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La sperimentazione animale negli studi di psicologia

3. La sperimentazione animale e il termine «vivisezione»

3.10 La sperimentazione animale negli studi di psicologia

“Il dilemma centrale del ricercatore esiste dunque in forma particolarmente acuta in psicologia: o l’animale non è come noi, nel qual caso non c’è ragione di eseguire l’esperimento; oppure l’animale è come noi, nel qual caso non dovremmo eseguire su di lui un esperimento che verrebbe considerato atroce se eseguito su un essere umano.”106

Un altro ambito di ricerca in cui l’impiego di animali raggiunge cifre molto elevate è la psicologia. Per dare un’idea delle cifre di cui stiamo parlando, basti pensare che nel 1986 il National Instituite of Mental Health ha finanziato 350

104 I. Dury, MoD blew 119 live pigs in explosive tests, Daily Mail, 21 maggio 2010. Link

http://www.dailymail.co.uk/news/article-1280053/MoD-blew-119-live-pigs-explosive- tests.html (20 agosto 2018)

105 http://www.animal-ethics.org/introduzione-alla-sperimentazione-animale/la-ricerca-

militare-sugli-animali/ (ultimo accesso 20 agosto 2018).

esperimenti sugli animali per un costo di 30 milioni di dollari in sovvenzioni statali, per un solo anno.107

Il professor Harry Harlow del centro di ricerca sui primati di Madison, nel Wisconsin, fu una delle voci più autorevoli in psicologia. Tra il 1955 e il 1965 si è dedicato allo studio degli effetti dell’isolamento sociale sulle scimmie, private della madre e collocate in spoglie gabbie di metallo, senza alcun tipo di contatto animale o umano. Questi studi permisero di scoprire che “[…] un isolamento precoce sufficientemente rigoroso e duraturo riduce questi animali a un livello socio-emotivo in cui la forma primaria di risposta sociale è la paura.”108 Un risultato sorprendente! Senza dubbio sarebbe stato impensabile arrivare a queste conclusioni senza la sperimentazione.

Uno dei campi di indagine privilegiati da Harlow fu l’attaccamento tra madre e figlio. Egli intendeva dimostrare che l’attaccamento non ha origine semplicemente biologica ma psicologica e emozionale 109 . Perciò Harlow

costruisce due modelli di madri surrogati, uno in legno ricoperto da un panno caldo, e uno in metallo, spoglio ma con un meccanismo per nutrire il piccolo. Tutte le piccole scimmie si attaccano al surrogato di pezza, spostandosi verso l’altro solo il tempo necessario per nutrirsi. Ciò dimostrerebbe che non c’è il soddisfacimento dei bisogni primari all’origine dell’attaccamento tra madre e figlio, ma la necessità di contatto e protezione. Non soddisfatto, Harlow tolse poi i surrogati ai piccoli di scimmia, per studiarne il comportamento.

Egli condusse numerosi esperimenti al fine di indurre una psicopatologia nei cuccioli di scimmia, attraverso il loro isolamento dalla nascita, per settimane, mesi o addirittura anni. Molte di queste si lasciarono morire.

Bowlby, noto psichiatra britannico, in quel periodo visitò il laboratorio del Wisconsin e ne rimase sconvolto: “Perché tentate di indurre psicopatologie nelle scimmie?” chiese “Avete già nel laboratorio più scimmie psicopatiche di quante

107 Cifre calcolate da Lori Gruen sulla base di informazioni contenute in Computer

Retrieval of Information on Scientific Projects, U.S. Public Health Service, riportate in P.

Singer, Liberazione animale, cit., pag. 65.

108 Proceedings of the National Academy of Science, 54, 1965, pag. 90, in P. Singer,

Liberazione animale, cit., pag. 54.

109 Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/neurobiologia-dell-

se ne siano mai viste sulla faccia della terra.”110 Bowlby per altro, non era uno psichiatra qualunque ma uno dei più noti studiosi delle conseguenze della privazione materna. La sua ricerca però, è stata condotta sui bambini orfani. Già nel 1951, ben prima di Harlow, Bowlby era arrivato a concludere che la mancanza di cure materne in soggetti molto piccoli, può avere gravi effetti sulla formazione del carattere e della personalità del bambino, che condizioneranno la sua intera vita futura. Gli effetti della privazione materna, dunque, erano già noti ad Harlow e ai suoi contemporanei, ma ciò non lo distolse dai suoi piani: creare dei surrogati materni da utilizzare con i cuccioli di scimmia, al fine osservare le loro reazioni di fronte al rifiuto da parte della madre artificiale. Ecco le loro osservazioni riportate in un articolo di divulgazione scientifica nel 1965:

Il primo di questi mostri era una madre scimmia di stoffa che, in momenti prestabiliti oppure a comando, emetteva aria compressa ad alta pressione in grado virtualmente di strappar via la pelle dal corpo. Che cosa faceva la piccola scimmia? Semplicemente si avvinghiava sempre di più alla madre, perché un piccolo spaventato si attacca alla madre a tutti i costi. Non ottenemmo come risultato alcuna psicopatologia. […] Il terzo mostro che costruimmo aveva all’interno del corpo un’armatura di filo metallico che scattava in avanti scagliando via la scimmietta dalla sua superficie ventrale. Il piccolo allora si risollevava da terra, aspettava che l’armatura rientrasse nel corpo di stoffa, e poi si riattaccava al surrogato. Infine, costruimmo la nostra madre porcospino. A comando, questa madre emetteva affilati aculei d’ottone da tutta la superficie ventrale del suo corpo.111

Poiché i piccoli di scimmia mostravano attaccamento alla madre artificiale, decisero di provare con una scimmia vera, resa un mostro da i maltrattamenti subiti in laboratorio. Gli scienziati allevavano scimmie femmine in isolamento per poi ingravidarle con una tecnica chiamata «ruota dello stupro»112. Alcune scimmie semplicemente ignoravano i piccoli.

110 Engineering and Science, 33, 1970, pag. 8, in P. Singer, Liberazione animale, cit., pag.

54.

111 Ibidem, in P. Singer, Liberazione animale, cit., pag. 55. 112 P. Singer, Liberazione animale, cit. pag. 56.

Le altre scimmie erano brutali o distruttive. Uno dei loro giochetti preferiti consisteva nel frantumare coi denti il cranio del neonato. Ma il modello comportamentale davvero rivoltante consisteva nello schiacciare contro il pavimento la faccia del piccolo, e poi strascicarla avanti e indietro.113

Da quando Harlow iniziò le sue ricerche sulla privazione materna nelle scimmie, solo negli Stati Uniti sono stati condotti più di 250 esperimenti simili. Dopo la morte di Harlow avvenuta nel 1981, i suoi studenti, ormai ricercatori di professione, hanno continuato a condurre esperimenti dello stesso genere. Si potrebbe discutere se questi esperimenti siano stati davvero utili al miglioramento della condizione umana, come si dice al fine di giustificare alcune pratiche. Certamente saranno aumentate le nostre conoscenze in psicologia. Meno discutibile è che le scimmie, sia nel caso degli esperimenti militari che nella ricerca psichiatrica, siano state sottoposte a maltrattamenti, anche pesanti e spesso protratti nel tempo. Questi risultati non si sarebbero potuti ottenere altrimenti? Non esistono forse scimmie orfane in natura, da osservare? Né bambini orfani?

Harlow ha giustificato il ricorso alle scimmie in questo modo: rispetto ai neonati umani, le loro abilità motorie sono già sviluppate a pochi giorni di vita. Sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso risultato con i neonati umani. C’è da chiedersi se ne sia valsa davvero la pena. Il beneficio che ne abbiamo ricavato, supera il danno arrecato alle scimmie madri che si son viste portar via i cuccioli appena nati? O la sofferenza delle piccole scimmie che sono state tenute in isolamento per anni? O lo stupro di scimmie il cui isolamento prolungato le ha completamente private della capacità di relazionarsi ai propri simili?

Uno dei metodi di apprendimento più utilizzati nella sperimentazione sugli animali in ambito psicologico, consiste nell’uso di scosse elettriche. L’intento è quello di studiare come gli animali reagiscono a svariate punizioni o di addestrarli ad eseguire determinati compiti.

J. Patel e B. Migler che lavoravano per la compagnia ICI Americas di Wilmington nel Delaware, addestrarono delle scimmie scoiattolo a premere una

113 Engineering and Science, 33, cit., pag. 8, in P. Singer, Liberazione animale, cit., pag.

leva per ottenere del cibo. Poi, misero loro dei collari attraverso i quali gli animali ricevevano una scossa ogni volta che si procuravano il cibo. Le scimmie potevano evitare le scosse solo se aspettavano tre ore prima di azionare la leva. Ci sono volute otto settimane di addestramento, per sei ore al giorno, affinché le scimmie imparassero a evitare le scosse. In seguito, ad alcune delle scimmie vennero somministrati dei farmaci per vedere se si sarebbero procurate più scosse. Gli sperimentatori sostenevano che questo tipo di esperimento sarebbe stato “utile per identificare potenziali sostanze ansiolitiche”.114

Susan Mineka e i suoi colleghi dell’Università del Wisconsin sottoposero 140 ratti a scosse che potevano evitare e scosse che non potevano evitare, allo scopo di confrontare i livelli di paura generati dalle due situazioni. “La generale conclusione è stata che l’esposizione a eventi avversi incontrollabili è notevolmente più stressante per l’organismo di quanto non lo sia l’esposizione a eventi avversi controllabili.”

Un altro tipo di esperimento molto noto in psicologia è quello sul «senso di impotenza appreso», che dovrebbe fare da modello per la depressione negli esseri umani. Nel 1953, i ricercatori R. Solomon, L. Kamin e L. Wynne dell’Università di Harvard, misero 40 cani in un apparecchio chiamato shuttlebox che altro non era che una scatola divisa in due scompartimenti separati da una barriera. Ai cani venivano somministrate le solite scosse elettriche a cui potevano sfuggire se imparavano a saltare la barriera. Per dissuaderli dal saltare, il cane venne costretto per cento volte a ricevere la scossa anche se superava la barriera. “Essi riferirono che quando il cane saltava emetteva un «acuto grido anticipatore che si tramutava in un guaito non appena atterrava sulla griglia elettrizzata».”115

Il passaggio venne poi bloccato con il vetro, e i cani, nel tentativo di sfuggire alle scosse si ferirono. Dopo dodici giorni di resistenza, i cani si arrendevano. Questo studio secondo i ricercatori dimostrò che era possibile indurre uno stato di disperazione attraverso la somministrazione di scosse elettriche. Questo genere di esperimenti venne poi perfezionato negli anni ’60 per opera di Martin Seligman. Egli prese un primo gruppo di cani «ignari» che addestrò a evitare le scosse

114 Pharmacology, Biochemistry, and Behavior, 17, 1982, pp. 645-649 in P. Singer,

Liberazione animale, cit., pag. 67.

saltando la barriera, e un secondo gruppo, al quale impedì la fuga immobilizzandoli con delle cinghie. Quando poi mise il secondo gruppo di cani nella shuttlebox, osservò che:

Il cane sottoposto a questo trattamento reagisce inizialmente alla scossa nella shuttlebox nello stesso modo del cane ignaro. Però, in netto contrasto con quest’ultimo, smette ben presto di correre e rimane silenzioso fino al termine della scossa. Esso non attraversa la barriera e non si sottrae alla scossa. Sembra piuttosto «rinunciare» e «accettare» passivamente la scossa. Nelle prove successive il cane continua a non eseguire movimenti di fuga e in questo modo subisce ogni volta 50 secondi di forti scosse intermittenti. […] Un cane in precedenza esposto a scosse inevitabili […] può subire scosse illimitate senza minimamente tentare di evitare o di fuggire.116

Negli anni ’80 gli esperimenti sul «senso di impotenza appreso» continuarono. Il meccanismo era sempre lo stesso: una scatola a due scomparti e un pavimento a griglia per la somministrazione delle scosse elettriche. Cambiarono i soggetti: dapprima i ratti e poi addirittura i pesci. Philip Bersh della Temple University di Philadelphia sottopose 372 ratti alle scosse, al fine di determinare il rapporto tra condizionamento pavloviano e senso di impotenza appreso, ma i risultati non furono soddisfacenti. Questo però non li indusse a smettere, ma anzi, fu la dimostrazione che nuovi esperimenti dello stesso genere si rivelavano necessari.

I ricercatori dell’Università del Tennessee progettarono una shuttlebox speciale per i pesci rossi concludendo però che “i dati di tale studio non offrono molto sostegno all’ipotesi di Seligman che il senso di impotenza sia appreso.”117

Oggi, il modello del senso di impotenza appreso non viene considerato un modello valido della depressione umana. Per trent’anni sono stati condotti esperimenti per provare una teoria che fin da principio si è rivelata inutile, nonché dispendiosa in termini economici. I tentativi fallimentari anziché mettere in

116 Journal of Abnormal Psychology, 73 (3), giugno, 1968, pag. 256 riportato in P. Singer,

Liberazione animale, cit., pag. 69.

117 Psycologial Reports, 57, 1985, pp. 1027-1030 in P. Singer, Liberazione animale, cit.,

allarme i ricercatori, sono stati il pretesto per continuare. Tutto ciò, ancora una volta, ha generato una enorme quantità di sofferenza evitabile.

Il gruppo «Centro di ricerca infantile» dell’Università del Kansas ha condotto esperimenti su svariati animali, tra cui i pony. Questi vennero lasciati senz’acqua fin tanto che non ebbero sete. Poi, venne offerta loro una ciotola d’acqua da cui partivano le scosse elettriche. Accanto ai pony vi erano due altoparlanti: quando l’altoparlante di sinistra emetteva un suono, la ciotola veniva elettrizzata. I pony impararono a bere solo quando il suono proveniva da destra. Allora gli altoparlanti vennero avvicinati al punto che era impossibile distinguere da dove proveniva il suono, e quindi, era impossibile evitare le scosse. I ricercatori hanno eseguito lo stesso esperimento su cani, gatti, topi, scimmie, delfini, foche, elefanti, porcospini, opossum, concludendo che i pony, rispetto agli altri animali, faticano maggiormente a distinguere la provenienza del suono. Non è ben chiaro come questo tipo di ricerca possa essere utile ai bambini.

L’aspetto inquietante di tutti gli esempi finora citati - che, va sottolineato, rappresentano solo una piccolissima parte di tutti gli esperimenti condotti - è che di questi esperimenti viene candidamente dichiarata l’inutilità da parte degli stessi sperimentatori. Gli animali non sono mai considerati come esseri viventi ma piuttosto come strumenti. Non c’è alcun rispetto per la loro vita, la sensibilità non trova posto in laboratorio. Questo atteggiamento è alimentato dall’uso di un linguaggio tecnico che permette di parlare del dolore senza menzionarlo, senza dare l’impressione che si tratti di qualcosa di terribile. La psicologa Alice Heim è stata una tra le pochissime che ha preso apertamente posizione contro la sperimentazione animale:

Il lavoro sul «comportamento animale» è sempre descritto con una terminologia scientifica dal tono asettico […]. Così si parla di tecniche di «estinzione» per riferirsi a ciò che in realtà consiste nel torturare privando dell’acqua, o facendo quasi morire d’inedia, o somministrando scosse elettriche; tecnica di «rinforzo parziale» è l’espressione impiegata per il fatto di frustrare un animale soddisfacendo solo di tanto in tanto le aspettative che lo sperimentatore ha suscitato in lui con il precedente addestramento; «stimolo negativo» è la locuzione per indicare uno stimolo che l’animale evita, se possibile. Il termine «evitamento» è

ammissibile perché si riferisce a un’azione osservabile. I termini «doloroso» o «pauroso» riferiti agli stimoli sono già meno accettabili perché sono antropomorfici, dato che implica che l’animale abbia delle sensazioni, e che queste possano essere analoghe a quelle umane. […] Il peccato principale per lo psicologo sperimentale che lavori nel campo del «comportamento animale» è l’antropomorfismo. Eppure, se non credesse nell’affinità fra l’essere umano e l’animale inferiore, anch’egli, presumibilmente, troverebbe il proprio lavoro in larga misura ingiustificato.”118