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La tutela dell’identità dell’agente sottocopertura

Nel documento LE INDAGINI SOTTO COPERTURA (pagine 77-81)

Profili Processuali

1. La posizione processuale dell’agente sotto copertura: testimone o coimputato?

1.2 La tutela dell’identità dell’agente sottocopertura

206 Non trascurabile è anche l’eventualità che l’agente undercover – ma anche gli interposti o gli ausiliari – infiltratosi nell’organizzazione criminale non abbia commesso nessun reato, ancorché in ipotesi scriminato, essendosi limitato ad assistere dietro mentite spoglie all’altrui esecuzione del disegno criminoso. In tale circostanza evidentemente l’agente non dovrà essere formalmente indagato in quanto sarà sufficiente l’ordinario vaglio preventivo del pubblico ministero.

Le difficoltà relative alla testimonianza dell’agente sotto copertura – ovvero, se si segue il filo logico tracciato nel paragrafo precedente, le sue dichiarazioni rese in sede di esame ex art 210 c.p.p. – fanno emergere una problematica parallela alla quale, tuttavia, non si potrà dare una soluzione positiva in assenza di uno specifico intervento legislativo. Con l’aumento delle forme di criminalità avverso le quali possono utilizzarsi strumenti di indagine non convenzionali, si è avvertita, con intensità sempre crescente, l’esigenza di tutelare nel giudizio l’identità dell’agente infiltrato.

Per quanto attiene alla fase investigativa, il comma 5 dell’art. 9 l. 146/2006 prevede che per l’esecuzione delle operazioni possa essere autorizzata l’utilizzazione di documenti di copertura. Con tale disposizione, la norma intende “assicurare la necessaria segretezza circa le effettive generalità dei soggetti che operano sotto copertura, ponendoli al riparo da intuibili pericoli nell’espletamento di siffatte, delicate attribuzioni”208. Le incertezza sorgono nel momento processuale, in ragione delle difficoltà di esaminare l’agente sotto copertura e i suoi ausiliari. Il legislatore, difatti, si è finora preoccupato esclusivamente del momento investigativo, dimenticandosi che l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria, nonché i privati che abbiano collaborato all’attività, dovranno poi essere sentiti in dibattimento rivelando le proprie vere generalità209.

Secondo alcuni, è dubbio che gli ufficiali o gli ausiliari possano far ricorso a tale identità di copertura ogniqualvolta, cessata l’operazione di polizia, si tratti di deporre in sede dibattimentale o di incidente probatorio, in quanto la dizione letterale del co. 5 art. 9 l. 146/2006 sembrerebbe orientare verso l’utilizzazione dei documenti di copertura all’interno della sola fase investigativa. Assecondando però la ratio della disposizione, la locuzione potrebbe essere intesa in senso finalistico, ossia legittimante l’utilizzo delle false generalità “al fine di creare una immutatio veri per tutto il tempo in cui l’operazione è destinata a spiegare i propri effetti, ivi inclusa la fase della successiva deposizione dibattimentale”210. A tale conclusione si dovrebbe giungere in considerazione della scarsità delle risorse umane impiegabili in tale particolare attività, ai rischi di ritorsione, nonché ai costi della formazione del personale specializzato in attività undercover. Le esigenze connesse ad una tale estensione dibattimentale della “copertura investigativa”, sarebbero quindi tali da giustificare una deroga al disposto

208 A. CISTERNA, Attività sotto copertura, arriva lo statuto, in Guida dir., 2006, n. 17, 83.

209Cfr. L. FILIPPI, D.l. n. 374 del 2001. Profili processuali, in Dir. pen. proc., 2002, n. 2, 166.

dell’art. 497 co. 2 c.p.p., nel senso di consentire la possibilità di declinare le proprie generalità seconda l’identità fittiziamente utilizzata nell’operazione. Si ritiene, inoltre, che questa soluzione permetterebbe di non rendere inutile la disciplina sanzionatoria del co. 10 art. 9 l. 146/2006 secondo la quale è punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, in costanza di svolgimento delle operazioni sotto copertura, indebitamente riveli ovvero divulghi i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria impegnati nelle operazioni stesse211.

In realtà, in mancanza di una espressa previsione legislativa, la possibilità di sentire i soggetti protagonisti dell’indagini con la loro identità “di copertura” sembra doversi escludere: una norma di carattere eccezionale all’interno del sistema codicistico non può, in nessun caso, essere desunta da esigenze processuali correlate. Pur condividendo l’opportunità di un tale intervento, va precisato come, qualora il legislatore decidesse di importare questo tipo di modello212, si troverebbe ad affrontare dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 111 Cost co. 3 e 4 difficilmente superabili. Le disposizioni frutto della riforma sul “giusto processo”, nel richiedere l’esame diretto del teste a carico, impongono, infatti, di garantire la conoscenza dell’identità del soggetto da parte della difesa e del giudice, così da consentire eventuali accertamenti sull’attendibilità del soggetto esaminato.

Nella ricerca di un punto di equilibrio fra esigenza di tutela dell’infiltrato e vincoli costituzionali, è stata prospettata una soluzione intermedia, secondo la quale si potrebbe riservare la conoscenza delle generalità dell’agente sotto copertura solamente al giudice e al difensore, alla cui deontologia sarebbe affidata la segretezza dei dati identificativi213. In aggiunta, si potrebbe forse estendere la fattispecie penalistica introdotta dall’art. 9 l. 146/1006 a protezione dell’identità dell’infiltrato, sino a sanzionare chiunque riveli indebitamente le sue generalità anche in momenti successivi alla sola fase investigativa.

211 Ancora A. CISTERNA, Attività sotto copertura, cit., 83.

212 Come si vedrà meglio oltre (cap. V, par. 1.1.), in Germania il problema è stato affrontato con le legge OrgKG del 15 luglio 1992, in materia di lotta al narcotraffico ed alle altre forme di criminalità organizzata. Secondo tale disciplina l’agente undercover che assume un’identità fittizia, non deve necessariamente svelare le proprie reali generalità, ma la sua testimonianza diretta è sostituita da una testimonianza de relato la cui fonte, anche negli atti processuali, corrisponde all’identità simulata.

213 Sul punto cfr. L. FILIPPI, D.l. n. 374 del 2001, cit., 166. Ovvio che il pubblico ministero, al quale spetterà anche di vigilare sulla riservatezza del suo ufficio, già conosca il nominativo dell’ufficiale in quanto, a mente del co. 4 art. 9 l. 146/2006, quando gli viene trasmessa comunicazione dell’inizio dell’operazione, se necessario o se richiesto, gli viene trasmesso anche il nominativo dell’ufficiale di polizia giudiziaria incaricato dell’operazione.

Una soluzione ulteriore – che, tuttavia, si dovrebbe affiancare e non sostituire a quella appena prospettata – concerne la possibilità di sentire gli agenti undercover col mezzo della videoconferenza. A norma dell’art. 147-bis disp. att. c.p.p., salvo che il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza in aula della persona da esaminare, possono essere sentiti per mezzo del reciproco collegamento audiovisivo i coimputati ex art. 210 c.p.p., quando si proceda per i reati di cui agli art. 51 co. 3-bis e 407 co. 2 lett. a) n. 4 c.p.p.

La prima problematica attiene quindi alla circostanza che non tutte le operazioni sotto copertura sono disposte per la repressione delle fattispecie di reato indicate nella norma. In realtà, se si considera che l’art. 51 co. 3-bis c.p.p. si riferisce a tutti i delitti relativi alla tratta di persone e riduzione in schiavitù, ai delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso, al sequestro di persona a scopo di estorsione e al traffico di stupefacenti, e che l’art. 407 co. 2 lett. a) n. 4 richiama i delitti di associazione terroristica ed eversione dell’ordinamento costituzionale, nella previsione di cui all’art. 147-bis vi rientrano la gran parte dei reati per cui è possibili attivare operazioni

undercover. Per le ipotesi di reato che rimangono escluse da tale previsione, ad ogni

modo si può fare ricorso al disposto dell’ultimo comma dell’art. 147-bis disp. att. c.p.p. che, con una disposizione residuale, prevede la possibilità di ricorrere alla videoconferenza a richiesta di parte, quando venga disposta la nuova assunzione di un soggetto o vi siano gravi difficoltà ad assicurare la comparizione dello stesso.

Considerata la possibilità di poter effettivamente utilizzare lo strumento audiovisivo per l’agente sotto copertura, resta fermo che, in mancanza di una norma ad

hoc, questi dovrà comunque declinare le proprie reali generalità, senza che la

videoconferenza possa risolvere i rischi di ritorsione, né faccia salva la copertura per ulteriori indagini. Si rende così necessario un intervento legislativo che, pur senza introdurre un nuovo istituto, autorizzi l’agente a mantenere le proprie generalità di copertura ed estenda, al contempo, il disposto della lettera b) co. 3 art. 147-bis c.p.p. ai soggetti che abbiano agito come infiltrati all’interno di operazioni anticrimine. Questa norma prevede la possibilità che “quando nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità” il presidente del collegio dispone le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile.

Così, un estensione di questa previsione, unita alla possibilità di utilizzare l’identità fittizia per tutto il corso del procedimento, sembra essere la migliore soluzione

per tutelare le diverse esigenze coinvolte in un processo celebrato a seguito di operazioni “mascherate”, pur ricordando come, in mancanza di un espresso intervento legislativo, il carattere eccezionale di questa disciplina non consenta strappi ermeneutici. Con questo non si vuole incentivare la creazione di un ulteriore gruppo di norme che contribuiscono ad accrescere il numero delle disposizioni speciali extra codice, ma si ritiene che, una volta legittimato l’utilizzo di attività investigative non convenzionali, sia opportuno intervenire per tutelare l’incolumità dei soggetti che nell’investigazione danno applicazione a questa disciplina.

Nel documento LE INDAGINI SOTTO COPERTURA (pagine 77-81)