CAP. III
2.2. Segue: le consegne controllate
L’istituto delle controlled delivery è stato introdotto nella legislazione internazionale dall’art. 11 della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti, aperta alla firma a Vienna il 20 dicembre 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 5 novembre 1990, n. 328170.
Naturalmente la Convenzione di Vienna, come di norma tutti gli atti pattizi internazionali, subordina l’operatività della disciplina de qua al rispetto dei principi fondamentali degli ordinamenti giuridici delle Parti contraenti. Una visione restrittiva comporterebbe che in ordinamenti come il nostro, in cui sussiste l’obbligatorietà dell’azione penale, non sarebbe possibile controllare il transito di una partita di stupefacenti proveniente da uno Stato estero e diretta ad un altro Stato, né, ad ogni modo, consentire l’uscita di un carico di stupefacenti dai confini italiani, ovvero favorire il transito di trafficanti che debbano raggiungere altri Stati, poiché, in tutte queste ipotesi, il disposto dell’art. 112 Cost. imporrebbe la necessità di intervenire nell’immediatezza della commissione del fatto.
Peraltro, la “rigida concezione del principio di legalità processuale che attribuiva alla nozione di obbligatorietà dell’azione penale una portata tale da non consentire alcuna discrezionalità anche nei tempi degli interventi”171, può essere ora superata grazie al disposto del terzo comma dell’art. 98 d.p.r. 309/1990, così da legittimare un interpretazione diversa del disposto costituzionale tale da rendere legittima una legislazione specialistica che si pone in sintonia con gli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale.
Una volta trovata la chiave di lettura che consenta di legittimare questi “istituti di rottura” nel nostro ordinamento, è utile evidenziare come la citata Convenzione di
170Inoltre anche l’art. 73 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, ratificato dall’Italia con legge 30 settembre 1993, n. 388 (esecutiva dal 26 ottobre 1997), dispone che: “1. Conformemente alla propria Costituzione ed al proprio ordinamento giuridico nazionale, le Parti contraenti si impegnano a prendere misure per permettere le forniture sorvegliate, nell'ambito del traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope. 2. La decisione di far ricorso a forniture sorvegliate sarà presa in ciascun caso specifico sulla base di un' autorizzazione preventiva di ciascuna Parte contraente interessata. 3. Ciascuna Parte contraente mantiene la direzione ed il controllo dell`operazione nel suo territorio ed è legittimata ad intervenire”. Ancora, la consapevolezza dell’utilità di tal genere di assistenza oltre il traffico di sostanze stupefacenti, ne ha determinato l’inserimento sia nella Convenzione di assistenza giudiziaria dell’Unione europea del 2000 (art. 12), sia nel Secondo Protocollo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959 (art. 18) che, in questo caso ne ripete sostanzialmente la disciplina. Cfr. M.R. MARCHETTI, L’assistenza giudiziaria internazionale, Milano, 2005, 207.
Vienna fornisca un’esatta definizione della nozione di controlled delivery (art. 1 lett. g)172, espressione che sta ad indicare “the technique of allowing illicit or suspect consignments of narcotic drugs, psychotropic substances […] to pass out of, through or into the territory of one or more countries, with the knowledge and under the supervision of their competent authorities, with a view to identifying persons involved in the commission of offences”.
E’ stato osservato, tuttavia, come la definizione fornita dalla citata Convenzione non si riferisca esclusivamente alle cosiddette “consegne sorvegliate”, ma sia idonea a ricomprendere anche le “consegne controllate”, caratterizzate da una maggiore incisività dell’intervento della polizia giudiziaria nella dinamica del traffico illecito. Nel tentativo di individuare le differenze esistenti fra i due istituti – mancando nel diritto interno un dato normativo, ovvero un’interpretazione giurisprudenziale cui fare riferimento –, si è tentato di ricondurre le due distinte ipotesi alle scriminanti di cui agli artt. 97 e 98 d.p.r. 309/1990, così da ravvisare l’elemento fondamentale su cui basare la distinzione dei due istituti nella natura “attiva” o “passiva” dell’intervento dell’autorità doganale e di polizia.
Un utile elemento interpretativo potrebbe forse rinvenirsi nel diritto francese, nel quale il legislatore, nel formulare la l. 19 dicembre 1991 n. 91-1264 ha distinto esplicitamente fra consegne sorvegliate e consegne controllate rifacendosi ai modelli investigativi formatisi nella prassi: nella prima figura (livraisons surveillées) rientra l’attività puramente passiva delle autorità doganali e della polizia giudiziaria che si limitano a seguire e a documentare, senza interporsi, le transazioni illecite del gruppo criminale nei confronti del quale vengono svolte le investigazioni; la seconda condotta (livraisons controlées) si caratterizza per la partecipazione attiva dei pubblici ufficiali, i quali intervengono fattivamente nei vari passaggi della merce assumendo personalmente anche incarichi di conservazione e smistamento. Peraltro dalla prassi investigativa deriva anche un terzo modello – l’infiltration – che prevede l’inserimento del pubblico ufficiale nel gruppo criminale con il ruolo di trafficante nell’ambito del quale, ovviamente, l’agente infiltrato non solo deve detenere, acquistare, trasportare le sostanze stupefacenti, ma può essere costretto ad assumere iniziative di coordinamento o di incentivazione dell’attività criminosa altrui. Quest’ultima figura si pone, generalmente, al di fuori delle ipotesi scriminate dalla norma, sebbene non siano
172 In realtà, nel testo italiano (traduzione non ufficiale pubblicata in G.U. 15 novembre 1990, Suppl. ord., n. 267) le consegne sorvegliate sono definite alla lett. k.
mancate interpretazioni che, pur con determinati limiti, l’hanno fatta rientrare all’interno delle livraisons controlées173.
La norma attuativa nel diritto francese dell’art. 11 della Convenzione di Vienna, a ben vedere, ripropone proprio le due fattispecie ricavabili rispettivamente dall’art. 97 e 98 del d.p.r. 309/1990: il primo consente, di fatto, un intervento diretto dell’agente all’interno di un’operazione undercover che potrà spingersi – nel rispetto dei presupposti di legge – sino alla vera e propria provocazione al reato; il secondo disciplina la possibilità che in una determinata operazione le autorità coinvolte, anche sul piano internazionale, attendano prima di compiere gli atti dovuti per conseguire il miglior risultato investigativo. Proprio alle operazioni che richiedono una necessaria cooperazione internazionale si rivolge il terzo comma dell’art. 98 d.p.r. 309/1990. La disciplina in esso prevista è volta ad indicare l’attività che l’autorità giudiziaria, e più specificamente il pubblico ministero presso il tribunale, deve compiere per il più efficace coordinamento con le altre autorità giudiziarie per il normale svolgimento delle operazioni di controlled delivery174. In questo comma è configurata una seconda fase dell’operazione, caratterizzata da tempi particolarmente brevi, in cui, tuttavia, il legislatore ha scelto di attribuire il governo dell’attività investigativa della polizia giudiziaria a precise direttive che devono essere impartita dal pubblico ministero. Difatti, l’iter da controllare si sviluppa “in movimento da luogo a luogo” e non sarebbe, per tale ragione, assoggettabile al controllo dell’autorità doganale che esercita le proprie funzioni di controllo in determinati luoghi ed in forma statica175. La norma attribuisce allo stesso pubblico ministero il compito di trasmettere le direttive impartite “all’autorità giudiziaria competente per il luogo in cui l’operazione deve concludersi, ovvero per il luogo attraverso il quale si prevede sia effettuato il transito in uscita dal territorio dello Stato”. Pur riferendosi la norma ad un dovere di comunicazione essa assume una portata particolarmente ampia che non potrà limitarsi ai “provvedimenti adottati”, ma dovrà bensì estendersi ad ogni altra notizia utile sull’operazione criminosa che consenta, a sua volta, all’autorità competente di impartire le necessarie direttive alla polizia giudiziaria del luogo di transito o di arrivo.
173Cfr. C. MOTTA, I poteri della polizia giudiziaria nel contrasto del traffico delle sostanze stupefacenti: consegne controllate, ritardo o omissione di atti e altre tecniche speciali di investigazione, in Profili sostanziali e processuali del traffico di stupefacenti. Le azioni simulate, Incontro di studi del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 14-16 marzo 2005, in www.csm.it
174 G. DI GENNARO – G. LA GRECA, La questione droga, cit., 310.