cioè quando un individuo rivendica, in uno Stato membro diverso da quello cui appartiene, i diritti riconosciuti ai cittadini di tale Stato. Le disposizioni più frequentemente richiamate in tali situazioni sono il divieto di discriminazione su base nazionale e il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. I diritti rivendicati nei processi a quo consistono prevalentemente in “benefici sociali”, negati dallo Stato di residenza a cittadini UE o a familiari di cittadini UE privi della cittadinanza di tale Stato oppure nella richiesta del permesso di soggiorno.

Ripercorrendo le pronunce più significative sul punto, emblematica è la prima sentenza della Corte di Lussemburgo che prende in considerazione la “nuova” cittadinanza europea20. La Corte viene adita in via pregiudiziale dal Landessozialgericht bavarese

nell’ambito di una controversia, sollevata da una cittadina spagnola, Maria Martinez Sala, da molti anni residente in Germania, contro il diniego delle autorità della Baviera

di concederle un’indennità di educazione per il proprio figlio in quanto ella è priva, in quel momento, di una regolare carta di soggiorno.

Fra le diverse questioni sottopostele, la Corte deve giudicare la compatibilità con il diritto comunitario della disposizione che subordina il godimento del beneficio, per i cittadini di altri Stati membri autorizzati a risiedere in territorio tedesco, al possesso della carta di soggiorno, mentre per i cittadini tedeschi è sufficiente avere il proprio luogo di domicilio o residenza abituale in tale Stato. Sul punto, essa afferma che uno Stato membro può legittimamente esigere che i cittadini di altri Stati membri siano sempre in possesso di documenti di soggiorno (come esige dai propri cittadini il possesso dei documenti d’identità), ma non può attribuire a tali documenti valore “costitutivo” di un diritto che i suoi cittadini ottengono per il fatto stesso di risiedere nel Paese. Risulterebbe altrimenti violato il principio di non discriminazione di cui all’allora art. 6 TCE.

Quanto all’interrogativo se la questione ricada o meno nell’ambito del diritto comu- nitario, la Corte conclude che vi rientra sia ratione materiae, essendo il beneficio in questione riconducibile alle categorie “vantaggio sociale” e “prestazione familiare” disciplinate dalla normativa comunitaria, sia ratione personae. Indipendentemente dal fatto che Martinez Sala sia o meno un “lavoratore” e possa quindi beneficiare delle norme antidiscriminatorie previste per tale categoria, ella è cittadina europea e gode, in quanto tale, del diritto a non essere discriminata su base nazionale riconosciuto dall’art. 6 del Trattato. Non risulta invece necessario, specifica ancora la Corte, data la condizione di “residente autorizzata” in Germania della richiedente, far valere la libertà di circolazione e soggiorno, accordata anch’essa ai cittadini europei.

La portata innovativa della sentenza Sala, che per la prima volta riconosce i diritti di un soggetto in quanto “cittadino europeo”, indipendentemente dalla sua condizione economica, viene colta sin dall’inizio dalla dottrina, che non manca però di mettere in luce anche gli aspetti problematici che potranno scaturire dall’applicazione della linea indicata dalla Corte per gli Stati membri, condizionandone la legislazione in settori particolarmente delicati, come l’immigrazione e, soprattutto, il welfare (Fries e Shaw 1998, p. 550, p. 558).

Alcune pronunce successive a Sala sembrano confermare ed accentuare la tendenza ad estendere il riconoscimento dei benefici sociali come corollario della cittadinanza europea indipendentemente dal possesso, da parte dei soggetti interessati, del requisito di essere “economicamente attivi”, previsto dalle Direttive in materia (Hailbronner 2005, p.1248). Si vedano ad esempio i casi Grzelczyk, Collins, Trojani e Bidar21.

20 Maria Martinez Sala contro Freistaat Bayern, C-85/96, del 12 maggio 1998. Prima di questa pronuncia, in altri casi successivi all’adozione del Trattato di Maastricht la Corte era stata sollecitata dalle parti ad applicare le norme sulla cittadinanza, ma aveva preferito utilizzare altre disposizioni.

21 Rudy Grzelczyk e Centre public d’aide sociale d’Ottignies-Louvain-La Neuve, C184/99, del 20 settembre 2001 (sulla corresponsione, da parte del competente istituto belga, di un contributo economico di sostenta- mento per terminare gli studi universitari a un cittadino francese, negato sulla base del fatto che questi non era un lavoratore); Brian Francis Collins e Secretary of State for Work and Pensions, C-138/02, del 23 marzo 2004 (in cui è dichiarata incompatibile con il diritto comunitario la disposizione inglese che subordina la concessione dell’indennità per persone in cerca di lavoro alla residenza nel Regno Unito, purchè la residenza sia accertata sulla base di elementi indipendenti dalla cittadinanza); Michel Trojani e Centre public d’aide sociale de Bruxelles, C-456/02, del 7 settembre 2004 (sul riconoscimento del diritto di soggiorno in un altro Stato membro ad un cittadino europeo e, in presenza del titolo di soggiorno rilasciato dal Paese ospitante,

Nel primo, in particolare, la Corte fa una sorta di dichiarazione sulla cittadinanza europea, che sarà poi ripresa da numerose sentenze successive: “lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico” (punto 31).

Un altro elemento che emerge da questo filone giurisprudenziale, anche negli anni successivi, è la speciale attenzione riservata dalla Corte ai bambini piccoli e ai loro diritti fondamentali, con particolare riferimento a quelli legati alla famiglia e all’istru- zione (Cambien 2012, p. 22). Questo si evince, ad esempio, dalla sentenza Ibrahim, in cui la Corte riconosce ad una cittadina di uno Stato terzo, ex moglie di un cittadino danese, arrivato nel Regno Unito per motivi di lavoro ma poi allontanatosi, di rima- nere nel Regno Unito, nonostante l’assenza di un lavoro e la fine del matrimonio, per accudire i propri figli, per tutto il periodo in cui questi sono impegnati nel loro percorso d’istruzione22.

I figli di lavoratori migranti ricavano quindi il proprio diritto di soggiorno in prima battuta da quello dei genitori ma, successivamente, anche qualora questi non siano più soggetti economicamente attivi, dal fatto di ricevere un’istruzione. Tale diritto è esteso anche al loro curatore.

Per queste scelte la Corte, che pur applica il principio di non discriminazione solo a fattispecie che anche ratione materiae ricadono nel diritto dell’UE, viene accusata di “forzare” il significato della normativa secondaria e di non tenere nella dovuta conside- razione i rischi che una tale tendenza presenta per i sistemi sociali degli Stati membri. Per evitare tali rischi la libertà di movimento dei cittadini dev’essere bilanciata sempre con il diritto degli Stati membri di difendere il proprio welfare (Hailbronner 2005, pp. 1251-1264, Cambien 2012, p. 30).

Il filo rosso del ricorso alle norme sulla cittadinanza rimane però prevalentemente legato ai casi di attraversamento dei confini tra due Stati membri. In particolare, l’ambito del divieto di discriminazione sulla base della nazionalità e/o il diritto di stabilimento vengono estesi fino a ricomprendere molte delle situazioni di cittadini di Stati membri dell’UE che, spostandosi, si trovano in una condizione di svantaggio rispetto a chi non lo fa o, addirittura, di persone che, pur non spostandosi, sono strettamente legate a qualcuno che lo fa (Editorial comments 2008, p.1).

anche di un sussidio economico); Dany Bidar contro London Bureau of Ealing e Secretary of State for Edu- cation and Skills, C-209/03, del 15 marzo 2005 (sulla concessione di un aiuto a copertura delle proprie spese di mantenimento agli studenti che soggiornano legalmente in uno Stato membro ospitante anche se non vi risultano stabiliti). Sulla normativa comunitaria precedentemente vigente v. Hailbronner 2005, p. 1245. In contrasto con la tendenza giurisprudenziale, la Direttiva europea 2004/38/CE sulla libertà di circolazione mantiene però la differenza fra i soggetti economicamente attivi e non.

22 London Borough of Harrow contro Nimco Hassan Ibrahim e Secretary of State for the Home Department, C-310/08, del 23 febbraio 2010. Analoghe le conclusioni nel caso Maria Teixeira contro London Borough of Lambeth e Secretary of State for the Home Department, C-480/08, del 23 febbraio 2010, in cui la madre che, priva di reddito, richiede il soggiorno per accudire la figlia che studia, è cittadina di uno Stato membro dell’Unione. La Corte specifica che il diritto di soggiorno si può estendere anche oltre la maggior età del figlio, se questo continua a necessitare delle cure del genitore affidatario per terminare gli studi.

In taluni casi, anzi, pur rilevando entrambi i profili, la normativa nazionale viene valu- tata solo per la compatibilità con le disposizioni che tutelano la libertà di circolazione e soggiorno e non anche con quella sul divieto di discriminazione, si vedano i casi Pusa, Schwarz e Morgan23.

Se la libertà di circolazione può essere tutelata anche senza discriminazione, vale però anche il contrario? O, più correttamente, i cittadini europei possono essere tutelati dall’Unione anche all’interno del loro Stato membro? Nel contesto descritto sopra appare infatti delinearsi una sorta di reverse discrimination a danno dei nationals degli Stati membri, che beneficiano del diritto a non essere discriminati solo se la fattispecie in cui sono coinvolti ricade anche ratione materiae nel diritto dell’UE, mentre a coloro che hanno esercitato la loro libertà di trasferirsi da un Paese all’altro il principio di non discriminazione si applica tout court (Spaventa 2008, pp.17, 32, 35, 44)24.

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