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Soggetto 1: L’Arbeit tematico e la ribellione dello stile tardo 1 «La musica di Beethoven è la filosofia hegeliana»

Restruktion Diaskeuè

S.1 Soggetto 1: L’Arbeit tematico e la ribellione dello stile tardo 1 «La musica di Beethoven è la filosofia hegeliana»

Nel frammento 24 del Beethoven Adorno espone sinteticamente il fondamento della propria ipotesi critica:

In un significato simile a quello secondo il quale esiste soltanto la filosofia hegeliana, nella storia della musica occidentale esiste soltanto Beethoven . 339

Beethoven in sostanza si profila come «l’Hegel della musica» e tale analogia si declina secondo una doppia valenza, sociologica e concettuale.

Il linguaggio musicale di Beethoven, infatti, non solo esprime una società, quella borghese, di cui Hegel è il massimo rappresentante nella storia della filosofia, ma incarna anche esteticamente l’Arbeit concettuale descritto nella Scienza della Logica.

Fin dal 1939, data a cui risale il frammento 29, Adorno annota:

La musica beethoveniana presenta nella totalità della sua forma il processo sociale, e in modo tale che in ogni singolo momento, in altre parole ogni singolo processo produttivo individuale nella società diviene comprensibile soltanto in base alla sua funzione nella riproduzione della società come intera . 340

A fondamento di tale osservazione vi è l’idea, di matrice francofortese, che le opere d’arte siano «la storiografia, a se stessa inconscia, della loro epoca» e che la storia dello spirito, e quindi anche 341 quella della musica, sia «un nesso autarchico di motivazioni in quanto la legge sociale produce la formazione di sfere schermate l’una nei confronti dell’altra», ma che, d’altra parte, «in quanto legge della totalità», essa viene però di nuovo alla luce «in ciascuna come la medesima» e «la sua concreta decifrazione nella musica è compito essenziale della sua sociologia» . 342

La lettura sociologica di Beethoven proposta da Adorno si sorregge dunque su un duplice impianto critico: da una parte viene ripreso il concetto hegeliano di Spirito, il quale si manifesta nella dialettica storica che prende coscienza di sé attraverso l’arte, la religione e la filosofia; dall’altra viene utilizzata la prospettiva francofortese, attenta a smascherare l’azione esercitata dal pensiero identificante all’interno della società e della produzione culturale.

La traduzione delle categorie artistiche in categorie sociali consente di interpretare l’opera di Beethoven da una parte come «il prototipo musicale della borghesia rivoluzionaria», autocoscienza della borghesia in ascesa, dall’altra come «il prototipo di una musica sfuggita alla tutela sociale

ADORNO, Beethoven, cit., p. 23. 338

Ivi, p. 17. 339

Ivi, p. 22. 340

ID., Teoria estetica, cit., 307. 341

Ivi, p. 68. 342

della borghesia, pienamente autonoma dal punto di vista estetico», in quanto essa «fa esplodere lo schema della docile corrispondenza di musica e società» . 343

Riguardo al primo aspetto, la storia della grande musica borghese a partire da Haydn appare ad Adorno «la storia della fungibilità», in quanto all’interno del linguaggio che essa elabora, e che l’opera di Beethoven riflette in modo paradigmatico, «nulla di particolare è “in sé” ma «ogni cosa è soltanto in relazione al tutto» . 344

Questo tratto identificante, in cui si manifesta la vocazione dominatrice della cultura illuministica di cui la società borghese è una delle più compiute espressioni, si accompagna anche all’anelito verso la libertà che pervade la musica beethoveniana, la quale riflette «l’affinità della totalità che si sviluppa dinamicamente» . 345

Anche per Hegel il «vero è il tutto» ; per Adorno, invece, «il tutto è il falso» . 346 347

Gli aspetti coercitivi del totalitarismo hegeliano-borghese contenuti nel ritratto a-concettuale della società borghese realizzato da Beethoven si colgono innanzitutto nella forma intesa come 348 processo. L’unità beethoveniana si muove per contrasti, grazie alle contraddizioni tra i singoli elementi in cui si rifrangono i conflitti della società borghese in ascesa , ma attraverso la 349 «mediazione» tra questi elementi e «il compimento della forma globale», «i motivi in apparenza opposti reciprocamente vengono colti nella loro identità» . 350

Oltre che nell’antagonismo tra i due temi della forma sonata, tale caratteristica si può cogliere anche nel principio della variazione:

La variazione in divenire, imitazione del lavoro sociale, è negazione determinata: essa produce incessantemente il nuovo e il potenziamento di fattori dati in origine, annientandoli nel loro aspetto quasi naturale, la loro immediatezza. Ma nel loro insieme queste negazioni - come nella teoria del liberalismo cui d’altronde la prassi sociale non corrispose mai - devono dare luogo a un’affermazione. La mutilazione, la frizione vicendevole che si hanno tra i singoli momenti, la sofferenza e il declino, sono equiparati a un’integrazione capace di dare a ogni momento singolo un senso attraverso il suo superamento . 351

Tale work in progress rifrange dunque la totalità del lavoro sociale, intesa come una «totalità critica», ovvero «una totalità della sottrazione» nella quale a ogni particolare del lavoro tematico viene tolto qualcosa «per amore della totalità», che viene poi successivamente negata . 352

L’Arbeit diventa così il trait d’union tra il lavoro tematico, il lavoro sociale e il lavoro concettuale.

ID., Introduzione alla sociologia della musica, cit., p. 250.

343

ID., Beethoven, cit., p. 56.

344

ID., Introduzione alla sociologia della musica, cit., p. 250. 345

G. W. F. HEGEL, Phänomenologie des Geistes, trad. it. Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero, Bompiani, 346

Milano, 2001, p. 69.

ADORNO, Minima Moralia, cit., p.40. 347 ID., Beethoven, cit., p. 68. 348 Ivi, p. 70. 349 Ivi, p. 22. 350

ID., Introduzione alla sociologia della musica, cit., p. 251. 351

ID., Beethoven, cit., p. 57.

Anche nel lavoro concettuale, infatti, sono presenti una fatica e uno sforzo paragonabili a quelli affrontati dal lavoro praticamente inteso . 353

Uno degli scopi principali del volume, tanto da giustificare l’ipotizzato sottotitolo «filosofia della musica», doveva consistere proprio nella determinazione del rapporto di identità (e non di semplice analogia) che intercorre tra la musica di Beethoven e la logica concettuale di Hegel:

Il «gioco» della musica è il gioco con forme logiche come tali, quelle della posizione, dell’identità, della somiglianza, della contraddizione, del tutto, della parte, e la concrezione della musica è essenzialmente la forza con cui con cui queste forme si esprimono nel materiale, cioè nei suoni . 354

Dunque la musica di Beethoven, oltre a incarnare l’autocoscienza della società borghese, di cui il compositore è «figlio» , rifrange in sé il processo dialettico attraverso il quale la grande filosofia 355 comprende e interpreta il mondo.

Ciò che pone in movimento il tutto è l’elemento motivico-tematico, nel quale l’analisi tecnica che analizza il linguaggio rinviene la «fatica» e il «lavoro del concetto» hegeliani . 356

Tale identificazione è possibile, nonostante al linguaggio dei suoni manchi il medium del concetto, in quanto «la musica di Beethoven è immanente come la filosofia, generando se stessa» . 357

Analogamente a quanto accade nella Scienza della Logica, i cui concetti si spiegano solo attraverso se stessi, anche le opere beethoveniane sono interpretabili infatti come dei tour de force, una creatio ex nihilo, e proprio in tale aspetto risiede il nesso più profondo tra queste creazioni e l’idealismo assoluto di Hegel . 358

Un’intuizione su cui Adorno ritornerà nella Teoria estetica:

con non minor rigorosità si potrebbe mostrare in Beethoven la paradossalità di un tour de force: il nulla diviene qualcosa: è la prova estetico-corposa dei primi passi della logica hegeliana . 359

Spingendo la propria intuizione alle estreme conseguenze, Adorno giunge ad affermare che la musica di Beethoven da un lato si presenta come mimesi del giudizio, e quindi del linguaggio, mentre dall’altra revoca la logica giudicante e incarna «la logica della sintesi priva di giudizio» , 360 poiché conosce «una sintesi di altro tipo, una sintesi che si costruisce puramente a partire dalla costellazione non da predicazione, subordinazione, sussunzione dei suoi elementi» . 361

Concetto ripreso anche nella Teoria Estetica, in cui si sottolinea come le opere d’arte siano «analoghe» al giudizio, in quanto sintesi, ma come tale sintesi sia «priva di giudizio» poiché «di

ID., Drei Studien zu Hegel, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1963, trad. it. Tre studi su Hegel, a cura di F. Serra, Il

353

Mulino, Bologna, 2014, p. 52. Come osserva BODEI, Adorno ha spesso rilevato l’analogia esistente in Hegel tra «lavoro» e «spirito» (R. BODEI, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna, 2014, nota 78, p.

284).

ADORNO, Beethoven, cit., p. 18.

354 Ivi, p. 70. 355 Ivi, p. 19. 356 Ibidem. 357 Ivi, p. 21. 358

ID., Teoria estetica, cit., p. 181. 359

ID., Beethoven, cit., p. 19. 360

Ivi, p. 18. 361

nessuna opera d’arte si potrebbe dichiarare che cosa essa giudica, nessuna è un cosiddetto enunciato» . 362

La verità prodotta da questa sintesi priva di giudizio non è dunque apofantica e può essere definita «come il momento in cui la musica coincide con la dialettica» . 363

Questo è il punto nodale su cui si innesta la centralità del ruolo svolto dal linguaggio, che in Beethoven coincide, secondo Adorno, con la tonalità, «roccia originaria borghese» in cui è circoscritto «il contenuto sociale di Beethoven»:

Capire Beethoven significa capire la tonalità. Essa non è solo il fondamento della sua musica come «materiale» ma è il suo principio, la sua essenza: la sua musica esprime il segreto della tonalità e le limitazioni poste con la tonalità gli sono proprie - e nel contempo sono i propulsori della sua produttività . 364

La tonalità fonda la logica discorsiva del linguaggio poiché grazie a essa è possibile creare dei 365 «nessi»:

il movente che spinge il dettaglio oltre se stesso è sempre l’esigenza da parte della tonalità del dettaglio successivo per realizzare se stessa. A quest’ordine obbediscono sempre ulteriori macro-sfere formali366.

Analizzeremo in seguito (S.3.1) come la tonalità, in quanto «preghiera secolare della classe borghese» , rappresenti una delle modalità in cui si esprime il pensiero identificante, ma 367 osserviamo come fin da subito Adorno richiami la necessità di considerare la tonalità in modo dialettico:

La tonalità in Beethoven deve essere presentata in maniera del tutto dialettica, come «razionalizzazione» nel doppio significato che essa soltanto rende possibile la costruzione - anzi costituisce il principio stesso di costruzione - e che oppone resistenza alla costruzione, assume un certo carattere repressivo, forzato . 368

S.1.2. «Il suono messo a nudo»

Il ribaltamento dialettico dei propri assunti teorici è attuato dallo stesso Adorno nell’analisi delle opere appartenenti allo stile tardo, in cui viene posta in discussione la possibilità di concepire la musica come puro divenire e il riflesso che ciò comporta nella logica discorsiva del linguaggio: 369

La chiave per comprendere l’ultimo Beethoven consiste probabilmente nel fatto che in questa musica la presentazione della totalità come già compiuta divenne insopportabile per il suo genio critico. La via materiale presa da questa consapevolezza all’interno della musica di Beethoven è quella della contrazione. La tendenza di sviluppo in quelle composizioni di Beethoven che precedono il vero e proprio stile tardo è una tendenza opposta al principio della transizione. La transizione viene sentita come banale,

ID., Teoria estetica, cit., p. 209.

362 ID., Beethoven, cit., p. 18. 363 Ivi, p. 75. 364 Ivi, p. 76. 365 Ivi, p. 75. 366 Ivi, p. 227. 367 Ivi, p. 80. 368 Ivi, p. 21. 369

come «inessenziale», cioè la relazione tra elementi disparati a una totalità che li tiene insieme è sentita come puramente convenzionale, data, e come non più stabile . 370

L’ultimo stile, che per Adorno comprende in senso stretto gli ultimi quartetti per archi, le Variazioni Diabelli e le Bagattelle op. 126, rivela dunque il fallimento del Beethoven «classico» lasciando affiorare la consapevolezza del limite che accompagna il movimento immanente del concetto, ovvero «la non verità aprioristica del cominciare» . 371

In questa «non riuscita» si rivela però l’autentica «grandezza» insita nell’ultima produzione:

Le opere d’arte di rango più elevato si differenziano dalle altre non per la riuscita - che cosa è mai riuscito? - bensì per la modalità della loro mancata riuscita. Infatti sono quelle i cui problemi sono posti in modo estetico-immanente e sociale (le due cose coincidono nella dimensione di profondità) in modo tale che devono per forza fallire, mentre il fallimento delle opere minori resta casuale, questione della mera incapacità soggettiva. Un’opera d’arte è grande quando il suo fallimento contrassegna antinomie oggettive. Questa è la sua verità e la sua «riuscita»: scontrarsi con il proprio limite. Rispetto a ciò ogni opera d’arte che non lo raggiunge e riesce è fallita. Questa teoria rappresenta la legge formale che determina il passaggio dal Beethoven «classico» a quello tardo, e in modo tale che il fallimento insito oggettivamente in quello viene scoperto da questo, elevato ad autocoscienza, purificato dall’apparenza della riuscita e proprio in tal modo elevato a riuscita filosofica . 372

Alla radice dei mutamenti stilistici che caratterizzano le opere tarde vi sarebbe secondo Adorno l’espansione della «tipologia estensiva» della Zeit , ovvero di un tempo non più dominato ma 373 «rappresentato».

La maglia dell’elaborazione tematica si allenta e il processo musicale non viene più inteso come Entwicklung, bensì come «accensione tra estremi che non sopportano più nessun centro sicuro e armonia derivante dalla spontaneità».

Ciò comporta uno sfaldamento del tessuto e la presenza di una maggiore frammentazione dovuta al ridimensionamento della duchbrochene Arbeit (definita da Tiedemann «disseminazione tematica») , uno dei pilastri del Beethoven di mezzo. 374

Anche la prospettiva armonica muta rispetto a quella del Beethoven maturo poiché il baricentro tonale viene reso instabile dall’idiosincrasia per la tonica allo stato fondamentale, i temi, frequentemente finalizzati al contrappunto, sono spesso esposti in tonalità molto lontane tra loro e «i medesimi accordi dicono sempre la stessa cosa», esprimendo «il sempreuguale» senza più ricorrere a mediazioni estetiche (ed è questo un punto chiave dell’interpretazione sociale di 375 Adorno).

I fulcri armonici entrano in conflitto con quelli ritmici a causa di sincopi e sfz, usati da Beethoven come «un passaggio rapidissimo di correnti» che attraversano le convenzioni ; le stesse 376 modulazioni indugiano e procedono per salti senza ricorrere a transizioni, secondo uno stile che ricorda le intuizioni visionarie di Schubert . 377

Ivi, p. 24. 370 Ivi, p. 9. 371 Ivi, pp. 145-146. 372

Ivi, p. 134. Per un approfondimento della tipologia estensiva, cfr. il paragrafo S.2.1. 373

«Disseminazione tematica, tecnica compositiva tipica del classicismo viennese, secondo la quale un tema o una 374

melodia vengono ripartiti in motivi o singole note affidate alle diverse voci o strumenti» (TIEDEMANN, nota 21 p. 192 in ADORNO, Beethoven, cit., p. 192).

Ivi, p. 219. 375 Ivi, p. 190. 376 Ivi, p. 138. 377

Adorno giunge perfino a ipotizzare la morte dell’armonia che, pur rimanendo nell’ambito della tonalità , si contrae e acquista sempre più il carattere di esteriorità, soprattutto negli ultimi 378 quartetti per archi, andando contro le categorie dell’idealismo . 379

Dalla disgregazione si generano open-works (il portare a termine l’opera appare ora «futile» ) 380 381 caratterizzate dalla ripresa di formule retoriche:

Così, nell’ultimo Beethoven, le convenzioni divengono espressione nella nuda rappresentazione di se stesse. A tale scopo serve la limitazione del suo stile, più volte notata: essa non intende tanto depurare il linguaggio musicale dalle formule retoriche, ma piuttosto depurare le formule retoriche dall’apparenza del loro soggettivo autocontrollo. La formula retorica liberata, staccata dalla dinamica parla di sé, ma soltanto nel momento in cui la soggettività, dileguandosi, passa attraverso di essa e la illumina improvvisamente con la sua intenzione; da qui i crescendi e i diminuendi che, apparentemente in modo indipendente dalla costruzione musicale, la scuotono spesso nell’ultimo Beethoven .382

Il conflitto tra «la monodia, l’unisono, la formula retorica significativa» e la polifonia che vi si sovrappone è attuato dalla soggettività «che unisce forzatamente gli estremi, che carica con le sue tensioni la polifonia messa alle strette, la spezza nell’unisono e si dilegua, lasciando dietro a sé il suono messo a nudo» . 383

La formula retorica assume allora un valore cruciale in quanto simboleggia «il monumento di quanto è stato», la stessa soggettività che, dopo essere esplosa urtando «contro le pareti dell’opera», rimane infine «pietrificata».

Nelle interruzioni improvvise delle cesure «l’opera tace» e, abbandonata a sé, «rivolge all’esterno il suo vuoto» attendendo il frammento successivo, «inchiodato» al suo posto dalla soggettività.

È infatti il soggetto creatore che ordina la successione e la costellazione dei frammenti il cui segreto «non si lascia evocare se non nella figura che essi creano insieme» . 384

Emerge chiaramente in queste riflessioni l’influenza esercitata dalla prospettiva benjaminiana. Si assiste così allo strano contrasto tra l’oggettività del «paesaggio in sfacelo» e la soggettività della «luce in cui esso si accende».

Una dissociazione che non conosce sintesi armonica e che incarna il concetto di «catastrofe», nel doppio senso di capovolgimento e di scioglimento dell’intreccio, ovvero di manifestazione della contraddizione originaria solo ora portata a piena autocoscienza.

In alcuni capolavori, come per esempio nel Quartetto op. 127, considerato da Adorno tra le opere più difficili ed enigmatiche dell’ultimo stile, la soggettività arriva a far sparire le tracce di sé. Il linguaggio musicale risulta «spoglio», «immediato», sembrano sparire addirittura «le tracce della composizione», come se l’opera non fosse più composta, nell’estremo tentativo di eliminare il soggetto in quanto creatore e di concepire la musica come «immagine di un automovimento» . 385

Ivi, p. 266. 378 Ivi, p. 218. 379 Ivi, 263. 380 Ivi, p. 193. 381 Ivi, p. 178. 382 Ibidem. 383 Ivi, p. 179. 384 Ivi, p. 215. 385

Lo stile tardo incarna dunque il goetheano graduale «recedere dall’apparire» e «l’autocoscienza 386 della nullità dell’individuale, dell’esistente», svelando la contiguità delle ultime opere con la morte . 387

CS. 1-2 Beethoven e lo stile classico CS.1 La logica del lavoro tematico

Le contrapposizioni adorniane celano un non-detto, una zona d’ombra che, in linea con la stessa concezione dialettico-negativa dell’autore, vorremo almeno in parte contribuire a estrarre.

Preme evidenziare due inclinazioni di prospettiva che rivelano come l’analisi adorniana di Beethoven, qualora agisca attraverso le categorie filosofiche, scivoli essa stessa nella trappola tesa dal pensiero identificante.

Adorno contraddice innanzitutto i propri assunti teorici nel momento in cui cerca di spiegare l’opera di Beethoven servendosi di lenti teoretiche che non appartengono all’immanenza dell’opera d’arte. Rileggiamo questo passo cruciale della Teoria Estetica:

Il contenuto di verità di un’opera ha bisogno della filosofia. Soltanto in esso la filosofia converge con l’arte e si spegne in lei. La via per arrivarvi è quella della riflessione sull’immanenza delle opere, non l’applicazione esteriore di filosofemi. Il contenuto di verità delle opere deve essere severamente distinto da qualunque filosofia insufflatavi non importa se dall’autore o se dal teorico . 388

Adorno intraprende, è vero, la propria analisi traendo spunto dalla riflessione su alcuni dettagli tecnici delle composizioni beethoveniane, valorizzando quindi l’«immanenza» dell’oggetto estetico, ma lo sguardo interpretante solo in parte si rivela puro, volto cioè unicamente ad ascoltare e a indagare le proprietà costitutive dell’opera, senza sovrapposizioni teoriche eteronome.

Lo scopo recondito dell’approfondimento analitico adorniano sembra essere infatti prevalentemente quello di rinvenire nel linguaggio compositivo beethoveniano un riflesso della logica hegeliana e dei meccanismi produttivi della società borghese.

Agisce alla base cioè il presupposto che l’opera d’arte sia un prodotto del proprio Zeitgeist e che rifranga inevitabilmente nelle proprie fibre le contraddizioni sociali e le strutture concettuali del contesto a cui appartiene. Il gesto ermeneutico utilizza quindi gli strumenti tecnici per portare alla luce tali connessioni, venendo a confermare un’ipotesi teorica che si rivela dunque tautologica. A complicare questa prospettiva contribuisce un ulteriore fraintendimento.

Adorno non solo utilizza la filosofia hegeliana per rileggere le opere di Beethoven, applicando dei «filosofemi» che forzano l’interpretazione del prodotto artistico, ma a propria volta distorce la filosofia di Hegel, valendosi dunque di uno strumento critico che risulta doppiamente eteronomo rispetto all’oggetto estetico.

Bertinetto ha evidenziato con chiarezza la duplice natura, filologica e filosofica, del fraintendimento adorniano.

Nelle Lezioni di Estetica curate da Hotho nel 1835 appare un riferimento al dispiegarsi temporale della musica legato alla logica armonica che è stato utilizzato da Adorno, come da altri interpreti, per istituire un’analogia con il principio di sviluppo che caratterizza il comporre beethoveniano:

Ivi, p. 262. 386

Ivi, p. 224. 387

ID., Teoria Estetica, cit., p. 573.

In secondo luogo, quel che manca ai diversi generi di tritono […] è la comparsa reale di una contrapposizione più profonda. Ma abbiamo già prima visto che la scala, oltre a quei suoni che senza contrasto si accordano l'uno con l'altro, ne contiene ancora altri che eliminano questo accordo. Un suono del genere sono la settima minore e la settima maggiore. Queste, poiché fanno parte parimenti della totalità dei suoni, si devono fare strada anche nel tritono. Ma se ciò accade, quella immediata unità e consonanza viene distrutta, in quanto interviene un suono di risonanza essenzialmente diversa, con cui compare veramente per la prima volta una differenza determinata, e proprio come opposizione. La profondità vera e propria dei suoni nel loro insieme è costituita dal fatto che essi giungono ad opposizioni essenziali di cui non temono