Le operazioni sotto copertura: uno sguardo oltre confine 1.1 I sistemi continentali
1.3 Una legislazione all’avanguardia: l’ordinamento Svizzero
La Svizzera è senza dubbio fra i paesi che sono approdati ad una legislazione che può essere considerata la vera e propria sintesi delle istanze di prassi e dottrina, perlomeno così come si sono sviluppate nel nostro paese. Nello Stato elvetico si è raggiunto un invidiabile livello di determinatezza legislativa, non solo per l’esistenza di una normativa specifica sulla materia, ma per le caratteristiche proprie di questa regolamentazione che ne fanno un modello di cui sarebbe auspicabile l’emulazione.
Il primo riferimento legislativo è contenuto nella legge Betàubugsmittelgesetz del 3 ottobre 1951, novellata dall’art. 23 della legge 20 marzo 1975, che disciplina, con modalità non dissimili dall’ordinamento italiano, l’attività del funzionario di polizia, il quale assuma le vesti di autore di un reato in materia di stupefacenti. La norma prevede una scriminante speciale per l’agente che “a scopo investigativo accetta in prima persona o attraverso altri un’offerta di stupefacenti ovvero riceve personalmente o attraverso un'altra persona delle sostanze stupefacenti”.
Successivamente, in seguito alla presentazione del messaggio del Consiglio federale del 1° luglio 1998, è stata emanata la legge federale sull’inchiesta mascherata del 20 giugno 2003. La legge de qua all’art. 1 chiarisce, innanzitutto, lo scopo dell’inchiesta mascherata, rivolta “ad infiltrare gli ambienti criminali con membri della polizia non riconoscibili come tali (agenti infiltrati) e a contribuire in tal modo al chiarimento di reati particolarmente gravi”.
L’art. 3 enuncia poi due princìpi generali governanti la disciplina che si caricano, inoltre, di un immediato valore pragmatico. Si prevede, da un lato, che “l’integrità e l’identità dell’agente infiltrato sono protette”, dall’altro che la forma e l’entità dei mezzi utilizzati a tal fine devono permettere di stabilire i fatti, preservando però, al contempo, il diritto delle persone interessate a un processo equo, e in particolare il diritto a una difesa efficace.
A tal fine sono predisposte una serie di prescrizioni a garanzia della legittimità dell’attività undercover. Posto all’art. 4 l’elenco dei gravi reati per i quali è possibile
attivare l’inchiesta mascherata, il disposto dell’art. 5 precisa quali possono essere i soggetti protagonisti dell’indagine. L’inchiesta potrà essere intrapresa sia da membri del corpo di polizia sia da persone assunte a titolo provvisorio al fine di svolgere un compito di polizia, anche se prive di formazione professionale specifica. Tale disposizione permette di risolvere le incertezze concernenti l’utilizzo di soggetti privati all’interno di attività sotto copertura, attraverso la loro assunzione temporanea per il tempo necessario all’esecuzione dell’operazione. Inoltre, si prevede espressamente la possibilità di assegnare a tali soggetti un’identità fittizia con la garanzia che la loro reale identità non sarà rivelata nemmeno nell’ambito di un procedimento giudiziario nel quale l’agente infiltrato compaia come persona informata sui fatti o come testimone, con la precisazione che, qualora lo stesso agente infiltrato avesse commesso un reato nel corso della sua attività, spetterà all’autorità giudiziaria decidere sotto quale identità si svolgerà il procedimento penale.
La legge federale sull’inchiesta mascherata del 20 giugno 2003 ha poi il notevole merito di risolvere normativamente due fra i più pressanti dubbi ermeneutici sorti nell’applicazione pratica di tale istituto nei vari paesi continentali: da un lato stabilisce con precisione i rapporti fra polizia giudiziaria e autorità giudiziaria, dall’altro lato detta un’apposita disciplina a seconda che l’attività undercover debba svolgersi all’interno di un procedimento penale già avviato, ovvero in presenza di un mero sospetto o il timore che possa essere compiuto un grave reato.
Per quanto concerne il primo aspetto, l’art. 7 chiarisce che la designazione di un agente infiltrato debba essere sottoposta ad approvazione giudiziaria, specificando che la stessa autorità deve pronunciarsi espressamente circa la possibilità di “allestire o alterare documenti per costituire o conservare un’identità fittizia“, “fare la promessa di riservatezza” dell’identità dell’agente e designare un infiltrato non appartenente al corpo di polizia. Siffatta autorizzazione deve essere motivata e non può avere durata superiore a un anno, prima della scadenza di tale termine il comando di polizia cui appartiene l’infiltrato deve redigere un rapporto sull’attività espletata e, laddove necessario, chiedere una proroga. La norma è tanto più apprezzabile in quanto non omette di disciplinare aspetti concreti che non poche difficoltà hanno creato nella prassi operativa. L’art. 9 infatti, dopo aver ricordato che “l’agente infiltrato ha diritto alla migliore protezione possibile in caso di pericolo per la vita o l’integrità”, si occupa di disciplinare l’aspetto economico dell’operazione. L’agente infiltrato deve svolgere
l’intervento attenendosi alle istruzioni e presentare periodicamente un rendiconto completo concernente attività e accertamenti, le autorità competenti emanano le disposizioni di servizio riguardanti l’inchiesta mascherata e, in particolare, disciplinano il risarcimento delle spese supplementari e l’indennizzo dei danni subiti nell’ambito dell’operazione dalle persone che vi partecipano o, per perdita di sostegno, dai loro familiari. La norma si chiude con la precisazione dell’illiceità di qualsiasi pattuizione volta ad accordare premi correlati ai risultati.
Al fine di creare un dovuto bilanciamento fra il necessario rapporto di subordinazione con l’autorità giudiziaria e le esigenze di sicurezza dell’agente infiltrato è stata istituita una nuova figura definita “persona di contatto”. Questi, per tutta la durata dell’intervento, istruisce l’agente infiltrato e mantiene il collegamento con l’autorità che ha ordinato l’inchiesta mascherata. La persona di contatto ha la facoltà di impartire indicazioni alla stregua di un superiore gerarchico e inoltre “istruisce in dettaglio l’agente infiltrato sul suo intervento, sulle sue attribuzioni e sull’utilizzazione dell’identità fittizia”. Lo stesso si occupa, inoltre, di dirigere e assistere l’agente infiltrato per tutta la durata dell’intervento.
Il successivo art. 10 della legge federale 20 giugno 2003 risolve legislativamente il problema del limite dell’attività dell’agente undercover, segnando così, pro futuro, la sparizione del vecchio modello di agente provocatore caratterizzato dall’ampiezza della propria condotta potenzialmente criminale e criminogena. La disposizione de qua, unitamente all’art. 4, segnano, di fatto, i limiti entro i quali va disposta un’indagine
undercover, sia per quanto attiene all’ambito oggettivo entro cui può essere disposta, sia
in relazione alla condotta dell’infiltrato stesso.
Così, l’inchiesta mascherata potrà essere ordinata solo se determinati fatti confermino il sospetto che siano stati commessi, o potrebbero verosimilmente essere commessi reati particolarmente gravi, ovvero – introducendo una sorta di principio di
ultima ratio dell’indagine mascherata – qualora le operazioni d’inchiesta precedenti
siano risultate infruttuose o le indagini risultassero altrimenti vane o sproporzionatamente ardue. Sotto il profilo soggettivo, inoltre, il legislatore elvetico ha voluto segnare il confine dell’apporto psichico e materiale che l’infiltrato possa avere nell’elaborazione del fatto antigiuridico. L’agente sotto copertura non deve risvegliare un’inclinazione latente a commettere un reato o a compiere un delitto più grave di quello previsto, ma deve limitarsi alla concretizzazione della già presente
determinazione a commettere il reato. Vale a dire che “l’attività dell’agente infiltrato deve incidere soltanto in misura secondaria sulla determinazione a commettere un reato concreto” (art. 10 c. 2). E’ poi precisato quali conseguenze vadano ricondotte all’eventuale attività dell’infiltrato che oltrepassi i suddetti limiti: l’ordinamento svizzero non si pone il problema nell’ottica della punizione dell’agente che abbia compiuto un illecito, ma si preoccupa di verificare se la sua attività deviante permetta ancora la punibilità del provocato. “Se l’agente infiltrato oltrepassa i limiti del comportamento ammissibile, il giudice ne tiene adeguatamente conto nella commisurazione della pena per la persona influenzata o prescinde dalla punizione” (art. 10 c. 4). Si tratta, indubbiamente, di una scelta legislativa perfettamente conforme ai dettati della Corte europea dei diritti dell’uomo330 in tema di equo processo, per cui l’operazione sotto copertura non deve costituire l’unica occasione di delinquere per un soggetto che – qualora anche avesse una latente tendenza al crimine – in assenza dell’occasione creata dalla polizia giudiziaria non avrebbe certamente commesso quello specifico reato ovvero reati della stessa indole.
Come detto, la legge federale sull’inchiesta mascherata del 20 giugno 2003, con una felice scelta normativa, distingue nettamente attività sotto copertura “preventiva” da azioni undercover finalizzate alla repressione dei reati. L’art. 12 precisa quale debba essere l’utilizzazione degli elementi emersi nel corso di un’inchiesta svoltasi al di fuori di un procedimento penale. Qualora il rapporto dell’agente infiltrato contenga accertamenti relativi a un crimine o a un delitto, il comando di polizia denuncia il caso all’autorità giudiziaria competente per il perseguimento penale. Allo scopo di evitare che l’inizio di un procedimento ufficiale possa compromettere l’indagine sotto copertura, “la denuncia può essere accompagnata dalla richiesta di rinunciare momentaneamente a qualsiasi operazione d’inchiesta riconoscibile come tale” (art. 12 c. 1), “se gli accertamenti sono indispensabili per l’assunzione delle prove, un rapporto di polizia ufficiale è integrato negli atti procedurali” (art. 12 c. 3). L’art. 13 chiarisce, di converso, in quali casi il comando di polizia debba porre fine all’intervento, e vengono nel dettaglio enunciate tre ipotesi in cui, per diverse ragioni, non è più utile o conveniente protrarre l’inchiesta mascherata. Oltre al caso in cui non appare ipotizzabile, entro un termine ragionevole, l’intervento nell’ambito di un procedimento penale, l’indagine undercover va interrotta senza ritardo qualora “i rischi o il dispendio
dell’interevento siano sproporzionati rispetto all’esito atteso, ovvero l’agente infiltrato non si attiene alle istruzioni, informa scientemente in modo falso la persona di contatto o non rispetta gli obblighi in qualsivoglia altra maniera” (art. 13 c. 1).
Il secondo comma dell’art. 13 detta una serie di prescrizioni inderogabili circa lo “smantellamento” di tutta l’organizzazione sotto copertura. Spetterà alla persona di contatto impartire le necessarie istruzioni per la fine dell’intervento così da non esporre a un pericolo evitabile né l’agente infiltrato, né i terzi coinvolti nell’inchiesta. Inoltre, non appena l’identità fittizia non sarà più necessaria, “il comando di polizia ripone in modo sicuro i documenti che hanno permesso di certificarla” e “provvede se del caso a fornire un’assistenza adeguata all’agente infiltrato esonerato dalle sue funzioni. Ciò vale anche per i terzi coinvolti nell’inchiesta”.
La seconda Sezione della legge federale sull’inchiesta mascherata del 20 giugno 2003, è intitolata “Intervento nell’ambito di un procedimento penale”, dopo una serie di disposizioni che precisano, nel dettaglio, i doveri di informativa della polizia giudiziaria e l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente, la norma si occupa delle informazioni al soggetto coinvolto nell’inchiesta mascherata e delle misure di protezione processuale dell’infiltrato.
Secondo il disposto dell’art. 22, “l’autorità che ha ordinato l’inchiesta mascherata informa l’imputato, al più tardi prima della fine dell’istruttoria o dopo la decisione di non doversi procedere, che nei suoi confronti è stata svolta un’inchiesta mascherata”. Qualora le informazioni non siano utilizzate a scopo probatorio, l’autorità giudiziaria può eccezionalmente differire la comunicazione o rinunciarvi se sussiste il pericolo di un grave pregiudizio per l’agente infiltrato o espone a serio pericolo terze persone, o ancora se è indispensabile a tutela d’interessi pubblici preponderanti, segnatamente per la sicurezza interna o esterna o per la lotta al crimine organizzato. Infine, sarà possibile differire la comunicazione quando l’imputato è irreperibile, ovvero sono da temere gravi pregiudizi per un procedimento penale in corso.
Infine, l’art 23 prescrive le modalità attraverso cui verranno garantite misure di protezione dell’identità dell’infiltrato anche una volta terminato l’intervento. Si stabilisce che, laddove sottoposto a tali misure, le sue generalità non vengano rivelate neppure durante il procedimento giudiziario e non figurino negli atti processuali. Se necessario il giudice competente domanda informazioni sull’identità dell’agente infiltrato e accerta se questi ha partecipato al procedimento, a tale scopo può lui stesso
interrogarlo. Se l’interrogatorio si rende necessario, l’autorità prende le misure di protezione indispensabili per mantenere la “promessa di riservatezza”, queste possono andare dall’alterazione dell’aspetto e della voce, all’audizione in luogo separato o a porte chiuse, o ancora consistere nell’esclusione della partecipazione degli imputati se il confronto dovesse costituire una minaccia considerevole per l’infiltrato.
Da questa breve disamina delle principali norme introdotte nell’ordinamento elvetico con la riforma delle indagini sotto copertura, emerge come le stesse rispondano con prontezza alle esigenze di garanzia ed equità processuale nonché alla necessità di assicurare l’incolumità dei soggetti coinvolti. Pur essendo necessario attendere quale sarà l’impatto fattuale di queste modifiche, e in particolare se si sia raggiunto un punto di sintesi fra le esigenze di repressione di gravi reati concernenti il crimine organizzato e la necessità di tutelare la società dal rischio di attività investigativa potenzialmente criminogena, non può non apprezzarsi il tentativo del legislatore elvetico.
Da ciò una riflessione: se si considera lo scarso, e lacunoso, apporto normativo dato nel nostro paese dal c.d. “statuto delle operazioni sotto copertura”, appare quanto mai difficile ipotizzare che la polizia svizzera accetti di collaborare a un’inchiesta transfrontaliera con l’Italia, in ragione delle scarse garanzie che avrebbero nell’operare nel nostro territorio. Tale valutazione rende ancor più necessaria l’adozione di una normativa europea comune che possa essere poi utilizzata come modello degli accordi bilaterali con gli Stati non comunitari. Ci si vuole riferire, tuttavia, non ad una disciplina che preveda astrattamente la possibilità di intraprendere le operazioni sotto copertura, regolate poi nel dettaglio dalle specifiche leggi dello Stato in cui l’operazione materialmente si svolge, ma un’unica normativa di carattere processuale e sostanziale che permetta di creare uno spazio comune di repressione della criminalità organizzata in cui agenti di polizia dei diversi paesi possono operare con la garanzia di una regolamentazione uniforme.
2. Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di assistenza