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La teoria critica e gli anni dell’esilio americano

2. Il pensiero filosofico

2.3 La teoria critica e gli anni dell’esilio americano

L’occasione per lasciare l’Europa alla volta degli Stati Uniti è offerta dalla proposta di dirigere il Music Study all’interno del Princeton Radio Research Project di New York, città in cui nel frattempo Horkheimer e l’Istituto si sono trasferiti.

Il progetto, avanzato da Paul Lazarsfeld, viene affidato ad Adorno la cui indole speculativa si scontra duramente con la sociologia empirica e la metodologia positivista utilizzata dal resto 251 dello staff. Ad Adorno non vengono infatti richieste riflessioni sul rapporto musica-società e interpretazioni di dati, ma solo raccolte di informazioni, schedari e classificazioni.

Esito di questa esperienza sono le quattro dissertazioni elaborate tra il ’38 e il ’40 (A Social Critique of Radio Music, On popular Music, NBC Music Appreciation Hour e The Radio Symphony), che rappresentano un’anticipazione delle riflessioni sul nesso razionalità tecnologica e dominio sviluppate di lì a poco con Horkheimer nella Dialettica dell’Illuminismo.

Nel ’38 Adorno pubblica nella rivista dell’Istituto il saggio Sul carattere di feticcio in musica, applicazione in musica della teoria marxiana del feticismo e impietosa critica all’industria culturale. Particolarmente efficaci sono le osservazioni sulle conseguenze generate dal feticismo musicale a livello di regressione dell’ascolto, ridotto ormai a una fruizione deconcentrata, frammentaria e quindi pericolosamente manipolabile dal sistema politico ed economico dominante.

Il trasferimento nel ’40 a Los Angeles, ove Adorno segue l’amico Horkheimer, segna la seconda fase del periodo americano e l’inizio del processo di auto-revisione della teoria critica che si trova a fronteggiare l’orrore nazista e antisemita.

Per comprendere quale svolta teoretica segnino gli anni californiani è necessario fare un passo indietro e riprendere gli assi teoretici che caratterizzano la nascita dell’Istituto per le ricerche sociali.

L’ampia ricostruzione di Jay sottolinea come la genesi della teoria critica vada rintracciata 252 nell’interesse manifestato dai pensatori hegeliani per l’applicazione delle idee filosofiche del maestro ai fenomeni sociali e politici della Germania di metà Ottocento.

Il recupero delle radici hegeliane del pensiero marxista avviene dopo la prima guerra mondiale grazie agli studi di Lukács e Karl Korsch e alla scoperta manoscritti marxisti inediti.

La Scuola di Francoforte, inserendosi in questo filone teoretico, recupera il pensiero dialettico hegeliano in chiave materialista, lo attualizza in un’era capitalistica che vede la sempre maggiore

ID., Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino, 1972, p. 52. 248

PETTAZZI, cit., p. 189.

249

R. TIEDEMANN, Prefazione ad ADORNO, Beethoven, cit., p. VII. 250

Una sintesi autobiografica di quegli anni ci è offerta in TH. W. ADORNO, Scientific Experiences of a European 251

Scholar in America, in «Perspectives in American History», Harvard University, vol. II (1968); trad. tedesca Wissenschaftliche Erfahrungen in Amerika, in «Neue deutsche Hefte», XVI (1969), n. 2.

JAY, cit., pp. 63-132.

integrazione sociale del proletariato e l’affievolimento della sua potenzialità rivoluzionaria e cerca di ipotizzare un concreto cambiamento dell’ordine sociale attraverso la praxis.

La guida teorica dell’Istituto è rappresentata da Max Horkheimer, allievo - come Adorno - di Cornelius, dal quale egli eredita la passione antidogmatica, l’interesse per l’esperienza e per gli studi umanistici.

Attraverso la lettura di Kant Horkheimer apprende l’importanza dell’individualità, che non deve venire mai sacrificata alla totalità, ma, facendo tesoro della filosofia hegeliana, contemporaneamente matura la convinzione che sia necessario superare il dualismo teoria-prassi imposto dal criticismo.

Horkheimer d’altra parte era lontano dalla pretesa hegeliana di potere raggiungere la verità assoluta e si manteneva critico nei confronti della metafisica hegeliana e del suo fondamentale presupposto, ovvero che sia possibile parlare di un’identità fra soggetto e oggetto fondata sulla preminenza del soggetto.

Per Horkheimer non esiste cioè un pensiero come tale «ma solo pensieri specifici di uomini concreti che sono radicati nelle loro condizioni socio-economiche» . 253

Il rifiuto della teoria dell’identità di Hegel non comporta però la vicinanza con il positivismo, che nella direzione opposta conduce all’idolatria dei fatti.

L’ideale teorico di Horkheimer consiste piuttosto nella «possibilità di una scienza sociale dialettica che avrebbe evitato la teoria dell’identità pur mantenendo all’osservatore il diritto di andare oltre i dati dell’esperienza» . 254

Le letture di Horkheimer spaziano da Schopenhauer agli autori della Lebensphilosophie, interpreti del grido di dolore dell’uomo contro l’oppressione del capitalismo monopolistico.

Di Dilthey, Nietzsche e Bergson, considerati idealisti latenti, critica l’eccessivo accento posto sulla soggettività, lo scarso interesse dedicato alla dimensione materiale della realtà e l’eccessiva sfiducia nella ragione che porterà alla deriva irrazionale.

Prendendo le distanze dall’interiorizzazione apportata dalla Moralität kantiana, Horkheimer recupera il carattere pubblico e sociale della Sittlichkeit hegeliana, nella convinzione che nel ‘900 l’ambito più adeguato per l’esercizio della morale sia costituito dall’impegno politico.

Critica è anche la posizione nei confronti del marxismo che, oltre ad avere feticizzato il mondo materiale e il lavoro, aveva sollevato il materialismo a teoria della conoscenza e sostenuto il primato della struttura economica, la quale invece, secondo Horkheimer, interagisce sempre con la sovrastruttura in virtù di un rapporto biunivoco che lega tra loro le due dimensioni.

Tutti i fenomeni culturali pertanto non costituiscono semplicemente il riflesso di interessi di classe ma vengono mediati dalla totalità sociale, esprimendone anche le interne contraddizioni.

L’autentico materialismo è dunque dialettico e lo scambio tra il particolare e l’universale, tra momento e totalità è continuo, grazie all’azione svolta dalla mediazione (Vermittlung).

In opposizione poi alla cultura borghese, che sacrifica la felicità individuale fino agli estremi esiti raggiunti dal fascismo, Horkheimer sostiene invece la dignità dell’egoismo, che trova la massima gratificazione nell’interazione con gli altri poiché, come sosteneva Marcuse, la felicità era tale se raggiunta da tutti . 255

Una felicità che non poteva essere conseguita, però, rinunciando alla ragione (Vernunft), ben distinta dall'intelletto (Verstand), necessario ma limitato.

Ivi, p. 71. 253

Ivi, p. 72. 254

H. MARCUSE, One-dimensional Man: Studies in the Ideology Advanced Industrial Society, Boston, 1964, trad. it. 255

La difesa della ragione portata avanti dall’Istituto polemizza sia contro l’ìrrazionalismo della Lebensphilosophie sia contro il positivismo logico del Circolo di Vienna, non solo perché esso riduce la logica a una serie di tautologie, emarginando l’indicibile dal pensiero filosofico, ma anche perché, assolutizzando i fatti, si rivela una reificazione dell’ordine sussistente.

Praxis e ragione rappresentano dunque i due poli della teoria critica che vanta in Horkheimer, Adorno e Marcuse i suoi più importanti ideologi.

Di fronte ai drammatici rivolgimenti sociali internazionali seguiti al nazismo, la direzione dell’Istituto si rende conto che è necessaria una svolta teoretica e la fase di ricerca inaugurata a Los Angeles si apre con un testo esemplare, Dialektik der Aufklärung, scritto a quattro mani da Horkheimer e Adorno tra il 1941 e il ‘44 . 256

Cercando di analizzare le cause del nuovo stato di barbarie in cui sembra sprofondare l’umanità, i due studiosi individuano la radice della regressione in quello stesso illuminismo, inteso come pensiero borghese caratteristico della civiltà occidentale, che sembra d’altra parte l’unico strumento culturale in grado di garantire la libertà nella società . 257

Un’analisi complessa che non può servirsi degli strumenti offerti dal linguaggio tradizionale, in quanto a dovere essere smascherata è proprio quella ragione che li ha forgiati.

Questa presa di coscienza giustifica la scelta di adottare uno stile antisistematico ed ellittico e di frammentare il testo in tre parti (Concetto di illuminismo, L’industria culturale e Elementi dell’antisemitismo), completandolo con una costellazione di scritti collaterali (Appunti e schizzi). Appare così chiaro come l’illuminismo da strumento gnoseologico, che avrebbe dovuto liberare gli uomini dalla paura e dalla magia , sia degenerato poco per volta in strumento di potere e dominio 258 sulla natura . 259

Un’evoluzione che ha comportato l’espulsione della metafisica e il prevalere di un tipo di conoscenza matematica «chiara e distinta», fondamentalmente tautologica e identificante. 260

I simboli matematici «prendono l’aspetto di feticci» e la forma stessa della deduzione scientifica «riflette coazione e e gerarchia». Ne risulta che «l’intero ordine logico - dipendenza, connessione, estensione combinazione di concetti - è fondato sui rapporti corrispondenti della realtà sociale, sulla divisione del lavoro» . 261

L’Excursus I, dedicato a Ulisse, mostra come «il mito è già illuminismo, e l’illuminismo torna a rovesciarsi in mitologia» mentre l’Excursus II, su Juliette, svela la presenza latente del mito 262 anche nell’illuminismo kantiano, come testimoniano le teorie di Sade e Nietzsche.

Dal dominio sulla natura si passa al dominio sull’uomo, all’interno di una realtà totalmente informata dal principio dello scambio.

Il passo successivo è rappresentato dal dominio sulla cultura, problema cui è dedicato il terzo saggio, ove si analizza l’organizzazione del consenso messa in campo dall’industria culturale.

Sulla paternità dei singoli saggi che compongono il testo, cfr. le osservazioni di PETTAZZI, cit., pp. 220 e segg. 256

M. HORKHEIMER-TH. W. ADORNO, Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, Suhrkamp, Frankfurt am

257

Main, trad. it. Dialettica dell’Illuminismo, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino, 1966, p. 5. Ivi, p. 11. 258 Ivi, p. 12. 259 Ivi, p. 15. 260 Ivi, p. 29. 261 Ivi, p. 8. 262

L’amusement è indotto infatti nel fruitore dallo stesso sistema dominante che ha atrofizzato ogni capacità critica del consumatore e deformato la sua percezione della realtà. 263

Tra i massimi esiti della produzione culturale dominante gli autori pongono la produzione televisiva e cinematografica, che genera un’autentica duplicazione della realtà, paralizzando ogni facoltà immaginativa e ogni tentativo di uscire da un modello imposto precostituito.

«Solo le opere d’arte genuine hanno potuto sottrarsi alla semplice imitazione di ciò che è già» , 264 osservano gli autori, poiché «l’opera d’arte ha ancora in comune con la magia il fatto di istituire un cerchio proprio in sé concluso, che si sottrae al contesto della realtà profana, e in cui vigono leggi particolari» . 265

Nella realtà, invece, la natura repressa dal meccanismo autodistruttivo innescato dall’illuminismo ritorna violentemente ad emergere nella barbarie, come dimostra il saggio sull’antisemitismo, proiezione della frustrazione indotta nell’individuo dal sistema di potere dominante.

Di fronte a ciò solo l’illuminismo «divenuto padrone di sé e forza materiale, potrebbe spezzare i limiti dell’illuminismo» . 266