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2.3. L’elaborazione dei sottotitoli

2.3.2. La variazione diamesica

Col termine “variazione” ci si riferisce a quelle risorse linguistiche possedute dai membri di una data comunità linguistica, ovvero alla somma di una o più lingue impiegate in una certa comunità sociale (Berruto, 1995). Ogni lingua può essere descritta secondo diverse tipologie di variazione sociolinguistica:

1) diacronica, che riguarda le trasformazioni di una lingua nel corso del tempo; 2) diatopica, che permette di distinguere il mutamento della lingua da un punto di vista geografico, legandosi al concetto di ibridismo linguistico39 (Vitucci, 2016);

3) diafasica, che distingue il registro e gli stili della lingua utilizzata nelle varie situazioni interazionali, nonché il passaggio da un livello linguistico formale ad uno più informale;

4) diastratica, influenzata dallo strato sociale a cui appartiene il parlante, oltre che dall’età, dal livello di istruzione e anche dal sesso40.

Pur non rientrando nelle variazioni più comunemente citate nella letteratura sociolinguistica, la variazione diamesica è – come già anticipato – parte integrante e imprescindibile del processo di sottotitolazione, in quanto forma di traduzione diagonale che attua un salto di codice dall’orale allo scritto. Il problema fondamentale che si pone è come raggiungere un corretto equilibrio tra esigenze di formalità, osservanza delle regole grammaticali, sintattiche e ortografiche – tipiche dello scritto – ed opposte esigenze di informalità, ridondanza, flessibilità ed imprevedibilità proprie del registro orale. L’oralità appare effettivamente libera dalle convenzioni e dalle regole che invece dominano il linguaggio scritto, essendo caratterizzata da elementi quali pause, auto-correzioni, costruzioni

39 Compresenza di lingua standard, dialetto e varietà regionali all’interno del parlato. All’interno

del sottotitolo è importante evidenziare la possibilità di imbattersi nei così detti fenomeni del code mixing (presenza dei morfemi regionali all’interno della lingua standard) e del code shifting (passaggio dalla lingua standard al dialetto e viceversa).

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grammaticalmente semplici o addirittura incorrette, propensione alla paratassi e sovrapposizioni delle voci dei parlanti. In un dialogo orale, due o più interlocutori sono in diretto contatto l’uno con l’altro, e attraverso il dialogo condividono una situazione; questa condizione produce un linguaggio implicito dove spesso le cose sono date per scontate. Nel linguaggio scritto invece c’è la necessità di spiegare e estendere il messaggio, in quanto il lettore non è presente ed è sconosciuto (Gottlieb,

1994, p. 105). Pur essendo vero che tecnicamente non è possibile considerare il

dialogo artefatto e preparato di un prodotto audiovisivo una forma autentica di dialogo spontaneo, non si deve dimenticare la peculiarità del linguaggio filmico, sapientemente sintetizzata nella celebre frase “written to be spoken as if not written” (Gregory e Carroll, 1978, p. 42). Lo studio sistematico della lingua parlata ha permesso oggi di ridurre drasticamente il gap tra il cosiddetto filmese e il parlato spontaneo, con l’abile sceneggiatore che è così in grado di ricreare con un ottimo grado di approssimazione l’illusione della conversazione spontanea, aggirando le limitazioni poste alla stessa dalla natura e dalle necessità del prodotto audiovisivo (Braghetta, 2015, p. 45). In realtà, la completa riproduzione dei tratti del parlato non è auspicabile: sarebbe infatti inappropriato sacrificare la chiarezza del testo audiovisivo – con il rischio di comprometterne gravemente la facilità di comprensione dei contenuti e di diminuire considerevolmente la piacevolezza dell’esperienza filmica – solo per riprodurre fedelmente la frammentarietà e la sconnessione proprie dei dialoghi reali (Braghetta, 2015, p. 45). Essendo già così complessa la stesura di dialoghi filmici nella ricerca di un equilibrio tra illusione di spontaneità e facilità di comprensione dei contenuti, è facile comprendere il grado di difficoltà che si trova ad affrontare il sottotitolatore nell’effettuare il trasferimento di un dialogo da un codice apparentemente irregolare come quello orale ad uno regolato come quello scritto. In virtù di tali differenze è comprensibile l’iniziale scetticismo mostrato da parte di alcuni studiosi:

The attempt to achieve perfect subtitling has some affinity to the search for the Holy Grail. The differing design features of written and spoken languages dictate that a perfect correspondence between the two cannot obtain (Baker et al., 1984, p. 6).

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Il quadro è reso ancora più complesso dalla necessità di ridurre il materiale testuale, anziché arricchirlo con note metatestuali, glosse o elementi esplicativi come viene fatto generalmente nelle traduzione di testi letterari (Perego, 2005, p. 89). Ne consegue che la riproduzione dell’oralità mediante forme di testo scritto può risultare poco efficace, se non a volte anche artificiosa e meccanica. Si pensi per esempio all’inevitabile perdita dei tratti soprasegmentali del linguaggio, ovvero di tutti quei tratti fonici ma non verbali che concorrono a completare la comunicazione umana: intonazione e inflessione vocale sono per esempio due elementi che rendono esplicito lo stato d’animo del parlante, rendendone inoltre note le intenzioni comunicative e indicando la modalità discorsiva con cui si emette un enunciato41 (Petillo, 2012, p. 123). Ma le difficoltà incontrate dal sottotitolatore nella redazione di un sottotitolo che rimanga equivalente al testo originale non riguardano solamente la sfera paralinguistica, ma vanno ad estendersi anche ad altre realtà come quella della sfera extralinguistica42, delle pragmatiche del corpo43 e della lingua44, nonché della dimensione cronemica45 dei film (Vitucci, 2016, p. 22). Una delle strategie utilizzate dal sottotitolatore per sopperire alle differenze tra oralità e scritto è il ricorso – spesso sovrabbondante – a segni grafici di interpunzione e convenzioni tipografiche, le quali tuttavia non possono ovviare del tutto all’impossibilità di trasferire la forza comunicativa degli elementi sopra citati in un testo scritto vincolato sia in termini temporali che di spazio (Petillo, 2012, p. 124). In ultima analisi, non va dimenticato il maggiore peso che la parola scritta assume rispetto alla stessa espressa in un contesto orale, come nel caso del turpiloquio: non è un caso infatti che il sottotitolatore tenda ad omettere o ad addolcire tali espressioni blasfeme, oscene o volgari nella versione finale, in considerazione del maggiore impatto che la volgarità scritta ha rispetto alla sua controparte orale (Braghetta, 2015). Tutto questo sembrerebbe dunque portare alla conclusione che la sottotitolazione è in verità una forma troppo limitata e approssimativa per essere considerata operazione di traduzione alla pari di altre, come quella letteraria. Occorre dunque qui ribadire che il ruolo del sottotitolo è

41 Ovvero permette di capire se si tratta di una asserzione o di una esortazione, di una negazione

piuttosto che di una negazione (Petillo, 2012).

42 Ne fanno parte risate, mugugni, colpi di tosse, ecc.

43 Vestemica, oggettemica, prossemica, gesti e espressioni facciali.

44 Deittici, apocope, elisioni o alterazioni di suoni.

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quella di supporto allo spettatore, e non di fonte esclusiva di informazione: è uno dei tanti elementi all’interno di un prodotto audiovisivo che riesce a trasmettere efficacemente un messaggio grazie all’equilibrata fusione dei vari codici semiotici di cui si compone l’opera audiovisiva, dai quali lo spettatore dovrà quindi attingere contemporaneamente per giungere ad una comprensione del testo filmico che risulti essere la più completa possibile.