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2.2 – La valutazione delle sofferenze bancarie

Nell’attuale fase di congiuntura economica sfavorevole l’attività di recupero dei crediti d’impresa ha assunto un’importanza fondamentale. Oggi, tale attività deve infatti rispondere come non mai a criteri di professionalità, efficienza e tempestività. Valutare i NPL significa stimare il valore di recupero del credito in funzione di una serie di elementi oggettivi quantificabili come la strategia di risoluzione adottata, le garanzie rilasciate e il debito scaduto ed esigibile dalla banca che è maturato complessivamente, sia in conto capitale che come interessi. La valutazione complessiva dei prestiti di una banca, seppur complessa e difficoltosa, risulta indubbiamente utile nella misura in cui

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può condurre, considerando le diverse interrelazioni tra di essi, ad un migliore apprezzamento della rischiosità e dell’effettivo rendimento del singolo credito.

Quando un credito diventa deteriorato, a seconda di quante siano le probabilità di recupero di quel credito, la banca deve effettuare maggiori o minori rettifiche. Così nasce il cosiddetto tasso di copertura: si tratta del rapporto tra le rettifiche di valore e il valore lordo del credito deteriorato. Un tasso di copertura elevato indica un atteggiamento prudente della banca perché serve a ridurre la propria esposizione, incassando subito le perdite su quel credito; invece un tasso di copertura più basso significa aumentare i rischi potenziali.

Gli istituti vendono le sofferenze ad alcune società, le quali partecipano con i capitali dei fondi specializzati interessati a questo business crescente. A prescindere dalla tipologia di società, l’acquisto di crediti deteriorati porta con sé una necessità intrinseca di poter valutare i pacchetti NPL, i rischi di ogni posizione e il loro valore complessivo. E’ in questo ambito che si inseriscono i professionisti del settore con competenze in ambito investigativo e di recupero crediti che svolgono operazioni complesse di due diligence. Infatti in questo scenario diventano fondamentali professionisti con competenze tecnico-giuridiche e strumenti pensati ad hoc per analizzare in modo completo i diversi elementi legati alla recuperabilità di ogni credito e tenere conto della diversificazione di un portafoglio.

2.2.1 - Regole per la valutazione di bilancio

Quando il credito entra in sofferenza il creditore deve effettuare valutazioni anche non semplici sulla procedura più conveniente da adottare per recuperarlo. Gli elementi oggettivi da considerare sono: l’ammontare del credito (Gross Book Value, GBV), le forme di garanzia che devono essere identificate attraverso verifiche documentali ed empiriche, il tipo di procedura e la fase legale.

La Nota di Vigilanza N.3 di Aprile 2016, pubblicata dalla Banca d’Italia, analizza il tema della valutazione dei crediti deteriorati ed offre alcuni spunti utili di riflessione sul tema. I crediti esposti nei bilanci della banche sono contabilizzati, in base a delle regole fissate a livello internazionale (i principi contabili internazionali IAS-IFRS) e valutano in bilancio i crediti secondo il criterio del costo ammortizzato, che prevede l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri stimati lungo la vita attesa del credito.

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L’attualizzazione tiene conto del valore temporale del denaro; gli IAS impongono che a tal fine sia utilizzato il tasso d’interesse effettivo originario, i, del credito stesso. Quindi il valore di un prestito al lordo delle rettifiche di valore, GBV, è uguale a:

𝐺𝐵𝑉 = 𝑓𝑡

(1 + 𝑖)𝑡 𝑛

𝑡=1

dove f sono i flussi di cassa attesi. Questo metodo vale anche per determinare il valore netto dei crediti deteriorati.

“Quando il debitore (ad esempio un’impresa) incontra difficoltà nel rimborsare il prestito, la banca deve valutare:

a) la probabilità di non riuscire a recuperare l’intero importo, comprensivo degli interessi pattuiti, nei tempi stabiliti;

b) l’ammontare effettivamente recuperabile, sul quale gioca un ruolo determinante il ruolo delle garanzie;

c) i tempi, generalmente diversi da quelli stabiliti contrattualmente, nei quali avverrà il recupero” (Banca d’Italia, 2016).

Tale valutazione implica una nuova stima dei flussi di cassa attesi, 𝑓′, che di norma si traduce in una “rettifica di valore” (un abbattimento del valore della posizione) da appostare nel conto economico dell’anno. Nel determinare i nuovi 𝑓′ le banche devono tenere conto anche dei costi “diretti” della gestione dei NPL, connessi ad esempio con l’appropriazione e la vendita delle garanzie medesime. Non considerano invece i costi “indiretti”, in quanto essi riflettono in larga misura il costo del personale, o le commissioni di gestione corrisposte a un gestore esterno (servicer), costi che vengono registrati nel conto economico dell’anno cui si riferiscono. Pertanto il valore di un NPL al netto delle rettifiche di valore (Net Book Value, NBV) è uguale a:

𝑁𝐵𝑉 = 𝑓′𝑡′ (1 + 𝑖)𝑡′ 𝑛

𝑡=1

Dove:

𝑓′ = nuovo flusso di cassa, rivisto al ribasso alla luce della mutata condizione finanziaria dell’impresa

𝑛 = nuovo tempo di incasso, rivisto al rialzo tenendo conto, tra l’altro, della durata prevista delle procedure esecutive per il realizzo delle garanzie.

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La rettifica di valore è dunque la differenza tra GBV e NBV:

R = GBV-NBV

Con il passare del tempo, secondo Banca d’Italia e quanto pubblicato nelle Note di Vigilanza N.3, è possibile che la posizione:

torni in bonis e in quel caso la banca scriverà in bilancio una ripresa di valore pari a R,

 si deteriori ulteriormente e quindi la banca dovrà effettuare ulteriori rettifiche di valore.

In ogni periodo la differenza tra GBV e NBV è data dalla cumulata delle rettifiche (e delle eventuali riprese di valore) effettuate nel corso del tempo. Il tasso di copertura (coverage ratio) è dato dal rapporto tra la consistenza delle rettifiche di valore e l’ammontare lordo delle posizioni deteriorate.

Per sapere se i crediti deteriorati sono valutati correttamente nei bilanci bancari o nascondono delle perdite la Banca d’Italia effettua circa cento ispezioni all’anno a fini di vigilanza (quelle di propria competenza) sulle banche meno significative, richiedendo quando necessario modifiche nella valutazione dei crediti deteriorati. Per rispondere alla domanda a livello dell’intero sistema bancario si possono usare i tassi di recupero sui crediti deteriorati, ossia il valore che le banche riescono a recuperare da questi attivi. L’evidenza disponibile, relativa alle posizioni in sofferenza indica che i tassi di recupero sono sostanzialmente in linea con il valore di bilancio.

Proprio ai fini di una migliore gestione dei processi delle partite anomale, in particolare le sofferenze, Banca d’Italia attraverso la Comunicazione del 29 marzo 2016 ha pubblicato la “Nuova segnalazione delle esposizioni in sofferenza”. Ha dunque acquisito grande rilievo la disponibilità di dati di dettaglio sulle esposizioni in sofferenza, sulle eventuali garanzie reali o di altro tipo che ne attenuano il rischio di credito e sullo stato delle procedure di recupero. La struttura della rilevazione è stata disegnata con tre livelli di informazioni:

 singola linea di credito: raccoglie tutte le informazioni più rilevanti a livello di singola linea di credito, quali, ad esempio, l’anzianità del rapporto, la durata, il numero e la tipologia di garanzie che assistono la linea;

 singola garanzia reale: raggruppa le informazioni più significative per ogni singola garanzia reale che assiste ciascuna linea di credito, quali la tipologia, la

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localizzazione geografica, la valutazione più recente, la metodologia utilizzata (es. riferimento a transazioni di mercato comparabili o a modelli di stima) e la data dell’ultima valutazione, il grado del privilegio (es. ipoteca di primo o di grado superiore), lo stato della procedura di recupero;

 singola garanzia non reale: raccoglie le informazioni rilevanti sulle garanzie personali che assistono la linea di credito, quali il tipo di garante (es.: banca, Confidi, persona fisica), il suo status (soggetto non deteriorato o deteriorato), l’ammontare garantito.

Le prime due rilevazioni hanno avuto periodicità annuale ed erano riferite alle situazioni al 31 dicembre 2015 e al 31 dicembre 2016; a partire da giugno 2017 la periodicità è semestrale. La segnalazione va inviata dalle capogruppo di gruppi bancari italiani, con riferimento a tutte le imprese bancarie e finanziarie appartenenti al medesimo gruppo, e dalle singole banche non facenti parte di gruppi bancari.

Le informazioni richieste, compilate secondo le istruzioni fornite in questo documento e nel manuale a essa allegato, sono trasmesse alla Banca d’Italia tramite la piattaforma “INFOSTAT” con la documentazione tecnico operativa (schemi segnaletici e sistema delle codifiche). Questa iniziativa mira a indurre le banche a migliorare la base informativa, condizione indispensabile per una efficace gestione e per una più agevole cessione delle sofferenze.

E’ fondamentale ricordare come il valore di una posizione in sofferenza può essere diverso in funzione del tempo di recupero, sia in termini di valore contabile che soprattutto di prezzo di mercato. Su tale tempo incidono vari fattori, tra cui l’efficacia delle procedure interne della banca e l’efficienza delle norme e dell’ordinamento giudiziario di un determinato Paese. A causa di quest’ultimo fattore, la valorizzazione può cambiare in modo rilevante anche all’interno dello stesso Paese, in funzione della rapidità con cui i diversi Tribunali riescono a smaltire le procedure di recupero. “Secondo i dati del Ministero della Giustizia, a fine 2015 la durata media delle esecuzioni immobiliari era pari a 2 anni nel distretto di Trieste e 8,2 nel distretto di Messina. Per le procedure fallimentari si va da un numero di 4,8 anni nel distretto di Trento a 15,4 nel distretto di Messina” (Panetta, 2017).

La figura 2.2 riporta un’analisi di sensitività del valore della sofferenza rispetto all’orizzonte temporale di recupero dei flussi di cassa, in particolare, sono stati riportati i prezzi a cui gli investitori sarebbero disposti ad acquistare la sofferenza in funzione di diversi tempi di recupero, ipotizzando un tasso interno di rendimento (IRR) obiettivo

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del 20%. Si può notare come l’accorciamento anche di un solo anno dei tempi di recupero, da 4 a 3 anni, accrescerebbe il prezzo di 4,6 punti percentuali del GBV.

Figura 2.2. Prezzo delle sofferenze: sensitività rispetto ai tempi di recupero (in percentuale del GBV e ipotizzando un IRR del 20%)

Fonte: Banca d’Italia

I tempi di recupero influiscono non solo sulla valorizzazione delle sofferenze e più in generale dei NPL, ma anche sulle consistenze in bilancio. In particolare, quanto più lungo è tale tempo, tanto più alto è il rapporto di equilibrio tra sofferenze e impieghi. Recenti stime evidenziano che due sistemi bancari caratterizzati dallo stesso tasso di crescita degli impieghi e dallo stesso tasso d’ingresso in sofferenza (ipotizzando pari al 5% il primo e al 2% il secondo), ma con differenti tempi di recupero delle sofferenze (2 e 5 anni rispettivamente), in equilibrio presenterebbero un’incidenza delle sofferenze pari, rispettivamente, al 3,5% e 7,4% del totale dei crediti.

2.2.2 – Il problema del prezzo di vendita e le determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze

Per le banche italiane il problema dei crediti deteriorati non è solo legato all’ammontare enorme che grava nei loro bilanci, ma anche al valore stesso dei crediti. In un Paese in cui il sistema giudiziario è lento recuperare i prestiti andati a male diventa più lungo e più incerto rispetto ad altri Paesi. Questo ha come effetto una maggiore svalutazione dei crediti deteriorati in Italia rispetto all’estero.

Il tema della valutazione delle sofferenze è piuttosto complesso in quanto gli investitori interessati ad acquistare crediti in sofferenza (operatori specializzati) offrono prezzi molto bassi. Secondo il governatore di Banca d’Italia negli ultimi 10 anni le banche hanno recuperato circa il 43% dei crediti in sofferenza, quindi su 100 euro di prestiti

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finiti in sofferenza, le banche sono riuscite a recuperare 43 euro e hanno perso 57 euro. Considerando che questi crediti nei bilanci sono già svalutati intorno a queste percentuali, le banche non dovrebbero perdere ulteriormente. Però i fondi specializzati pretendono di comprare sofferenze in Italia a un prezzo che non va oltre il 20% del valore originario dei crediti. Chiedono insomma alle banche di perdere altri soldi, per comprare i crediti a un valore che è pari alla metà di quello ragionevole di recupero. Il 20% non sembra essere un prezzo casuale, bensì deriva dal fatto che questi fondi considerano tre elementi: il recupero atteso dalle sofferenze, il tempo necessario per recuperare e il costo da sopportare per farlo. Il calcolo dei fondi specializzati è questo. Supponendo che dai crediti in sofferenza alla fine si recuperi effettivamente 43 euro su 100, il primo problema è che recuperare 43 euro in 8 anni non è come recuperare 43 euro in due anni: dato che in Italia i tempi sono lenti, il prezzo delle sofferenze si svaluta. A questo punto bisogna considerare, per determinare il valore di acquisto, i costi per recuperare i crediti: i fondi che li comprano devono infatti assumere avvocati e professionisti che vadano a lavorare ogni singolo prestito e tutto questo ha un costo. Ecco dunque che i crediti si svalutano ulteriormente. Infine i fondi vogliono anche guadagnarci, mediamente tra il 10-15% l’anno, e per poter realizzare questi ritorni, considerando i tempi e i costi, devono per forza comprare a 20 euro qualcosa che (prima o poi) permetterà di incassare 43 euro. Questo è il ragionamento del mercato.

Quindi se ci chiediamo se possa esistere un prezzo “economico reale”, diverso dal prezzo di mercato, si deve supporre che un fondo di sistema voglia realizzare un rendimento inferiore al 10-15%, per esempio l’8%, in modo tale da far salire il valore delle sofferenze dal 20% al 22% in un tempo di 4 anni.

Quello che chiaramente emerge è che le banche difficilmente potranno vendere i crediti in sofferenza al valore attuale di bilancio, anche perché in Italia ci sono così tanti problemi che il valore dei crediti necessariamente scende. Il primo è la lentezza della giustizia, il secondo è l’inefficienza delle banche nel gestire questi crediti ed infine il problema immobiliare ovvero legato alla svalutazione degli immobili.

Mediobanca ha tracciato una tabella con i possibili impatti sulle principali banche italiane, a seconda del taglio effettuato sul valore delle sofferenze. Se verranno cedute al 20% del prezzo originario, scenario più cupo per gli istituti, il contraccolpo potenziale andrebbe dai 9,4 miliardi di Unicredit ai 319 milioni della Banca Popolare di Sondrio. Nell'intero sistema, un taglio del valore al 25% significa 37 miliardi di perdite potenziali.

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Figura 2.3. L’ipotesi di impatto sui bilanci delle principali banche di una vendita delle sofferenze al 20% o al 30% del nominale.

Fonte: R&S Mediobanca

E' ovviamente uno scenario ipotetico anche perchè il processo sarà molto lento e con esso anche gli effetti sui bilanci bancari. Inoltre ci sono varie tipologie di sofferenze sul mercato, che richiederanno valutazioni specifiche e differenziate.

Ciavoliello et al. (2016) hanno effettuato un’analisi sulle principali determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze. Quello che anche precedentemente è stato spiegato è che il valore di bilancio (Net Book Value, NBV) delle sofferenze è significativamente superiore a quello che gli investitori attivi in questo mercato sono disposti a pagare. I prestiti ceduti sul mercato sono molto eterogenei per tipologia, garanzie e grado di svalutazione infatti si sono registrati casi in cui il valore di cessione ha superato il 45% del Gross Book Value, (per posizioni assistite da garanzie di elevato valore come gli immobili residenziali di pregio), altri in cui è risultato appena al 3% del GBV (per posizioni non garantite). Non è dunque possibile, per il momento, individuare un valore medio. Da questa ricerca hanno cercato di fare pur non avendo accesso alle metodologie valutative degli investitori un’analisi di alcuni fattori in grado di generare differenze tra i prezzi di mercato e i valori di bilancio delle banche che verranno illustrati a breve. Hanno preso per ipotesi un’esposizione creditizia classificata a sofferenza con GBV pari a €100, parzialmente assistita da una

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garanzia reale in cui la stima dei flussi di cassa attesi della banca coincide con quella degli investitori attivi sul mercato e prevede un solo flusso in entrata di valore atteso pari al 47% del valore lordo del credito (già al netto dei costi diretti di vendita della garanzia), da incassare interamente al completamento delle procedure di recupero. Inoltre hanno ipotizzato che la durata residua attesa del recupero è di 4 anni. Queste ipotesi si traducono in una valutazione della posizione dal punto di vista della banca e a tal fine, occorre un’ulteriore ipotesi sul tasso di rendimento effettivo originario dell’esposizione che le banche devono usare per attualizzare i flussi di cassa attesi. Tale valore viene fissato al 4%, la media riscontrata nell’esercizio di revisione della qualità degli attivi (Asset Quality Review, AQR) del 2014.

In base a questi dati, la banca iscrive in bilancio un valore netto della posizione pari al 40% del GBV, con un tasso di copertura del 60% (vedi figura sottostante).

Figura 2.4. Metodi di valorizzazione delle sofferenze:principali differenze tra banche e investitori

Fonte: Banca d’Italia

Considerando i “fattori in grado di generare differenze tra i prezzi di mercato e i valori di bilancio delle banche”, precedentemente citati, essi derivano dal punto di vista degli investitori di mercato, i quali:

1. deducono dal prezzo offerto tutti i costi indiretti di gestione (oneri amministrativi e commissioni da corrispondere al servicer prescelto) che dovranno sopportare durante i quattro anni necessari al recupero dei flussi di cassa (le banche invece sostengono e contabilizzano questi costi annualmente, sino alla chiusura della posizione);

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2. mirano a ottenere un rendimento (Internal Rate Of Return, IRR) molto più elevato del tasso di attualizzazione usato dalle banche ai fini contabili. L’elevato IRR è dovuto a numerosi fattori. In primo luogo, la struttura del passivo che è rappresentata esclusivamente o quasi da capitale di rischio. In secondo luogo, anche a parità di valutazione dei flussi di cassa attesi, gli investitori sono avversi al rischio e richiedono un premio tanto più ampio quanto maggiore è la dispersione dei recuperi possibili attorno al valore medio. In terzo luogo, il rendimento atteso richiesto dagli investitori tiene conto anche delle commissioni di performance applicate dai gestori dei fondi, il cui importo può arrivare al 20% degli utili netti. Possono, infine, esistere genuine differenze di valutazione dei flussi di cassa futuri, dovute alle asimmetrie informative presenti sul mercato del credito.

Questi due fattori hanno un effetto determinante sui prezzi, nello specifico:

1. effetto dei costi indiretti di gestione - secondo questo studio non ci sono statistiche pubbliche affidabili sui costi indiretti di gestione delle sofferenze ma alcune evidenze indicano che tali costi possano incidere per un ammontare pari al 6% dei flussi di cassa nominali attesi. La figura 2.4, colonna (2), riporta la valutazione di una banca che, contravvenendo ai principi contabili, include anche questi costi, mantenendo invariate le altre determinanti illustrate nella colonna (1). Il valore attuale della sofferenza in questo caso è pari al 37% del GBV, circa 3 punti percentuali inferiore rispetto al caso della colonna (1). Sarebbe di conseguenza necessario un pari aumento delle rettifiche;

2. effetto del tasso di rendimento - è stato ipotizzato che l’IRR richiesto dagli investitori per l’acquisto delle sofferenze sia compreso tra il 15% e il 25%. I risultati, riportati nelle colonne (3) e (4) della figura 2.4, evidenziano che l’effetto sulla valorizzazione delle sofferenze è particolarmente significativo, variando tra 13 e 21 punti percentuali del GBV, a seconda dell’IRR considerato;

3. effetto complessivo - nel complesso, tenendo conto di entrambi i fattori (costi indiretti e IRR), il diverso approccio seguito dagli investitori giustificherebbe una dimensione del differenziale di prezzo rispetto al NBV che può variare da 16 a oltre 24 punti percentuali del GBV, cui corrisponde un prezzo di acquisto da parte dell’investitore compreso tra il 24,1% e il 16,4% del GBV.

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Queste evidenze suggeriscono che le principali ragioni alla base del differenziale di prezzo nel mercato delle sofferenze sono riconducibili ai diversi criteri di stima impiegati a fini di bilancio rispetto a quelli utilizzati dagli investitori per la determinazione dei prezzi di acquisto, piuttosto che alla presenza di livelli di copertura inadeguati.