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Strategie per la resa di elementi culturo specifici nella sottotitolazione

risultato possibile, si premura di considerare ogni caso di impasse lessicale e culturale singolarmente, adeguando le sue scelte di volta in volta a seconda dello scopo comunicativo di ciascuno di essi (Ivir, 1987, p. 37). Questo è soprattutto vero per quanto riguarda la traduzione audiovisiva, dove i limiti tecnici a cui il traduttore deve sottostare in fase di redazione del testo target e l’indissolubile legame che esiste tra dialoghi, immagine e colonna sonora portano alla inevitabile conclusione che una buona traduzione non solo non può, ma per poter essere considerata tale, non deve prescindere dal contesto in cui si realizza l’atto comunicativo. Ma cosa si intende per “contesto”? Nel caso della traduzione audiovisiva, questo acquisisce inevitabilmente un senso molto più ampio di qualunque altra forma di traduzione, come esplicitato in Ramière (2006):

1) il cotesto linguistico;

2) il contesto polisemiotico (immagine, colonna sonora, elementi paralinguistici ed extralinguistici, ecc.);

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3) funzione e rilievo dei riferimenti culturo-specifici nell’insieme del film; 4) limiti tecnici a cui sottostare nella resa di varie parti del film (come nel caso

di uno scambio di battute molto veloce da rendere tramite sottotitolo); 5) il genere del film;

6) il pubblico a cui si rivolge il testo audiovisivo (bambini, professionisti, ipovedenti e/o ipoudenti, ecc.)

7) contesto di distribuzione (per esempio, i paratesti che accompagnano l’uscita di un film, i quali possono influenzare il modo in cui questo verrà accolto); 8) contesto culturale generale (fino a che punto i riferimenti culturali sono

condivisi tra la linguacultura target e quella source? Vi è una relazione tra le due culture?).

Se ne deduce che, solo quando il traduttore focalizza la sua attenzione non esclusivamente sul testo verbale, ma anche su quei riferimenti extralinguistici culturalmente connotati (extralinguistic culture-bound references o ECRs; Pedersen, 2005, p. 2) che contribuiscono ad una più profonda comprensione del contesto socioculturale dove la trama si realizza, si può arrivare alla resa finale dell’intero evento semiotico in lingua target. Non vi è dubbio alcuno che il piano linguistico sia quello su cui tipicamente il traduttore va ad operare, ma rappresentando un testo audiovisivo un sistema multicodice e multicanale di comunicazione, in presenza di elementi culturali molto diversi – come nel caso specifico dell’italiano e del giapponese – è responsabilità del traduttore trasmettere al pubblico di arrivo l’intero testo, mantenendo intatta la coesione semiotica della traduzione.

In audiovisual translation in general and subtitling in particular, given the time and space constraints, the existing literature has often concentrated on reduction strategies such as condensation or elimination. [...] however, [...] it is my belief that the subtitler does not, or should not, always aim at achieving the shortest translation, but, rather, the one that ensures cohesion between all codes at play, the verbal and the non-verbal (Tortoriello, 2011, p. 63).

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L’autore nel passaggio qui sopra citato si riferisce sicuramente alla relazione indissolubile tra colonna sonora ed i canali paraverbale ed iconico, ponendo nuovamente al centro la multimodalità del testo audiovisivo e l’importanza informativa di video, immagini e suono. Nel caso della sottotitolazione poi, essendo questa percepita come un’aggiunta ulteriore al prototesto e complementare al film stesso, risulta ancora più importante che ciò che viene scritto non vada a contraddire in alcun modo ciò che viene mostrato, ma bensì ne sia di supporto, contribuendo all’evoluzione narrativa, alla caratterizzazione dei personaggi e al commento dell’azione (Remael, 2001, p. 16).

La domanda che rimane dunque è: quali strategie possono essere messe in atto per facilitare la mediazione di quegli elementi culturo specifici – presenti sia al livello del canale verbale che iconico – al momento della sottotitolazione di un film proveniente da una linguacultura così diversa da quella italiana come la realtà giapponese, familiare solo ad una limitata parte della popolazione target? È proprio in un caso del genere che appare in maniera ancora più chiara la necessità per la sottotitolazione di ricoprire il ruolo di una vera e propria modalità di traduzione culturo-specifica ed intersemiotica. Rispetto quindi alla classificazione delle possibili strategie da cui partire per far fronte al problema in questione, si può iniziare prendendo in considerazione il modello proposto da Venuti (1998) basato sulle nozioni di foreignisation e di domestication: con il primo termine si fa riferimento al mantenimento delle differenze linguistiche e culturali nel testo target, così da limitare l’etnocentrismo caratterizzante qualunque tipo di traduzione e rendere il testo target un punto d’incontro, dove la linguacultura altra non viene cancellata ma bensì evidenziata e risaltata; il procedimento conosciuto come domestication è invece comune a tutte le forme di traduzione, nelle quali si tende a tradurre gli elementi culturo-specifici in modo tale da avere un testo di arrivo il più trasparente e immediato possibile tramite la cancellazione dell’esoticità del testo source e l’adeguamento a quelle forme e valori tipici della linguacultura target. Vista comunque la natura complessa dell’argomento non stupisce che, per quanto riguarda la gestione delle impasse culturali che si ritrovano nel testo audiovisivo, quello di Venuti sia il primo di tutta una serie di modelli tassonomici a cui il sottotitolatore può attingere durante il suo lavoro di traduzione di tali elementi

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culturo-specifici. Ad esempio, Tomaszkiewicz (1993) propone il suo modello comprendente otto casi diversi di:

1) omissione;

2) traduzione letterale;

3) prestito, nel caso in cui elementi culturalmente connotati vengano utilizzati nella loro forma originale nel testo target;

4) equivalenza, quando un elemento dal simile significato e funzione rispetto al termine della linguacultura source esiste nella cultura target;

5) adattamento, dove la traduzione viene adattata alla linguacultura target; 6) rimpiazzo del termine con deittici;

7) generalizzazione (o neutralizzazione);

8) esplicitazione o spiegazione parafrasata dell’elemento culturo-specifico.

Una diversa proposta ancora è quella di Valdeon (2008), che semplifica il quadro delle possibilità, dividendo le strategie implementabili in conservazione (preservation) e sostituzione (substitution): la prima prevede il mantenimento nel testo di arrivo sia degli elementi culturo-specifici che di quelli più globalmente riconosciuti; la sostituzione invece prevede più soluzioni, andando a rimpiazzare il termine culturalmente connotato con un diverso elemento della linguacultura source, piuttosto che con un altro di diffusione più internazionale, o ancora con un elemento della cultura target equivalente o vicino al significato originale, o infine con un termine sovraordinato. Tuttavia, è Pedersen (2005, pp. 3-9) colui che propone quella che forse può essere considerata come la tassonomia per le strategie di trasferimento di elementi culturo-specifici più adeguata al compito in questione, in quanto, citando le parole dello stesso autore: “matches the world, rather than trying to make the world fit the model” (ibid.). Le sei strategie così proposte vengono a loro volta divise in source-language oriented e target-language oriented, stando ad indicare che in fase di traduzione, l’attenzione del sottotitolatore si focalizzerà maggiormente sul mantenimento delle caratteristiche che contraddistinguono

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rispettivamente il testo di partenza, piuttosto che quello di arrivo63. Le strategie source-language oriented sono suddivise in:

1) mantenimento (retention), dell’elemento culturo-specifico è restituito tale e quale nel testo di arrivo (si parla allora di mantenimento completo, o complete retention), oppure in forma leggermente adattata alle esigenze della lingua del metatesto (target language adjusted);

2) specificazione (specification), dove l’elemento culturale viene “specificato” tramite l’aggiunta (addition) di più informazioni o l’esplicitazione (explicitation) di quelle informazioni implicite all’elemento culturo-specifico; 3) traduzione diretta (direct translation), assimilabile alla traduzione letterale.

Per quanto riguarda le soluzioni target-language oriented queste si dividono in:

1) generalizzazione (generalization), nel cui caso si sostituisce al termine in analisi un iperonimo;

2) sostituzione (substitution) dell’elemento culturo-specifico nel protesto, da una parte tramite l’utilizzo di un diverso elemento culturalmente connotato della lingua di arrivo (cultural substitution), oppure dall’altra con una parafrasi situazionale (substitutional paraphrase) che omette tutte le tracce del riferimento culturale originale e lo sostituisce con qualcosa di coerente con il contesto;

3) omissione (omission) di qualunque riferimento all’elemento culturo- specifico64.

63 In merito alla traduzione audiovisiva, Pedersen in realtà parla di una settima strategia:

l’equivalenza ufficale (official equivalent). Questa si differenzia dalle altre tipologie di strategie finora esaminate, in quanto prevede un processo “burocratico” piuttosto che linguistico. Infatti, perché una tale equivalenza possa esistere, è necessario che vi sia una scelta ufficiale da parte di persone delle autorità competenti sulla resa di riferimenti extralinguistici culturalmente connotati (Extralinguistic culture-bound references o ECRs come chiamati dall’autore). Questo permette di evitare dei momenti di crisi (crisis point), in quanto la soluzione è prefabbricata a tavolino, e significa che l’elemento in oggetto è già entrato a far parte della cultura target. L’autore dà l’esempio di “Donald Duck” che viene chiamato in svedese “Kalle Anka”, e non esiste altro modo per rendere il suo nome.

64 Nonostante si sia portati a pensare che questa strategia debba essere utilizzata come ultima

risorsa, Toury (1995) conferma che l’omissione è una strategia legittima e frequentemente utilizzata, e Pedersen (2011) stesso vi si riferisce come – in alcuni casi – l’unica possibile soluzione per affrontare i riferimenti culturali nella sottotitolazione.

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Osservando bene, si può facilmente notare come le tassonomie fin qui riportate presentino in molti casi modalità comuni alla resa degli elementi culturo-specifici nel testo audiovisivo. Quella che più di altre attrae l’attenzione del sottotitolatore è sicuramente la strategia della “esplicitazione”, in quanto una delle cose più difficili traduzione è riuscire a trovare il giusto equivalente per quelle parole con implicazioni culturali:

Some of the strategies [...] may seem odd and it may seem as if the subtitlers are taking rather too many liberties with the ST. This is particularly true of the more TL-oriented strategies, like Cultural Substitution. However, there are many circumstances, under which it may be justified, or even necessary to use these strategies. [...] it is important to note that even though they are listed separately, they are intertwined and interact to a very high degree, and may combine to aid or obstruct the subtitler in his or her work (Pedersen, 2005, p. 10).