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La non verità della ripresa

Restruktion Diaskeuè

S. 3 Il principio totalizzante 1 La coercizione dello stile classico

S. 3.2 La ribellione anti-borghese di Beethoven

S. 3.2.2 La non verità della ripresa

Riguardo al secondo problema, quello rappresentato dalla ripresa, Adorno riconosce come Beethoven possegga l’abilità tecnica di rendere necessario e convincente il ritorno forzato della Rekapitulation.

Una convenzione, ereditata dalla tradizione linguistica dello stile classico, che potrebbe costituire un potenziale ostacolo alla libertà dell’invenzione formale, si capovolge invece in un’occasione per esaltare la fantasia compositiva nel suo tratto autotelico e autofondativo.

È quanto accade, ad esempio, nelle Rekapitulation particolarmente efficaci dei primi momenti della Patetica, dell’Appassionata, della Kreutzer, della Terza, Quinta, Settima e Nona Sinfonia.

Ma la riflessione di Adorno è attenta a cogliere un secondo aspetto dialettico insito nella concezione beethoveniana della ripresa.

Se da una parte essa celebra «l’identità del non identico», dall’altra si rivela preziosa in quanto smaschera l’azione costrittiva esercitata dalla ripresa.

Questa caratteristica si manifesta soprattutto nelle opere dell’ultimo stile ove la Rekapitulation non viene eliminata ma utilizzata per portare alla luce il momento della non verità, dell’ideologia . 819 Nei suoi appunti dedicati alla tipologia estensiva, Adorno osserva come all’interno di questa prospettiva temporale il punto critico sia rappresentato proprio dalla ripresa che non costituisce più la zona in cui «sfociano le correnti musicali», il punto culminante e neanche di equilibrio.

La ripresa, all’interno di questo contesto, «deve essere non appariscente, perché nessuna dinamica porta ad essa»; deve essere «non impegnativa» però «compatta», altrimenti «la tipologia formale paurosamente esposta crolla irrimediabilmente» . 820

È quanto avviene, per esempio, nella ripresa del Trio op. 97, in cui la Rekapitulation diventa il «ritornare sull’argomento», il «rimembrare».

Attraverso un poderoso tour de force, al motivo iniziale «viene assicurata una sorta di extraterritorialità», anche se poi esso viene indicato come inizio e così senza accorgercene ci ritroviamo già nella ripresa.

ADORNO, Beethoven, cit., p. 78.

817 Ivi, pp. 78-79. 818 Ivi, p. 27. 819 Ivi, p. 140. 820

Dietro a questo sottile inganno viene alla luce l’aporia della ripresa che si paleserà compiutamente nello stile tardo, estremo frutto di una virata prospettica rivelatoria . 821

CS. 5-6 Il fraintendimento del concetto di totalità CS. 5 La totalità come processo in divenire

Alla radice dell’interpretazione adorniana di Beethoven agisce il fraintendimento del concetto di totalità che il filosofo attribuisce a Hegel ma che in realtà è frutto di una lettura della filosofia hegeliana effettuata alla luce della teoria critica francofortese.

Nel sistema hegeliano, infatti, il tutto non agisce come struttura coercitiva, non è mai esterno al particolare, poiché, in quanto deriva dal suo movimento, è questo movimento, e non può prescindere dalla singolarità degli elementi che attraverso la sua mediazione divengono.

La totalità, pertanto, non è, come osserva Bodei, «una sommatoria, un cumulo quantitativo di determinazioni, ma la loro articolazione dialettica nell’unità del concetto» . 822

La Ganzheit «è già presente implicitamente nel finito e nelle parti, che vi alludono e la cercano» e concettualizzare l’esperienza significa «porre in evidenza l’organizzazione implicita del finito, visibile solo nella sua connessione e articolazione totale» . 823

La «verità del finito» consiste allora nell’insieme dei rapporti tra i diversi elementi finiti e alla luce di ciò appare chiaro in cosa consista effettivamente l’Erinnerung hegeliana, che Bodei definisce come un «ricordo universalizzante dello svanire del finito nel flusso» . 824

Svanire che non è un dissolversi, poiché il lavoro dello spirito, in Hegel, non distrugge l’oggetto ma lo plasma, lo idealizza, lo assimila, non lo nega, incarnando quel «coraggio del conoscere» davanti a cui il processo dell’esperienza si apre.

L’intreccio che lega inscindibilmente i vari momenti tra loro è necessariamente dialettico e il principio fondante della rete relazionale non costituisce un’entità astratta ma un perenne divenire, che implica la valorizzazione e il necessario riconoscimento di ogni singola componente dell’intero processo.

CS. 5.1 I poli armonici alternativi

Anche in Beethoven la totalità va concepita come un perenne divenire, grazie all’esplorazione audace e innovativa che Beethoven effettua sulla tonalità.

Si pensi alla ricerca di polarità armoniche sostitutive a quella classica tra la tonica e la dominante, esplorazione finemente evidenziata da Rosen.

Fin dall’inizio della propria carriera compositiva Beethoven cerca infatti degli «efficaci sostituti» per la funzione dominantica.

Ivi, p. 141. 821

BODEI, La civetta e la talpa, cit., p. 288. 822

Ibidem. 823

Ibidem. 824

Ad esempio, il finale dell’esposizioni della Sonata op. 2 n. 3 è alla dominante ma passa prima attraverso un episodio alla dominante minore ; nella Sonata op. 10 n. 3 la dominante conclusiva è 825 preceduta da un episodio alla sopradominante minore mentre nell’Allegro con brio del Trio op. 11 in si bemolle maggiore il passaggio alla dominante (fa maggiore) avviene dopo avere sfiorato il re minore, tono del relativo.

Nel primo movimento dell’op. 31 n.1 la dominante è sostituita con una tonalità alla terza maggiore sopra (si maggiore/minore), mentre nel Quintetto op. 29 in do maggiore la sopradominante, ora maggiore ora minore, coincide, nella declinazione minore, al tono del relativo, con conseguente abbassamento della tensione armonica . 826

Dopo la Sonata op. 53, analizzata anche da Adorno , Beethoven dimostra di preferire sempre più 827 l’uso di dominanti alternative, come accade nelle Sonate op. 106 e op. 111, nella Nona Sinfonia e nei Quartetti op 127 e op. 130.

La libertà armonica rivelata da queste opere non è espressione di una poetica di tipo romantico, la quale si rivolge ai sostituti della dominante dirottandone la tensione in funzione sottodominantica. Beethoven infatti non infrange mai il principio della polarità e l’architettura protesa a creare un accumulo tensivo.

Queste «tonalità secondarie, medianti e sopradominanti, fungono all’interno della struttura complessiva da vere e proprie dominanti», creando «una dissonanza su larga scala nei confronti della tonica». Beethoven usa poi l’accortezza di prepararne l’apparizione «in modo tale che la loro relazione con la tonica sembra sempre altrettanto stretta di quella della dominante, così che la modulazione crea una dissonanza più potente e concitata di quella della dominante, senza però disturbare l’unità armonica» . 828

Beethoven approfondisce e riplasma il linguaggio della scuola viennese mantenendosi, pur nelle soluzioni più ardite, un compositore «classico», in quanto tutte le sue più stupefacenti innovazioni si integrano e non distruggono lo stile ereditato dalla lezione di Haydn e Mozart.

La ricerca armonica si estende anche in una dilatazione del cromatismo fino ad allora mai tentata, anche se tale indagine finisce poi per lasciare la triade di tonica «padrona assoluta» . 829

Alle volte le fibre tonali sfiorano il confine della lacerazione, ad esempio nella ruvidità degli urti creati dalle dissonanze nelle bb. 100-137 della Große Fuge op. 133. Il contesto tonale rimane sempre percepibile, ma ciò che viene a sfaldarsi, osserva Rosen, è l’integrazione del cromatismo all’interno della struttura diatonica . 830

La torsione tonale ai limiti della rottura comprende talvolta, come abbiamo visto, l’inserimento di episodi modali, come nella Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidico del Quartetto op. 132 e nell’Et incarnatus est della Missa Solemnis, ma anche ove la tonalità non viene messa in discussione, Beethoven ne smorza il nitore attraverso le invenzioni timbriche, la dilatazione dei registri fino agli estremi della tastiera, ove la percezione delle altezze si offusca, e soprattutto, nel caso delle opere pianistiche, attraverso coraggiose pedalizzazioni, che generano sovrapposizioni armoniche, come avviene ad esempio nelle Sonate op.57 e op. 53.

Questo episodio in sol minore, che alla ripresa ritroviamo in do minore, può esser considerato come la prima parte di 825

una seconda idea bifronte oppure come un tema a sé (così lo interpreta Jadassohn, cfr. S. JADASSOHN, Die Forme in den Werken der Tonkunst, Verlag von Kistner, Lepizig, 1885, p. 113).

ROSEN, Lo stile classico, cit., p. 433. 826

ADORNO, Beethoven, cit., p. 83.

827

ROSEN, Lo stile classico, cit., pp. 434-435. 828

Ivi, pp. 439. 829

Ibidem. 830

CS. 5.2: La logica del frammento e la valorizzazione del dettaglio

L’utilizzo di gradi alternativi alla dominante viene applicato da Beethoven anche all’interno delle ultime pagine dedicate al pianoforte, le Sechs Bagatellen op. 126, nelle quali agisce il principio della relazione di terza.

Il piano armonico generale prevede infatti un tono di riferimento principale, il sol maggiore (Bagattelle n. 1 e n. 5), che può velarsi all’omonimo minore (sol minore, Bagattella n. 2), attorno a cui ruotano il mi bemolle maggiore (Bagattella n. 3) e il si minore-si maggiore (Bagattella n. 4). Ognuno di questi poli armonici porta con sé una costellazione di toni a esso collegati per cui lo spettro tonale è costituito da un sistema di sistemi tonali il cui perno è rappresentato da sol maggiore (anche se il ciclo si concluderà in mi bemolle maggiore), inserito però in una visione aperta e policentrica.

Questa soluzione si rivela estremamente interessante perché assicura l’unità su ampia scala, fondamentale per organizzare la forma frammentaria, ma anche la varietà e la polidimensionalità armonica.

Il ciclo si rivela inoltre interessante perché in esso Beethoven, anticipando le innumerevoli declinazioni del polittico romantico, riflette sulla valorizzazione del dettaglio e sul suo inserimento all’interno di una costellazione di frammenti.

Proprio Adorno, che in un’annotazione afferma come la verità di Beethoven consista «nell’annientamento di ogni particolare» , è autore di un’analisi esemplare dell’op. 126, nella 831 quale lascia emergere il tratto benjaminiano e più intuitivo della sua natura filosofica.

Le Bagatelle vengono definite «schegge», «minuscole parti di materia disperse», sorte dagli urti violenti delle ultime opere.

Analizzandole si può riconoscere in questi «resti» la purezza del cristallo originario, a conferma, dunque, di come anche in Beethoven la cura del dettaglio riceva la più ampia attenzione:

Non solo sono schegge e documenti del più possente processo produttivo della musica, ma la loro sorprendente brevità rivela nel contempo quella singolare contrazione e tendenza all’inorganico che conduce nel più intimo mistero sia dell’ultimo Beethoven sia forse di ogni grande stile tardo . 832

L’attenzione di Adorno si concentra soprattutto sul quarto tassello del polittico, definito «il più importante del ciclo» . 833

Il contrasto tra la polifonia con contrappunti doppi e stretti, presenti nella prima sezione, e l’«ingannevole, terribile» semplicità monodica della seconda parte si rivela stridente ed enigmatico. Il segreto è forse racchiuso nelle semibrevi «sacrali» (bb. 68-72) che rievocano uno dei motivi principali degli ultimi quartetti . Adorno si riferisce probabilmente all’incipit dell’op. 132, ma il 834 tratto enigmatico fa pensare anche alla Overtura dell’op. 133.

Il brano conclusivo svela abissi che ripercorrono le altezze siderali dell’Arietta, dell’op. 106 e delle Variazioni op. 120, oltre che i misteri contemplativi della Missa Solemnis e degli ultimi quartetti. Il Presto di sei misure che apre e chiude il ciclo costituisce per Adorno, insieme a certi passaggi delle variazioni del Quartetto in do diesis minore, una «delle cose più enigmatiche e strane che il Beethoven tardo ci abbia lasciato» . 835

ADORNO, Beethoven, cit., p. 249. 831 Ivi, pp. 183-184. 832 Ivi, p. 185. 833 Ibidem. 834 Ivi, p. 186. 835

Una profonda nostalgia si cela dietro all’allegria festosa, quasi teatrale, di queste poche misure che «spezzano l’apparenza lirica», liberando l’opera frammentaria in una sorta di frammento al quadrato.

Brilla, proprio grazie alla polverizzazione dell’infinitamente piccolo, la gioia trascendente, esaltante, di chi ha intravisto un altro universo aprirsi dietro la fine della commedia umana.

Ma anche nelle opere in cui Beethoven pare affermare trionfalmente la forma-sonata e la priorità della totalità, in realtà emergono, insieme a nuovi paradigmi formali, il rilievo affidato ad organismi tematici ausiliari e l’importanza attribuita a dettagli linguistici che acquistano progressivamente rilievo sempre maggiore.

La totalità si relativizza e la sua forza si dimostra solo nel singolo elemento dentro cui essa manda i suoi raggi.

Si pensi, ad esempio, al terzo tema del primo movimento dell’Appassionata (bb.), che rappresenta il cuore pulsante del movimento, la forza operativa che concretamente reagisce al nichilismo del primo tema grazie alla guida dell’ideale rappresentato dal secondo.

Oppure all’irruzione del tema nuovo nello sviluppo dell’Eroica, cui Adorno dedica numerose pagine di appunti.

Il problema suscitato dal nuovo materiale è cruciale per Adorno in quanto pone in discussione il principio classicistico della sinfonia che richiede la massima economia nell’uso del materiale. Inserire, in tale contesto, un organismo tematico che contraddica l’«assioma dell’integrità» e la necessità deduttiva dei singoli elementi, avvicina la sinfonia «drammatica» di Beethoven alla «sinfonia-romanzo» di Mahler . 836

A incrementare la varietà del rapporto dialettico che intercorre tra micro e macro struttura, contribuisce anche l’energia ritmica deflagrante generata dagli accenti e dagli sf, oltre che dalle sincopi.

Riguardo a queste ultime, Adorno invoca la necessità di creare una vera e propria «storia della sincope», in quanto essa appare un’espressione sensibile della negazione che la natura esercita su se stessa . 837

Ulteriori sobbalzi linguistici sono generati dall’uso di frasi irregolari rispetto al periodo classico che vengono a sconvolgere la simmetria delle frasi, costituzionalmente necessaria allo stile classico . 838 Inserimenti cadenzali ispirati alle coloriture belcantistiche sono presenti già nelle prime sonate, si pensi, per esempio, all’episodio libero che precede la coda del primo movimento nell’op. 2 n.3, oppure alle divagazioni della voce solista nel’Adagio dell’op. 31 n.1, spazi fuori dal tempo che sospendono l’equilibrio fraseologico.

Autentica stupefazione generano i recitativi della ripresa nel primo tempo della Tempesta, intuizione che avvia le forme aperte degli ultimi quartetti.

La volontà di imitare attraverso il suono l’immediatezza e l’irregolarità dell’eloquio verbale raggiunge vertici assoluti nel balbettio visionario che precede l’Arioso dolente nella Sonata op. 110, nelle invocazioni della Canzona di ringraziamento op. 132 e nei drammatici recitativi dei violoncelli e contrabbassi della Nona Sinfonia.

Il suono strumentale cerca di trasformarsi in voce umana, plasmando frasi, ritmi, timbri e armonie affinché il linguaggio musicale ritrovi l’unità originaria con il logos.

ID., Mahler, cit., p. 203. 836

ID., Beethoven, cit., p. 77. 837

ROSEN, Lo stile classico, cit., p. 65.

CS. 6 Ripresa come negazione

Una dimostrazione di come il linguaggio classico in Beethoven possa generare episodi critici in seguito al suo stesso processo evolutivo interno, contravvenendo al principio di affermazione e riconciliazione attribuitogli da Adorno, la si ritrova nell’accumulo di tensione irrisolta che caratterizza le riprese in alcune importanti opere appartenenti al periodo di mezzo.

Se ne avvede anche il filosofo il quale cita, a titolo di esempio, la Rekapitulation nel tempo lento dell’Eroica, «completamente trascinata nello slancio dello sviluppo», e la ripresa carica di agitazione del primo movimento dell’op. 57 , da cui emana una drammaticità così vertiginosa che 839 nega il valore risolutivo della ripresa, rendendo necessaria una lunga coda che si configura come una sorta di ulteriore sviluppo.

Costruito in rigorosa forma sonata, dopo le avventurose esplorazioni dell’op. 26, op. 27 e op. 31, questo primo tempo è composto infatti di quattro strofe corrispondenti all’esposizione, sviluppo, 840

ripresa e coda, ognuna delle quali inizia con il tema principale.

Una struttura quadripartita, dunque, che nella sua semplicità contiene però una potenza spaventosa . 841

La straordinaria tensione comunicata dalla ripresa è dovuta al fatto che essa inizia sì su un’armonia di tonica, ma in secondo rivolto. Al basso agisce dunque un pedale di dominante «che trasforma un importante momento di risoluzione in una minacciosa dissonanza, a lungo tenuta» . 842

Anche le riprese della Patetica, della Tempesta e della Waldstein vengono travolte dall’energia accumulata nel corso di sviluppi che scuotono le fondamenta tonali e innescano tensioni così vibranti da travalicare il confine del singolo movimento ed estendere la loro azione sul resto dell’opera, come avviene soprattutto nelle sonate più drammatiche.

Nell’Adagio sostenuto dell’op. 27 n. 2 la negazione di uno sviluppo ghiacciato affida invece alla Rekapitulation un ruolo implosivo, nel quale la tensione è tanto più drammatica quanto più inglobata e girata di segno al punto da autodistruggersi fino a identificarsi con il silenzio.

Nel caso infine di trittici come quelli dell’op. 31, sarà addirittura necessaria una terza sonata per sciogliere il turbamento innescato dal primo movimento del tassello centrale.

In questo contesto, l’Adagio della Tempesta (op. 31 n. 2) rappresenta il baricentro che orienta l’intero polittico sonatistico, suggerendo una forma complessiva del ciclo che rifrange, a livello macrostrutturale, il principio di accumulo e scioglimento tensivo caratteristico della forma sonata.