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Concorrenza e sofferenze nel sistema bancario italiano: un'analisi empirica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

“Concorrenza e sofferenze nel sistema bancario italiano: un’analisi empirica”

Relatore: Candidato:

Prof.ssa Caterina Giannetti Giovanna Tesauro

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“L'economia politica è la scienza dell'amor per la patria” (Camillo di Cavour)

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INDICE

Pag.

INTRODUZIONE

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CAPITOLO 1 – ANALISI DELLE DETERMINANTI DELLE

SOFFERENZE BANCARIE

1.1 – Classificazione dei crediti deteriorati e la definizione delle sofferenze bancarie 8

1.1.1 – Aspetti principali 13

1.1.2 – Come si apre una sofferenza bancaria? 14

1.1.3 – Le conseguenze della sofferenza bancaria 16

1.1.4 – Come si può cancellare la sofferenza bancaria? 16

1.2 – Le principali cause del deterioramento del credito bancario e analisi delle variabili che impattano sui Non Performing Loans 17

1.3 – Analisi della concorrenza nei servizi bancari 25

1.4 – Gli effetti del peggioramento della qualità dei crediti per le banche 26

1.5 – La situazione attuale in Italia 29

1.5.1 – La distribuzione nel territorio 34

1.5.2 – L’impatto sulle banche 35

1.5.3 – La struttura del sistema bancario 36

1.5.4 – Quanto pesano? 40

CAPITOLO 2 – LA VALUTAZIONE E LA GESTIONE DELLE

SOFFERENZE BANCARIE

2.1 – I rischi relativi alla concessione del credito 44

2.1.1 – Il rischio di credito e la sua mitigazione 45

2.1.2 – L’affidamento alla clientela 47

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2.1.4 – Prevenire il deterioramento del portafoglio crediti 55

2.2 – La valutazione delle sofferenze bancarie 58

2.2.1 – Regole per la valutazione di bilancio 59

2.2.2 – Il problema del prezzo di vendita e le determinanti della differenza tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze 63

2.3 – Il tasso di recupero 68

2.4 – La gestione delle sofferenze bancarie 74

2.4.1 – Linee guida per la gestione 76

2.5 – La gestione dei crediti deteriorati: un’indagine presso le maggiori banche italiane 82

CAPITOLO 3 – ANALISI DELLE SOFFERENZE BANCARIE DAL

2009 AL 2016 NELLE PROVINCE ITALIANE

3.1 – Descrizione dei dati 89

3.2 – I modelli econometrici 91

3.2.1 – Il modello di regressione con effetti fissi 92

3.2.2 – Il modello di regressione con effetti casuali 95

3.2.3 – Hausman Test 97 3.3 – Risultati 97

CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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APPENDICE

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INTRODUZIONE

In questo lavoro viene trattato il tema delle sofferenze bancarie, un tema sicuramente attuale e che preoccupa sempre di più le banche italiane. Infatti nella classifica europea della percentuale dei crediti deteriorati sul totale dei crediti stilata dall’European Banking Authority (EBA) l’Italia è quinta.

Nel primo capitolo, dopo aver spiegato cosa sono i crediti deteriorati o Non Performing Loans (NPL), ovvero i crediti che le banche hanno concesso ad imprese e famiglie che non sono stati rimborsati o hanno subito notevoli ritardi, l’attenzione è ricaduta in particolar modo sulla descrizione delle sofferenze bancarie. Queste ultime sono i crediti deteriorati più rilevanti in quanto sono di più difficile recupero. Nell’attività bancaria i prestiti rappresentano storicamente l’attività principale della banca e sono il veicolo mediante il quale si realizza il contributo dell’intermediazione bancaria e l’allocazione efficiente delle risorse. In Italia, in particolare, i prestiti bancari costituiscono la più importante e principale fonte di copertura del fabbisogno finanziario esterno delle imprese.

Banca d’Italia ha definito le sofferenze bancarie come quelle esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili. Per le banche italiane il problema non è solo legato all’ammontare enorme che grava nei bilanci, ma anche al valore stesso dei crediti deteriorati e alla loro gestione, temi trattati nel secondo capitolo.

In merito alla valutazione, quando un credito diventa deteriorato la banca deve stimare il valore di recupero effettuando delle rettifiche tenendo conto di una serie di elementi oggettivi come la strategia di risoluzione adottata, le garanzie rilasciate e il debito scaduto ed esigibile che è maturato complessivamente. Il valore di una posizione in sofferenza può dipendere dal tempo di recupero e su tale tempo incidono vari fattori tra cui: l’efficacia delle procedure interne della banca e l’efficienza delle norme e dell’ordinamento giudiziario di un determinato Paese. Anche la gestione rappresenta un tema delicato, in quanto non è semplice da applicare e coinvolge molte aree di operatività, conoscenze specialistiche, competenze organizzative e tecnologiche. Sebbene la Banca Centrale Europea (BCE) abbia introdotto le “Linee guida sulla gestione dei crediti deteriorati” non esiste ancora una tecnica di gestione che possa essere ideale per ogni banca. Proprio perché non esiste una soluzione univoca,

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l’obiettivo delle banche è quello di adottare una politica consapevole e attiva di gestione dei crediti deteriorati, supportata da solide analisi quantitative, che tenga conto del contesto aziendale e dei vantaggi e degli svantaggi tra le possibili alternative.

Le banche sono fondamentali per la crescita economica del Paese ma sicuramente la localizzazione delle sedi, la dimensione e la connessione con il territorio circostante sono tutti elementi che giocano un ruolo sul mercato del credito. Per questo motivo, il tema della concorrenza, già affrontato in letteratura, ha un ruolo chiave nel determinare la maggiore o minore assunzione del rischio da parte delle banche. E’ proprio partendo dai dati delle sofferenze bancarie registrate nelle province italiane da parte delle società non finanziarie che prende vita il terzo capitolo. Quest’ultimo si basa sull’analisi delle sofferenze bancarie dal 2009 al 2016 al variare dell’andamento dell’economia, in questo studio rappresentata dal PIL pro capite provinciale, e della concorrenza, determinata dal numero di banche presente in ogni provincia. L’approccio utilizzato si basa su due modelli econometrici: il modello con effetti fissi e il modello con effetti casuali. Il primo analizza l’andamento della variabile dipendente considerando le variabili indipendenti e gli effetti inosservati (unobserved factors) che variano tra le unità ma sono fissi nel tempo, il secondo, invece, considera gli effetti inosservati casuali.

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CAPITOLO 1 – ANALISI DELLE DETERMINANTI DELLE

SOFFERENZE BANCARIE

1.1 – Classificazione dei crediti deteriorati e definizione delle

sofferenze bancarie

I crediti deteriorati delle banche, conosciuti anche come Non Performing Loans (NPL), sono esposizioni verso soggetti che, a causa di un peggioramento della loro situazione economica e finanziaria, non sono in grado di adempiere in tutto o in parte alle proprie obbligazioni contrattuali.

Il mercato dei Non Performing Loans è continuamente al centro dell’attenzione del settore finanziario italiano ed europeo. Il Sole 24 Ore ha pubblicato, il 3 Febbraio 2017, la classifica europea delle sofferenze stilata dall’EBA sulla base dei rischi e delle vulnerabilità del sistema bancario continentale. Al primo posto c’è l’Italia con 276 miliardi di NPL totali con la Francia che segue, se pur a lunga distanza, con 148,4 miliardi e la Spagna con 141,2 miliardi; a seguire troviamo la Grecia (115,1 mld), il Regno Unito (90,6 mld), la Germania (67,7 mld) e i Paesi Bassi (44,6 mld). I paesi più virtuosi sono quelli del nord come Norvegia e Finlandia o dell’est (Slovenia e Romania).

Figura 1.1. La mappa delle sofferenze europee pubblicata su Il Sole 24 Ore.

Fonte: EBA

La differenza sostanziale sulla completa valutazione della qualità del sistema è data dalla relazione con un ulteriore valore, detto NPL ratio, che rappresenta la percentuale

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di crediti deteriorati sul totale dei crediti concessi. In questa seconda classifica l’Italia migliora la sua posizione anche se non di tanto, il valore si attesta infatti al 16,4%, quinto a livello europeo, dopo i record al negativo di Cipro (47,4%), Grecia (46,9%), Portogallo (19,7%) e Slovenia (19,2%). Si può notare che un paese come la Slovenia si trova tra le ultime posizioni nella classifica del valore monetario di NPL mentre è addirittura quarta nella seconda, relativa alla percentuale sul totale. Norvegia e Finlandia invece, confermano la qualità del sistema bancario anche in questo ranking, rispettivamente al 1,7% e 1,5%. Al top di questa seconda classifica troviamo ancora un paese scandinavo con la Svezia che ha una percentuale di crediti deteriorati sul totale di appena l’1%.

Dal punto di vista della composizione dei crediti ci sono poi alcune differenze a seconda del paese analizzato: la Francia per esempio vede tra i soggetti debitori in vantaggio se pur di poco le famiglie, di pari passo con le società non finanziarie; al contrario in Italia la percentuale maggiore, quasi il 75%, fa riferimento ad imprese non finanziarie. Sulla stessa linea di distribuzione dei soggetti debitori dell’Italia sono anche la Spagna e la Germania che riscontra una percentuale più alta, in relazione agli altri paesi, di “altre società finanziarie” diverse dagli istituti di credito; sulla stessa suddivisione della Francia troviamo invece la Polonia con un 54% dei crediti relativi al comparto “famiglie”.

Il problema dei crediti deteriorati delle banche italiane è sicuramente un tema attuale sempre più serio che deve essere attentamente inquadrato, affrontato e gestito ma che ancora non è ritenuto un'emergenza per l'intero sistema bancario. La profonda e prolungata recessione che ha colpito l’economia italiana e la lunghezza delle procedure di recupero dei crediti hanno concorso a determinare un elevato livello di questa tipologia di crediti. Più nello specifico, la doppia recessione che ha colpito il nostro Paese ha inciso pesantemente sui bilanci delle banche italiane e in particolare sulla qualità dei loro prestiti. Secondo Accornero et al. (2017) la crisi ha avuto due differenti fasi ed il sistema bancario italiano ha retto relativamente bene alla recessione del 2008-09, causata dal collasso dei mutui subprime statunitensi e dalla crisi dei relativi prodotti di finanza strutturata, anche se il peggioramento della situazione economica e finanziaria della clientela aveva comportato un significativo aumento del tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e della loro consistenza nei bilanci delle banche. La seconda fase invece è iniziata nella seconda metà del 2011 con la crisi del debito sovrano italiano e con la nuova recessione la capacità della clientela di ripagare il debito

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si è ulteriormente ridotta, causando un nuovo aumento del tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e una ulteriore crescita della loro consistenza.

È interessante osservare che la relazione negativa tra i crediti deteriorati e la crescita del credito è principalmente dovuta a variazioni nelle condizioni economico-finanziarie delle imprese e alla contrazione nella loro domanda di credito. Proprio lo stretto legame con l’andamento dell’economia conferisce sempre più importanza a questo tema ed un elevato stock di crediti deteriorati tende ad avere conseguenze negative per le singole banche, sotto forma di compressione degli utili e minore capacità di raccogliere nuove risorse sul mercato, ma anche all’intero sistema bancario causando malfunzionamenti nel meccanismo di allocazione del credito. In realtà secondo Accornero et al. (2017) non sarebbe lo stock di Non Performing Loans (ovvero l’ammontare che detengono le banche) ad avere effetti sull’offerta di credito, bensì il flusso (ovvero il loro aumento/diminuzione in un determinato lasso di tempo).

In questo contesto, il 20 marzo 2017 la Banca Centrale Europea (BCE) ha rilasciato le sue linee guida per la gestione dei NPL, illustrando quali strategie gli istituti maggiori, quindi gli enti significativi e le loro controllate nazionali, europee ed internazionali, dovrebbero mettere in campo per fronteggiare al meglio il problema. Invece, la Banca d’Italia effettua le ispezioni sulle banche meno significative richiedendo, quando necessario, modifiche nella valutazione dei crediti deteriorati.

La stessa Banca d’Italia, applicando le nuove disposizione dell’Unione europea, ha aggiornato la classificazione dei crediti deteriorati, eliminato le nozioni di crediti incagliati e di crediti ristrutturati e ha introdotto la nuova categoria di crediti forborne. Questi ultimi sono crediti oggetto di concessione (forborne exposures), ossia crediti (in bonis o deteriorati) oggetto di concessioni da parte della banca. Tali concessioni (ad esempio una riduzione del tasso di interesse del finanziamento oppure un allungamento della durata del finanziamento) costituiscono delle modifiche alle originarie condizioni contrattuali della linea di credito che la banca concede all’impresa cliente. Tali misure possono riguardare clienti performing in difficoltà finanziaria (forborne performing exposures) oppure clienti classificati in stato di deterioramento (non performing exposures with forbearance measures).

Per rendere omogenea la valutazione della qualità degli attivi bancari, l’Autorità bancaria europea (ABE) ha elaborato degli Implementing Technical Standard (ITS) relativi ai crediti deteriorati, successivamente adottati dalla Commissione europea con il

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Regolamento UE n. 227/2015. In applicazione di tale regolamento la Banca d’Italia ha previsto una nuova classificazione dei crediti deteriorati in tre categorie:

le “sofferenze”, cioè quelle esposizioni verso soggetti che si trovano in uno stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili;

le “inadempienze probabili”, ovvero quelle esposizioni per le quali la banca valuta improbabile, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione di garanzie, che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni contrattuali;

le “esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate” ossia quelle esposizioni che sono scadute o eccedono il limite di affidamento da oltre 90 giorni e oltre una predefinita soglia di rilevanza.

La classificazione delle attività deteriorate in tre categorie (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate) è anche contenuta nella Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 di Banca d’Italia al 9° aggiornamento del 20 dicembre 2016.

La Banca Centrale Europea, ha affermato nelle linee guida per le banche sui crediti deteriorati che sono considerate esposizioni deteriorate (Non Performing Exposures - NPE) quelle che soddisfano uno dei seguenti criteri o entrambi:

1. esposizioni rilevanti scadute da oltre 90 giorni;

2. è considerato improbabile che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie senza l’escussione delle garanzie, indipendentemente dall’esistenza di importi scaduti o dal numero di giorni di arretrato.

La definizione di NPE, dunque, si basa sul criterio dell’esposizione scaduta e su quello dell’inadempienza probabile.

Infine il Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, all’art. 178 fornisce questa definizione di default: “si considera intervenuto un default in relazione a un particolare debitore allorché si verificano entrambi gli eventi sotto indicati o uno di essi:

a) l’ente giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l’ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni; b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazione creditizia

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Questo Regolamento europeo (detto CRR – Direttiva 2013/36/UE), assorbito anche dalla Banca d’Italia, è stato pubblicato il 26 giugno 2013 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (GUUE), in aderenza alle regole definite dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria nel dicembre 2010, con l’intento di promuovere un sistema bancario più solido e resistente agli shock finanziari.

Nella Circolare n.139 del 1991 (più volte aggiornata), Centrale dei Rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi, di Banca d’Italia le sofferenze, che sono tra i vari tipi di crediti deteriorati quelli considerati più gravi, sono definiti così: “nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’intermediario”. Non si tiene conto dell’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti e sono escluse le posizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili che riguardano il rischio Paese.

Per Carluccio e Conca (2017) rientrano tra le sofferenze quei crediti la cui totale riscossione per le banche e gli intermediari finanziari che hanno erogato il finanziamento non è certa, perché i debitori si trovano in stato d’insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili. Sono incluse in questa categoria anche le ristrutturazioni con intento liquidatorio che sono segnalate come esposizioni oggetto di concessioni deteriorate.

1.1.1 – Aspetti principali

La sofferenza bancaria è considerata il peggior avvenimento a livello creditizio e bancario che può accadere ad un soggetto, sia esso individuo o azienda. Infatti è l’ultimo passo che la banca intraprende verso un soggetto che:

 non è in semplice crisi di liquidità;

 fa presumere che gli sia impossibile restituire il debito, né adesso, né in futuro;  ha un indebitamento tale che fa presumere un prossimo fallimento.

E’ considerata quasi un indice di morte creditizia e bancaria per il soggetto che ne viene investito e, per queste ragioni, bisogna fare di tutto per evitare di trovarsi al centro di una procedura di questo tipo.

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Le banche e gli intermediari finanziari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (per esempio i garanti) la prima volta che lo segnalano a “sofferenza”, prescindendo dunque da eventuali garanzie poste a presidio dei crediti. Un credito è considerato tra quelli in “sofferenza” nel momento in cui il cliente sia considerato in uno stato d’insolvenza e ciò che deve essere sottolineato è che la sofferenza non rappresenta un ritardo del cliente nei pagamenti all’intermediario, poiché questa non è una condizione sufficiente affinchè il credito sia segnalato come tale presso la Centrale dei Rischi o nel bilancio dell’intermediario finanziario. La posizione di sofferenza rappresenta una situazione in cui la banca si trova costretta a procedere legalmente nei confronti del debitore e questa posizione è spesso considerata permanente in quanto i crediti dati al cliente spesso diventano inesigibili o soggetti a protesto/precetto/ingiunzione. Proprio per quanto detto precedentemente la regola dovrebbe essere che prima di poter segnalare in sofferenza un cliente, l’intermediario deve valutare la sua intera situazione patrimoniale e finanziaria effettuando una vera e propria indagine.

1.1.2 – Come si apre una sofferenza bancaria?

Banca d’Italia ha dichiarato quest’anno al 16° aggiornamento della Circolare n.139 dell’11 febbraio 1991 che solo dopo una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente si può definire un debito a sofferenza. Infatti non si può indicare un cliente in stato di sofferenza al verificarsi di singoli specifici eventi quali, ad esempio, uno o più ritardi nel pagamento del debito o la contestazione del credito da parte del debitore. Costituiscono un'eccezione al principio dell'attrazione di tutti i crediti per cassa nella categoria delle sofferenze le posizioni di rischio che confluiscono nella categoria di censimento finanziamenti a procedura concorsuale e altri finanziamenti particolari. Gli importi relativi ai crediti in sofferenza vanno segnalati nella classe di dati “utilizzato”. Indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione adottate dagli intermediari, i crediti in sofferenza devono essere segnalati per un ammontare pari agli importi erogati inizialmente, al netto di eventuali rimborsi e al lordo delle svalutazioni e dei passaggi a perdita eventualmente deliberati. Il valore al quale le sofferenze sono registrate nei bilanci delle banche è tipicamente superiore al prezzo che gli acquirenti attivi su questo mercato sono disposti a offrire. Il

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differenziale è in larga misura riconducibile ai diversi criteri di valutazione impiegati dalle banche a fini di bilancio (che verranno illustrati nel capitolo successivo) rispetto a quelli utilizzati dagli investitori per la determinazione dei prezzi di acquisto e tale differenza è proporzionale alla lunghezza dei tempi di recupero giudiziali o stragiudiziali.

La segnalazione a sofferenza avviene nel caso in cui il cliente si trovi in uno stato di difficoltà grave e duraturo e prima di procedere alla segnalazione, la banca deve effettuare un’accurata analisi di tutti i possibili indici di tale difficoltà. Quest’ultimi sono rappresentati da: stato dei rapporti intrattenuti dal cliente con altre banche, pregresse segnalazioni a sofferenza operate da altre banche, ammontare e durata di ritardi nei pagamenti per altri rapporti con altri intermediari, sussistenza o assenza di protesti bancari ed altri eventi pregiudizievoli, ipoteche ed altro presente in conservatoria a carico del cliente. Quindi una serie di elementi certi e non supposti, per stabilire il suo status di cattivo pagatore in modo certo oppure intravedere una possibilità di cancellarlo.

La Corte di Cassazione ha confermato nella circolare n.1725 del 2015 che la segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia di una posizione in sofferenza di un proprio cliente scatta non solo di fronte ad un’insolvenza accertata ma anche quando “il rientro non appaia sicuro o, quantomeno, altamente probabile”.

La banca procede immediatamente con la comunicazione formale (tramite lettera raccomandata a/r) in cui richiede la restituzione del debito entro 15 giorni di tutti i crediti (fidi, finanziamenti, mutui) concessi al cliente. Nel caso in cui il debito non sia restituito entro il termine, si procede con l’iscrizione a “sofferenza” presso la Centrale dei Rischi con tutto quello che ne consegue. L’informativa deve essere comunicata per iscritto anche a coloro che sono coobbligati col cliente nei confronti della banca. Secondo Banca d’Italia, ai fini del censimento dei dati in Centrale dei Rischi, si considerano coobbligati:

1. i cointestatari del medesimo rapporto;

2. i soci di società di fatto e i soci di società di persone;

3. i soggetti che hanno rilasciato alla banca garanzie reali (datori di ipoteche) o personali (fideiussori).

Purtroppo la segnalazione del cliente principale comporta anche quella dei garanti e questo non è proprio corretto, per di più se non è comunicato nei tempi e nei modi sanciti dalle normative bancarie dettate dalla Banca d’Italia.

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15 1.1.3 – Le conseguenze della sofferenza bancaria

La sofferenza bancaria è un indice di natura pregiudizievole tale da poter essere considerata l’anticipazione di uno stato di fallimento in quanto è legata alla chiusura dei fidi. Infatti la sofferenza bancaria è temuta dagli imprenditori principalmente per 2 motivi che sono tra loro conseguenti:

1. la segnalazione raggiunge immediatamente tutti gli istituti di credito e qualunque di questi abbia un tipo di rapporto creditizio/debitorio con il soggetto finisce per venire a conoscenza immediatamente dello stato di sofferenza;

2. la segnalazione comporta, in maniera pressoché automatica, la revoca di tutte le linee di credito a disposizione dell’azienda o del soggetto.

La sofferenza bancaria è considerata una situazione difficile da affrontare per ogni tipo di impresa poiché a seguito dell’apertura della stessa:

 vengono revocati immediatamente non solo i fidi presso l’istituto di credito interessato, ma presso tutti gli istituti e le banche presso i quali il cliente potrebbe aver intrattenuto rapporti debitori;

 si procede con decreto ingiuntivo e provvedimento di provvisoria esecuzione;  viene iscritta la posizione alla Centrale Rischi, che comporta l’impossibilità

assoluta per il cliente di approvvigionarsi di liquidità presso altri istituti.

Una situazione del genere è indice di una prossima morte creditizia e bancaria per il soggetto che ne viene investito, sia per coloro che sono già in una situazione di difficoltà che per coloro che ancora non lo sono.

Un’errata o abusiva segnalazione in Centrale dei Rischi può comportare, soprattutto per le imprese, un serio pregiudizio alla reputazione nonché all’immagine del segnalato, in un caso del genere è indiscutibile la responsabilità della banca nei confronti del cliente danneggiato.

1.1.4 – Come si può cancellare la sofferenza bancaria?

Per coloro che sono stati sottoposti a questa procedura è importante cancellare la segnalazione presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia nel minor tempo possibile e ciò è possibile effettuarlo in due modi:

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1. il cliente può pagare tutto il debito contratto presso la banca che ha aperto la procedura e chiedere successivamente la cancellazione, che avverrà immediatamente alla prova del saldo;

2. si può, nel caso in cui si ritenga l’apertura della procedura iniqua, adire le vie legali e attendere i lunghissimi tempi della giustizia civile italiana. Nel frattempo però l’azienda potrebbe non sopravvivere con una tale esposizione debitoria e sotto credit crunch visto che è pressoché impossibile resistere in tale condizioni per qualunque realtà aziendale.

Le conseguenze delle sofferenze bancarie sono drammatiche ed è per questo che le banche le utilizzano in extrema ratio, dato che non è nell’interesse nemmeno del creditore che il suo debitore fallisca. Se la sofferenza, invece di essere cancellata, raggiunge l’ultimo stadio viene segnalata come un credito “a perdita”, cioè rappresenta la “morte” dei rapporti di credito tra utente e sistema bancario.

1.2 – Le principali cause del deterioramento del credito bancario e

analisi delle variabili che impattano sui Non Performing Loans

La qualità del credito bancario è rimasta piuttosto stabile in alcuni Paesi europei fino alla crisi finanziaria che ha investito l’economia globale nel 2007-2008. Da quel momento, la qualità media delle attività bancarie si è deteriorata notevolmente a causa della recessione economica globale. Beck et al. (2013) hanno dichiarato che il fatto che la performance dei prestiti sia strettamente collegata al ciclo economico è ormai ben noto e non sorprendente.

“La crisi dell’economia reale è stata una delle principali cause indirette della crisi delle nostre banche. Anche la diminuzione marcata del risparmio ha inciso, ovviamente, sulla minore consistenza dei depositi bancari nonché la brusca caduta del mercato interbancario per il venir meno, tra le banche, della fiducia” (Dell’Atti e Miglietta, 2014).

Sicuramente la grande crescita media dei NPL si è verificata in quasi tutti i Paesi dopo la recessione che ha colpito l’economia nel 2007 ma Gorter e Bloem (2001) hanno affermato che il livello dei crediti deteriorati può essere influenzato anche da decisioni economiche sbagliate e da una serie di circostanze. Quest’ultime possono essere le variazioni del prezzo del carburante, del prezzo dei prodotti esportati, dei tassi di

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cambio e dei tassi di interesse ma lo stesso effetto può essere generato anche dal fallimento improvviso di una società in un contesto eccessivamente ottimista. Queste cause potrebbero provocare altri tre effetti:

1. una caduta dei prezzi dei prestiti garantiti: più prestiti verrebbero classificati come improbabili;

2. l’abilità delle banche di concedere crediti potrebbe essere minata dai “bad loan portfolios” a danno dei “good creditors”;

3. problemi di liquidità delle banche, causati dalla corsa agli sportelli di depositanti e investitori stranieri.

Infatti limitare le cause all’andamento dell’economia e alla fase di recessione economica, sarebbe un’ipotesi semplicistica, in quanto la crescita delle sofferenze è legata ad una serie di debolezze del sistema economico-finanziario, tra cui l’insufficienza di capitali di rischio da parte delle imprese, l’elevata leva finanziaria, il sovra-indebitamento delle aziende, il frazionamento dei rischi mediante affidamenti multipli e la carenza di strumenti e canali finanziari alternativi al credito bancario (Bianchi, 1993). In aggiunta, l’intensificarsi della concorrenza ha innescato una competitività molto aspra sui mercati e una ristrutturazione aziendale per poter guadagnare elevati livelli di produttività e competitività, focalizzando le energie sulla modernizzazione delle linee di produzione esistenti e su nuove nicchie di mercati. “I crediti deteriorati sono in parte da ricondurre a inadeguate decisioni di erogazione. In alcuni casi sono stati osservati meccanismi incentivanti distorti, che agganciavano la parte variabile della remunerazione al raggiungimento di obiettivi di mera crescita degli impieghi. In altri casi la fase di erogazione ha risentito di un sistema inadeguato di deleghe, nel quale i poteri di concessione di nuovi finanziamenti, anche di importo significativo, erano attribuiti in modo diffuso presso la rete commerciale; ciò è andato a discapito della qualità delle analisi istruttorie e ha reso molto complessa l’attività di controllo” (Barbagallo, 2017). Inoltre è stato osservato come, senza una precisa valutazione dell’affidamento a imprese edili sottocapitalizzate, il rimborso sia stato di fatto condizionato all’aumento di valore del patrimonio immobiliare. Gli intermediari devono prestare attenzione nel definire correttamente i meccanismi di distribuzione dei poteri decisionali, cercando il giusto equilibrio tra le esigenze di controllo e la rapidità nella risposta al cliente. Al contempo, i sistemi per incentivare il personale devono essere legati ad indicatori dei risultati di medio periodo e corretti per il rischio, per poter

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orientare la rete commerciale a perseguire un corretto bilanciamento tra la ricerca del rendimento e la mitigazione dei rischi assunti.

Secondo Revell (1978) la qualità degli impieghi bancari è importante perché misura la solidità di una banca: una banca è solida quando lo sono i suoi prestiti.

La migliore qualità dei crediti erogati all’interno di un sistema finanziario si ripercuote sulle caratteristiche di stabilità dello stesso, infatti l’insorgere dei crediti di peggiore qualità non è un problema circoscritto alle sole banche, in quanto effetti negativi si ripercuotono anche sul mercato del credito.

Le sofferenze sono utili per analizzare l’andamento della qualità dei crediti anche se questo tipo di valutazione presenta dei limiti. Innanzitutto in questa categoria ci possono essere posizioni per le quali non sono ancora state intraprese delle azioni giudiziali di recupero del credito e la cui gestione è rimessa alla banca: vi è un certo margine di discrezionalità concesso agli amministratori bancari nella valutazione delle posizioni in sofferenza. Inoltre esse possono non indicare un’adeguata e reale dimensione del rischio potenziale di insolvenza, dal momento che vengono rappresentate ad un ritmo di incremento sfasato nel tempo (di circa due anni), compromettendo la significatività del confronto dei dati contabilizzati nello stesso anno. A questo va aggiunto che le banche potrebbero dare tardiva comunicazione di alcune posizioni deteriorate.

Per quanto riguarda il nostro contesto secondo Ciavoliello et al. (2016) l’elevato ammontare dei NPL delle banche italiane è principalmente il risultato dell’eccezionale fase recessiva che ha colpito l’economia italiana negli ultimi anni e dei lunghi tempi delle procedure di recupero crediti. Vi ha contribuito, inoltre, il limitato sviluppo del mercato secondario di tali crediti a causa della differenza tra il valore di bilancio di tali attivi e i prezzi offerti dagli investitori e questa significativa differenza è data dai seguenti fattori:

1. il tasso di rendimento richiesto dagli investitori in NPL è molto elevato, anche per la minore leva finanziaria con cui essi generalmente operano rispetto alle banche. Tale rendimento viene usato per scontare i flussi di cassa attesi dagli NPL (le banche, come richiesto dai principi contabili IAS/IFRS, usano invece il tasso d’interesse effettivo originario su tali attivi, tipicamente molto più basso) e si traduce in un prezzo ridotto;

2. le banche, coerentemente con i principi contabili internazionali, rilevano i costi indiretti di gestione degli crediti non performanti nel bilancio dell’esercizio di

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competenza, mentre i potenziali acquirenti li deducono immediatamente dal loro valore netto, riducendo, di conseguenza, il prezzo di acquisto.

Di fatto la recente crisi economica ha portato ad un peggioramento della qualità degli attivi bancari e l’impatto si è rivelato pesante sia per le singole imprese che per l’economia con un forte danno all’immagine e alla solidità delle banche.

Barbagallo (2017) ha dichiarato che le evidenze indicano la recessione e la lentezza delle procedure di recupero quali cause principali ma le politiche creditizie imprudenti, pratiche di tolleranza eccessiva nei confronti dei debitori inadempienti, erogazioni in conflitto di interessi o apertamente fraudolente costituiscono aggravanti che spiegano la differenza tra le banche più “virtuose” e quelle meno “virtuose”. Per comprendere il ruolo della recessione basta notare che l’aumento delle consistenze ha interessato quasi tutti gli intermediari che hanno un modello di business tradizionale: tra il 2007 e il 2016 il tasso di incremento delle sofferenze registrato dagli intermediari significativi è stato, in media, superiore al 500% ed è risultato particolarmente elevato anche tra gli intermediari più virtuosi. Il ruolo dell’andamento dell’economia come principale variabile esplicativa dell’evoluzione della rischiosità creditizia è ben evidente nel grafico seguente, che prende in considerazione un periodo assai ampio (dal 1992 ai giorni nostri) ed evidenzia l’esistenza di una netta correlazione inversa tra andamento del PIL e incidenza delle sofferenze.

Figura 1.2. Rapporto tra sofferenze e totale dei prestiti, al netto delle rettifiche dei valori, e livello del PIL in Italia (PIL:2007=100)

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Il fenomeno dei crediti deteriorati ha colpito tutte le banche commerciali italiane e non è da trascurare il ruolo che nell’evoluzione di tali indicatori ha avuto la contrazione degli attivi, a causa della riduzione delle capacità di raccolta sui mercati generata dalla crisi di fiducia che ha caratterizzato tali intermediari. “Agli effetti della crisi economica e alle cattive pratiche gestionali di alcune banche si sono sommati quelli legati alla lentezza delle procedure di recupero dei crediti. In Italia i tempi per chiudere un fallimento sono doppi rispetto alla media degli altri principali paesi europei; a parità di flusso di nuovi crediti deteriorati sottoposti a procedure giudiziali, ciò si traduce in uno stock all’incirca doppio” (Barbagallo, 2017).

Per Hou e Dickinson (2007) i Non Performing Loans sono, a loro volta, tra le principali cause del problema della stagnazione economica e ogni prestito in sofferenza nel settore finanziario è considerato come l’immagine speculare di un’impresa non redditizia. Da questo punto di vista, lo smaltimento dei crediti deteriorati è necessario per intraprendere la ripresa economica.

Molti studi mostrano una stretta relazione tra i Non Performing Loans e le variabili macro e microeconomiche sia nel contesto europeo che al di fuori.

Ghosh (2015) ha effettuato un’analisi nel mercato statunitense e i risultati hanno confermato che le banche concedono prestiti alle imprese molto grandi perché pensano che queste non possano fallire e, se da una parte questo comportamento permette di aumentare i profitti perché gli importi dei finanziamenti concessi sono elevati, allo stesso tempo, l’industria bancaria statunitense è in grado di ridurre i crediti deteriorati solo se riesce a mantenere un elevato standing creditizio ed un’efficace gestione dell’attivo. Emerge chiaramente che anche nel contesto statunitense l’ammontare dei NPL è correlato al PIL, al reddito personale, al tasso di disoccupazione e al debito pubblico e ridurre i NPL è necessario per migliorare lo stato di salute di ogni Paese. Per quanto riguarda Italia, Grecia e Spagna, Messai e Jouini (2013) hanno considerato come variabili macroeconomiche il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, il tasso di disoccupazione e il tasso di interesse reale mentre le variabili microeconomiche, sono quelle specifiche di ogni banca e sono rappresentate dal rendimento degli attivi, la variazione dei prestiti e il rapporto tra le riserve per perdite su crediti sul totale dei prestiti. Hanno utilizzato un campione di 85 banche nei 3 Paesi (Italia, Spagna e Grecia), scegliendo proprio quei Paesi in cui sono stati registrati più default bancari, e hanno inserito nel modello tre variabili macroeconomiche e tre fattori specifici delle banche. Quello che è emerso dal legame tra i crediti deteriorati e i due principali fattori

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macroeconomici cioè il PIL (GDP, Gross Domestic Product) e il tasso di disoccupazione (Un, Unemployment) è rappresentato nei seguenti grafici.

Figura 1.3. L’evoluzione dei NPL e le variabili Figura 1.4. L’evoluzione dei NPL e le variabili macroeconomiche (Italia) macroeconomiche (Grecia)

Figura 1.5. L’evoluzione dei NPL e le variabili macroeconomiche (Spagna)

Fonte figure 1.3, 1.4 e 1.5: Micro and Macro Determinats of Non-performing Loans, A. S. Messai e F. Jouini (2013)

Si nota in ogni grafico, e quindi in ognuno dei tre Paesi considerati, che i crediti deteriorati aumentano all’aumentare del tasso di disoccupazione e al diminuire del tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo. La relazione negativa tra gli NPL e il PIL e quella positiva tra gli NPL e il tasso di disoccupazione è osservata dalla crisi del 2008. Da questo studio quindi è evidente che le banche prima di concedere i prestiti, per evitare l’aumento dei Non Performing Loans, devono porre attenzione ad alcune variabili.

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Un altro studio è stato effettuato da Makri et al. (2014) sull’intero sistema bancario europeo dal 2000 al 2008 considerando sempre le variabili macroeconomiche (per esempio la percentuale del tasso di crescita annuo del PIL, il debito pubblico in percentuale del PIL, la disoccupazione) e le variabili microeconomiche (per esempio il rapporto tra i prestiti e i depositi, il rendimento degli attivi e il rendimento del capitale proprio) e ponendo particolare attenzione a quei fattori che influenzano il livello dei NPL a livello aggregato. I risultati hanno confermato la forte relazione tra l’ammontare dei crediti deteriorati e le variabili macroeconomiche e quelle specifiche delle banche. In particolare per quanto riguarda le variabili specifiche CAP (Capital Adequacy Ratio – coefficiente di adeguatezza del capitale) e ROE (Return On Equity – rendimento del capitale) sono correlati negativamente, mentre NPLt-1 (il tasso di crediti non performanti

dell’anno precedente)è correlato positivamente con la qualità dei prestiti. Per quanto riguarda le variabili macroeconomiche DEBT (il debito pubblico espresso in percentuale del PIL) e UNEMP (il tasso di disoccupazione) sono legati in modo positivo e significativo con i Non Performing Loans, invece GDP (Gross Domestic Product – prodotto interno lordo) ha un andamento contrario a quello dei prestiti deteriorati. Le variabili come: ROA (Return On Asset – il rendimento degli attivi), LTD (Loans To Deposits – l’indice impieghi/depositi), FISCAL (avanzo o disavanzo pubblico espresso in percentuale del PIL) e INFL (Inflation rate – il tasso di inflazione) non sono significative.

Dimitrios et al. (2016) hanno effettuato uno studio sulle determinanti dei crediti deteriorate per quanto riguarda i paesi europei e dai risultati delle loro stime hanno confermato che le variabili specifiche delle banche, tra cui la propensione al rischio ha effetto sul’ammontare di NPL che detengono. Hanno confermato che alcune variabili come il ROE e il ROA hanno una stretta correlazione con questa tipologia di crediti, come anche FISCAL e DEBT anche se GROWTH (il tasso di crescita del PIL) e INFLRAT (il tasso di inflazione) hanno una correlazione ancora più significativa. Berger e DeYoung (1997) hanno dichiarato che il moral hazard insieme alla cattiva gestione dei manager non sono da considerare come determinanti dei crediti deteriorati. Petersson e Wadman (2014) hanno condotto un’analisi soffermandosi sui crediti deteriorati del mercato italiano e svedese sotto tre punti di vista: il mercato, l’aspetto finanziario e quello legale. Il risultato è stato che proprio il sistema legale ha delle gravi ripercussioni sulla qualità dei crediti ed è una delle cause fondamentali della diffusione

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dei NPL e ogni Paese, in base alle proprie caratteristiche, sceglie la tecnica di cartolarizzazione più adatta. Hanno dichiarato che:

 il sistema legale svedese funziona a favore del prestatore, i NPL sono rari e le persone pagano subito i propri prestiti;

 il sistema legale italiano è più complicato e questo è dimostrato anche dai dati statistici dei NPL, il salvataggio delle banche italiane è possibile attraverso la creazione di una EU asset management company (AMC), ovvero di un istituto finanziario che si occupi di ripulire le banche dagli NPL.

Infine Bofondi e Ropele (2011) hanno condotto uno studio sulle determinanti macroeconomiche della qualità degli attivi bancari in Italia negli ultimi venti anni, adottando come misura di qualità il rapporto tra nuove sofferenze e totale dei prestiti in essere (NBL ratio). L’analisi è stata condotta separando la qualità dei prestiti alle famiglie da quelli alle imprese visto che le variabili macroeconomiche possono influenzare in modo diverso le due categorie di debitori. Dall’analisi è emerso che:

 la qualità dei prestiti alle famiglie e alle imprese può essere spiegata da un numero limitato di variabili macroeconomiche principalmente connesse con le condizioni generali dell'economia, il costo dei finanziamenti e il grado di indebitamento;

 le variazioni delle condizioni macroeconomiche influenzano la qualità del credito con un certo ritardo;

l'accuratezza delle previsioni out-of-sample ottenute dai modelli stimati è soddisfacente e si mantiene elevata anche nel periodo della recente crisi finanziaria.

Quindi, sebbene i vari approfondimenti effettuati in questi studi, quello che emerge è che l’ammontare delle sofferenze è strettamente legato, in positivo o negativo, ad alcune variabili macroeconomiche che riguardano l’andamento generale dell’economia ma anche ad alcune variabili microeconomiche che sono specifiche di ogni singolo intermediario; vi sono alcune determinanti (macro e micro) che invece non hanno nessuna influenza sull’andamento delle sofferenze bancarie.

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1.3 – Analisi della concorrenza nei servizi bancari

Bofondi et al. (2006) hanno analizzato gli effetti dell’entrata di nuove banche nei mercati locali in Italia, studiando le conseguenze sulle quantità, sui tassi di interesse e sulla rischiosità dei prestiti alle imprese dal 1990, anno in cui è stata liberalizzata l’apertura degli sportelli bancari, al 2002. In questo periodo ci sono stati studi che hanno attribuito molta importanza alle asimmetrie informative per le condizioni di erogazione del credito, poiché l’operare della concorrenza è influenzato dall’eterogeneità delle conoscenze di cui dispongono le banche. La loro analisi empirica è composta da due blocchi di stime: il primo, in cui vengono stimate le relazioni di equilibrio tra struttura dei mercati locali e quantità di credito, prezzi e tassi (senza le variabili di entrata), il secondo è dove vengono inserite le variabili al fine di poter quantificare una eventuale influenza sul volume dei prestiti, sui tassi di interesse e sulla rischiosità media dei prestiti dovuta all’ingresso di nuove banche nel mercato locale. I risultati della stima del primo blocco di equazioni indicano che ad alti livelli di concentrazione si associa una minore quantità di credito e tassi di interesse più elevati e anche una maggiore rischiosità media dei prestiti. La stima del secondo blocco di equazioni mostra che l’entrata è seguita da una minore crescita dei prestiti alle imprese e da un incremento della rischiosità.

Sebbene molti studi abbiano mostrato una relazione positiva tra la concentrazione bancaria e la rischiosità dei portafogli selezionati, altri hanno affermato il contrario. Infatti Boyd e De Nicolò (2005) hanno pubblicato un modello in cui una minore concorrenza implica dei tassi di interesse maggiori e quindi una maggiore probabilità di default per i debitori. Hanno evidenziato come ci sia una relazione “mista” tra le variabili concorrenza e stabilità, e, dopo un anno, hanno pubblicato un nuovo articolo mostrando questa nuova evidenza ovvero dichiarando che c’è una relazione inversa tra la concentrazione bancaria e la rischiosità bancaria (Boyd et al. 2006).

Berger et al. (2009) hanno ripreso le due teorie sostenute fino a quel momento ovvero la “competition-fragility” e la “competition-stability”. La prima sostiene che una maggior competitività bancaria erode il potere di mercato, riduce i margini di profitto e induce le banche a selezionare portafogli più rischiosi; la seconda, invece, afferma che un maggior potere di mercato può indurre ad un maggior rischio bancario in quanto tassi di interesse più alti conducono i clienti ad una maggiore difficoltà nel rimborsare i prestiti. Questi due filoni della letteratura non devono necessariamente preannunciare effetti

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opposti sulla concorrenza e sul potere di mercato nella stabilità bancaria. I risultati sono a favore della teoria “competition-fragility” secondo la quale le banche con un maggior potere di mercato hanno una minore esposizione rischiosa, ma allo stesso tempo hanno confermato la “competition-stability” secondo la quale il potere di mercato aumenta la rischiosità del portafoglio bancario.

Dunque non sembra esserci una conclusione precisa nella letteratura per quanto riguarda la relazione tra concorrenza e stabilità, perché se in un primo momento sembrava esserci un’evidenza a favore del fatto che una maggior concorrenza aumenti l’assunzione del rischio da parte delle banche, in un secondo momento la letteratura ha affermato che una concorrenza maggiore non influenza necessariamente in negativo la stabilità del sistema bancario. Gli aspetti che riguardano la concorrenza devono essere attentamente osservati nel sistema bancario e ciò è confermato dallo studio condotto da Carletti e Hartmann (2002). Secondo questi autori i risultati di questa relazione variano in base al Paese e al periodo di tempo considerato, tuttavia l’idea che la concorrenza sia pericolosa per il settore bancario poiché causa instabilità è respinta.

Carletti e Vives (2008) partendo dalla letteratura presente sul trade-off concorrenza e stabilità del sistema bancario hanno concluso che ad oggi non è possibile affermare che la concorrenza è responsabile della fragilità del sistema bancario sebbene rimane aperta la questione se sia meglio una politica di concorrenza meno pressante sul mercato dell’industria bancaria.

1.4 – Gli effetti del peggioramento della qualità dei crediti per le

banche

Classificare i crediti in una nuova categoria di quelle appartenenti al credito deteriorato ha delle ripercussioni sul Conto Economico delle banche a causa delle svalutazioni sui crediti che le nuove classificazioni impongono, per rispettare le regole e per mantenere le percentuali (coverage) in essere. Di per sé la nuova classificazione dei crediti (per es. dalla categoria degli scaduti alle inadempienze probabili o da queste ultime alle sofferenze) non comporta effetti diretti in quanto è considerato un semplice trasferimento del credito nella classe di credito deteriorato ritenuta più corretta ed appropriata, tuttavia il trasferimento dei crediti deteriorati ha delle conseguenze economiche frutto di variabili non immediate.

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Innanzitutto l’ingresso di nuovi crediti non performanti in una categoria di deteriorato comporta sicuramente il peggioramento degli indici posti dalla banca a presidio della propria gestione della qualità creditizia (per esempio il rapporto tra crediti in sofferenza ed impieghi in essere). Nel momento in cui l’intermediario sopraggiunge al superamento di quei limiti prefissati scattano, secondo le policy aziendali, le azioni di rimozione.

Sul sito della Banca Centrale Europea si legge che “i crediti deteriorati sono un elemento fisiologico dell’attività bancaria, poiché accade frequentemente che un individuo perda il posto di lavoro o una società si trovi in difficoltà finanziarie. Per operare con successo nel lungo termine, una banca deve mantenere al minimo il livello di crediti deteriorati, in modo da poter continuare a realizzare un profitto dalla concessione di prestiti”. Se questi superano un certo livello, la banca subirà delle conseguenze che influenzeranno la redditività, il patrimonio di vigilanza e la disponibilità di nuovo credito per l’economia. Difatti, una banca che detiene crediti non performanti dovrà sopportare dei costi inerenti all’accantonamento di capitale, come previsto dal comitato di Basilea, e inerenti alle rettifiche di valore da attuare a conto economico.

Se una banca presta soldi ad un individuo o ad un’impresa ma il credito non viene restituito, la banca avrà una perdita che deve coprire in bilancio attraverso l’accantonamento di riserve e questo fa sì che le risorse siano impegnate su questo fronte e non possano essere utilizzate per altro. Questo innesca un circolo vizioso in cui le banche più hanno sofferenze da gestire e quindi crediti che non riescono a recuperare e meno saranno disposte ad accendere nuovi finanziamenti a imprese e famiglie generando un’influenza sull’economia molto rilevante.

Cucinelli (2015) ha dichiarato che vi è una relazione tra i Non Performing Loans e la concessione dei prestiti bancari perché i primi potrebbero portare anche al cosiddetto credit crunch, l’irrigidimento delle condizioni di offerta del credito da parte delle banche per i crescenti timori circa la solvibilità delle imprese e famiglie finanziate. Quello che emerge da questo studio è che per quanto riguarda il settore bancario italiano il rischio di credito registrato nei precedenti anni ha avuto un impatto rilevante sui prestiti concessi dalle banche, le quali, dopo la crisi finanziaria, hanno iniziato ad assumere minor rischio come conseguenza dell’aumento del rischio di credito, e per fare ciò hanno diminuito il proprio portafoglio prestiti determinando una crescita lenta del tasso dei prestiti lordi.

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Per la Banca Centrale Europea sia il calo del reddito che l’accantonamento di fondi per affrontare le peggiori eventualità fanno sì che la banca disponga di minore liquidità per l’erogazione di prestiti e questa circostanza determina un’ulteriore riduzione dei profitti. Una banca esposta a crediti di cattiva qualità non riesce a fornire adeguatamente alle imprese i finanziamenti necessari per gli investimenti e per la creazione di posti di lavoro. Se troppe banche si trovano in questa situazione, ne risentono l’intera economia e i singoli membri della società e a sua volta, se le imprese riducono i propri investimenti, si creano meno posti di lavoro e diminuisce la crescita economica.

Quindi le sofferenze preoccupano per almeno due motivazioni: la prima è di carattere sociale, la seconda è di carattere puramente redditual-bancario. Per quanto concerne la prima causa di preoccupazione, appare chiaro come un elevato numero di sofferenze bancarie corrisponda a un altrettanto elevato numero di persone che non sono più nelle condizioni di restituire quanto ottenuto in prestito. Questo rappresenta un numero maggiore di aziende che chiudono, di persone in nuovo stato di disoccupazione, e così via. Coloro che sono oggetto di sofferenza sono inoltre segnalati alla Centrale Rischi in qualità di cattivi pagatori1, e vedranno pertanto chiuse le porte di nuovi crediti. Insomma, le sofferenze sono un dato numerico che cela decine di migliaia di storie di difficoltà e di disagio, con evidenti riflessi su tutta la società. Il secondo elemento di preoccupazione è invece di natura reddituale ovvero le banche hanno la necessità di mettere da parte alcune proprie risorse per poter fronteggiare le perdite sui crediti, determinate (anche) dalle sofferenze. Maggiore è la possibilità che la banca vada incontro, nel prossimo futuro, a situazioni di sofferenza, e maggiori saranno anche gli accantonamenti che dovrà effettuare oggi, per tutelarsi domani. I maggiori accantonamenti vanno tuttavia ad erodere gli utili della banca e, di conseguenza, i dividendi potenzialmente ottenibili dagli azionisti. Di qui la necessità di contrarre il più possibile il volume di sofferenze: un’esigenza difficilmente compatibile con lo stato attuale dell’economia italiana, e che induce molti istituti di credito a cercare di

1

Viene definito cattivo pagatore chiunque a seguito di una serie di eventi diversi quali possono essere ad esempio:

 il mancato pagamento di 3 rate inerenti un mutuo, un prestito o un finanziamento,

 un ritardo superiore a 2 mesi inerente il pagamento della rata di un mutuo, un prestito o un finanziamento,

 l'emissione di assegni scoperti,

venga in seguito segnalato presso le Centrali di Rischio ovvero gli enti preposti cui si rivolgono banche e società finanziarie al fine di verificare la posizione creditizia del cliente il quale voglia chiedere il benestare per un prestito o un mutuo.

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mantenere elevati i profitti netti andando a incrementare i ricavi alle spese dei clienti (maggiori tassi di interesse, aumento delle commissioni), o tagliando voci di costo (come quelle del personale).

1.5 – La situazione attuale in Italia

Morettini (2014) ha affermato che le cronache economiche e finanziarie degli ultimi anni hanno spesso puntato i riflettori sul sistema bancario italiano, muovendo critiche che non hanno risparmiato alcun aspetto della gestione del credito, arrivando ad essere anche contraddittorie. Le banche sono state accusate di essere troppo ancorate al loro ruolo di intermediazione e poco attente alla necessità di credito delle imprese; è stata sottolineata l’eccessiva frammentazione della struttura bancaria e criticato lo scarso rapporto con il territorio e la spersonalizzazione dei rapporti tra banche e imprese. Gli istituti italiani, inoltre, sono legati al territorio provinciale e hanno scarsi legami con il sistema finanziario internazionale, anche se questo è stato positivo nel momento in cui ha contenuto la diffusione degli effetti della crisi finanziaria internazionale.

Le banche italiane sono considerate “meno esposte delle altre anche verso il settore immobiliare, che pure ha innescato la crisi anche in alcune economie europee. Il sistema creditizio italiano è quindi solido nel suo insieme, sebbene presenti una criticità per l’elevato livello di crediti in sofferenza concentrato in alcune banche” (Ministero dell’Economia e delle Finanze, 2016).

Nonostante la solidità d’insieme, il Governo italiano si è mostrato consapevole di alcuni limiti del sistema del credito e a partire dal 2015 sono stati introdotti radicali mutamenti nel settore bancario che hanno rinnovato e rafforzato profondamente il settore. Infatti il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha dichiarato che il Governo è intervenuto con una strategia fondata su tre assi:

1. consolidamento del settore bancario, attraverso la riforma delle maggiori

banche popolari, la riforma delle Fondazioni bancarie, la riforma delle Banche di credito cooperativo. Banche più grandi, più forti e più trasparenti, sosterranno la ripresa forniranno servizi migliori a famiglie e imprese e gestiranno con più efficienza i crediti deteriorati;

2. riduzione dei tempi di recupero dei crediti, che in Italia sono storicamente

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"tribunali delle imprese" sta producendo importanti risultati; nel 2015 è stata introdotta una prima revisione delle procedure concorsuali e sono in corso di introduzione altre misure in questa direzione, in attesa della più ampia riforma della legge fallimentare. Questi interventi riducono i costi di recupero crediti e migliorano il prezzo potenziale dei crediti deteriorati in caso di cessione;

3. pacchetto "finanza per la crescita", una serie di misure che il Governo ha

messo in campo per "aprire" canali di finanziamento alternativi alle banche. Società di cartolarizzazione, fondi di credito e compagnie di assicurazione possono ora concedere credito alle imprese. IVASS e Banca d’Italia hanno emanato i testi in attuazione delle norme che permettono ai nuovi attori di entrare nel mercato del credito. Gli investitori basati in UE non pagano più la ritenuta d’acconto sui finanziamenti a medio e lungo termine.

Attualmente l’economia italiana si sta riprendendo e la crescita si riflette positivamente sugli andamenti del credito, anche se, la domanda di finanziamenti da parte delle imprese resta debole; per continuare in questa direzione e cancellare ciò che resta della crisi economica più grave e profonda nella storia del nostro paese, non basta la ripresa congiunturale. Deve avvenire un cambiamento per le banche, le quali devono essere in grado di recuperare un livello adeguato di redditività. Per Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, il successo di questa trasformazione dipenderà dalla capacità dell’intera economia di tornare ad una crescita sostenuta e duratura a cui gli intermediari devono contribuire, tenendosi pronti all’eventualità che il raggiungimento di questi obiettivi possa avvenire in tempi non brevi.

Secondo l’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della CGIA2 sui dati di Banca d’Italia, al 30 settembre 2015, l’81,1% delle sofferenze in capo ai nostri istituti bancari è stato generato dal primo 10% degli affidati3 che rappresentano, con buona approssimazione, la platea delle grandi imprese e dei gruppi societari (vedi figura 1.6).

2 L’associazione Artigiani e Piccole imprese Mestre CGIA è nata subito dopo la guerra, nel 1945, per

aggregare quelle ditte che avevano bisogno di un certo tipo di servizi e di tutela sindacale.

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Figura 1.6. Concentrazione del credito in Italia (*)

Fonte: Centrale dei Rischi ed elaborazione Ufficio Studi CGIA su dai Banca d’Italia

(*) Il dato fa riferimento alle banche. Esclusi Cassa Depositi e Prestiti e altri intermediari finanziari non bancari

Emerge che sebbene le grandi imprese siano poco più di 3.000 aziende, pari allo 0,08% del totale nazionale, e abbiano problemi di insolvenza, gli istituti di credito continuano a riservare a queste un trattamento di favore del tutto ingiustificato. Tutto ciò a scapito di quella parte del nostro sistema economico costituito da piccole e micro imprese che continuano a ricevere pochi finanziamenti, nonostante abbiano buoni livelli di solvibilità.

I gravi problemi di insolvenza che caratterizzano i grandi gruppi societari emergono anche dalla lettura dei dati riferiti alle classi di grandezza delle sofferenze. In quelle da 500.000 euro in su, che sono riconducibili ad una clientela di medie-grandi dimensioni, si concentra il 70% circa del totale delle sofferenze misurate al 30 settembre 2015 le quali, secondo i dati della Centrale dei Rischi, ammontavano a 184,4 miliardi di euro. E’ stata rilevante anche la variazione delle sofferenze per classi di grandezza registrata nell’ultimo anno (settembre 2014 sullo stesso mese del 2015). Se per i piccoli prestiti fino 500 mila euro le sofferenze hanno superato i 54,6 miliardi, con un aumento del 2,9%, gli impieghi medio-grandi (dai 500.000 euro in su) hanno toccato quota 129,7 miliardi, con una variazione che è stata del 15,1%: 17 miliardi di euro in più in un anno che spiegano il 92% dell’incremento complessivo delle sofferenze, pari a 18,5 miliardi di euro.

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Figura 1.7. Evoluzione delle sofferenze bancarie per classi di grandezza (*)

Fonte: Centrale dei Rischi ed elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

(*) Il dato fa riferimento alle banche. Esclusi Cassa Depositi e Prestiti e altri intermediari finanziari non bancari

(**) Dati di fonte Centrale dei Rischi, riferiti a valori al lordo delle svalutazioni e al netto dei passaggi a perdita eventualmente effettuati.

Scendendo nel dettaglio, osserviamo che le sofferenze sotto i 125.000 euro, ascrivibili in massima parte alle piccole attività produttive/commerciali e alle famiglie, presentano una variazione annua negativa fino alla soglia dei 75.000 euro, mentre sono aumentate di appena lo 0,8% quelle comprese tra i 75 e i 125 mila euro e del 7% nell’intervallo tra i 250 e i 500 mila euro.

Per contro, invece, tra i 500.000 e il milione di euro l’aumento è stato del 9,7%, tra un milione e 2,5 milioni abbiamo assistito ad un incremento del 13,5%, tra i 2,5 milioni e i 5 e dai 5 ai 25 milioni addirittura del 17,6%.

In conclusione, secondo la CGIA (2015) il problema delle sofferenze e degli incagli bancari è stato sottovalutato e ora devono essere definiti i provvedimenti per trovare la giusta soluzione.

Forte (2016), ha effettuato un’analisi delle sofferenze in base alla clientela suddivisa per settori e garanzie reali dichiarando che a gennaio 2016 le sofferenze bancarie erano 204 miliardi e di esse circa l’83% riguardava le attività produttive, il resto le famiglie quasi totalmente per i mutui immobiliari. Le garanzie immobiliari che le assistono

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ammontano a 83 miliardi, pari al 40,7% del totale. In teoria, di media con le sole garanzie immobiliari ai valori di stima di quando furono fornite, le sofferenze svalutate sono coperte al 98,3%. Aggiungendo le altre garanzie, il totale supera chiaramente il 100%. Ma lo smaltimento delle sofferenze è lento perché le procedure fallimentari sono lunghe e complicate e il mercato immobiliare è ingessato e debole. Utilizzare gli immobili derivanti dalle garanzie di debitori insolventi non è per niente facile.

Figura 1.8. Sofferenze delle banche italiane sui crediti alla clientela per settori e garanzie reali (valori in miliardi di euro) – Settembre 2015

Fonte: Banca d’Italia, Informazioni sull’intermediazione creditizia e finanziaria, settembre 2015, Tavole B.4.5, B.4.9 per le attività produttive e Tavola B.4.10 per le famiglie consumatrici.

E’ chiaro, osservando la figura 1.8, come la distribuzione delle sofferenze delle banche italiane non sia uniforme né dal punto di vista del settore della clientela, né da quello delle garanzie reali.

Per quanto riguarda l’inizio del 2017 le sofferenze sono rimaste ferme a 77 miliardi nel primo trimestre, confermando la fase di miglioramento che era emersa con evidenza tra fine 2016 e inizio 2017, quando i crediti deteriorati netti sono passati da un mese all’altro da 86,8 a 77,3 miliardi. Lo stock a fine marzo ammontava a 77 miliardi, il valore minimo da maggio 2014 e comunque ben inferiore al picco degli 89 miliardi del novembre 2015. Il trend è certificato dal bollettino mensile diffuso dall’Associazione bancaria italiana. Significativo anche l’indicatore del rapporto tra sofferenze nette su impieghi: ha raggiunto il 4,39%, cioè il valore più basso perlomeno da marzo 2015.

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33 1.5.1 – La distribuzione nel territorio

Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, grazie ai dati rilevati dalla CGIA, ha dichiarato il 30 gennaio 2016 che negli ultimi 4 anni le sofferenze nel sistema bancario italiano sono cresciute di quasi il 93% passando da 104,3 miliardi di euro di fine novembre 2011 a 201 miliardi (fine novembre 2015). Il 51,5% delle sofferenze si concentra nel Nord Italia, con una netta prevalenza del Nord Ovest sul Nord Est, nell’Italia centrale vi è il 26% circa, mentre nel Sud (Mezzogiorno e Isole) esse sono il 22%. La situazione è totalmente diversa se, invece di considerare il volume dei crediti in sofferenza, si considera il loro rapporto con i crediti totali. Infatti dall’analisi della CGIA è emerso che la quota maggiore dei crediti deteriorati sia presente nel Sud, dove ha toccato il 16,1% del totale impieghi. I livelli più elevati si verificano in Molise (20,7%) e Basilicata (19,9%) ma anche in alcune regioni del Centro Italia: Marche e Umbria detengono quote di sofferenze sugli impieghi che si attestano rispettivamente al 19,1% e al 16,5%, incidenze di gran lunga superiori alla media della loro ripartizione geografica (il Centro Italia), che presenta un livello del 9,3%. Le regioni che hanno risentito di meno della spinta delle sofferenze sono state quelle più legate all’economia dei servizi e al turismo: il Trentino Alto Adige presenta un livello di incidenza al di sotto degli 8 punti percentuali; Valle d’Aosta e Lazio addirittura meno del 7%.

Nel Nord Est, il vero motore del Paese, si registra la maggior crescita delle sofferenze che dal 2011 al 2015 sono più che raddoppiate (+102,2%); l’area mantiene tuttavia un livello di incidenza sugli impieghi (11,8%) di poco superiore al dato medio nazionale (11%).

La crisi, dichiara Forte (2016), ha colpito più pesantemente le regioni che hanno un’industrializzazione meno consolidata, sia perché in esse l’industria vi ha resistito peggio, sia perché i crediti all’edilizia e alle famiglie in esse sono una percentuale maggiore. Si deve ricordare che è stata la crisi immobiliare, verificata a seguito dell’elevata tassazione degli immobili, attuata dal 2012 in poi, che ha generato un’ondata differenziale di sofferenze. Purtroppo il rapporto fra garanzie reali e sofferenze da esse assistite tende a essere più basso nelle aree in cui le sofferenze sono maggiori, in quanto la valutazione del rischio tendeva ad essere omogenea a livello nazionale.

Sempre secondo lo studio condotto dalla CGIA di Mestre, a livello provinciale, il record delle sofferenze è detenuto dalla provincia di Isernia (28,5% la quota raggiunta sul

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