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Si è visto come un film sia portatore spesso di quelli che Pedersen (2005, 2011) definisce transcultural inputs, cioè elementi capaci di oltrepassare i confini di una particolare area geografica e raggiungere diverse sfere socioculturali, perdendo così la loro culturospecificità. Tuttavia, durante il processo di traduzione, il sottotitolatore dovrà confrontarsi con quei momenti di crisi di traduzione (translation crisis point; ibid.), ossia con quegli elementi sconosciuti al pubblico di arrivo65: è il caso ad esempio degli input iconici extraverbali, i quali presentano talvolta una connotazione così forte al livello macrotestuale che non possono essere ignorati nella mediazione interlinguistica (Vitucci, 2017).

Perego (2009) ricorda come il carico semantico dei segni para ed extraverbali che accompagnano le colonne sonore dei prodotti audiovisivi giochi spesso un ruolo

65 Può anche succedere che questi elementi siano talmente culturospecifici da poter essere

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predominante rispetto allo stesso canale verbale, essendo proprio tali segnali non- verbali – sia fonici che non – che spesso completano il messaggio o addirittura ne costituiscono l’unico mezzo di trasmissione all’interno del testo filmico. Nei suddetti casi, prima di iniziare il lavoro di traduzione vera e propria, il sottotitolatore dovrà analizzare il testo tenendo in considerazione i seguenti elementi:

1) il trasferimento degli elementi paralinguistici nella dimensione verbale della traduzione sottotitolata, ovvero il processo di verbalizzazione di tutti quegli elementi non-verbali appartenenti sia al canale uditivo che non-uditivo66, che rendono la comunicazione umana completa, naturale e non artificiale (Canepari, 1985, p. 87), contribuendo alla trasmissione dell’intenzione comunicativa del parlante;

2) il passaggio diamesico dalla lingua parlata alla lingua scritta, cioè la resa sotto forma di sottotitolo scritto di quella che Chaume (2001, p. 78) – in riferimento ai dialoghi filmici – definisce oralità prefabbricata (oralidad prefabricada);

3) il trasferimento dal canale iconico al linguaggio verbale, con la verbalizzazione delle immagini laddove i limiti spazio-temporali della sottotitolazione lo consentono;

4) il trasferimento delle informazioni acustiche nel sottotitolo, con la colonna sonora – sottoforma di musica, rumori, e/o altri suoni significativi – che talvolta richiede esplicitazioni tanto quanto altre variabili semiotiche, influenzando le scelte del traduttore in fase di sottotitolazione.

Tutti questi sono elementi che influenzano le scelte del sottotitolatore e i quali possono far diventare la traduzione più esplicita nella resa in lingua target di anche quei messaggi trasmessi tramite il canale iconico o la cinesica. Nell’ambito degli Audiovisual Translation Studies si fa riferimento al trasferimento dell’impianto multisemiotico nei sottotitoli con la dicitura di esplicitazione intersemiotica, ovvero quel procedimento per la reintegrazione degli elementi non-verbali nel testo target che permette al sottotitolatore di mettere in primo piano parti di informazioni

66 Con elementi non-verbali non-uditivi si intendono cinesica e prossemica; gli elementi non-

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altrimenti lasciate implicite al tessuto linguistico e culturale del testo di origine. Più specificatamente, vi sono tre forme di esplicitazione che partecipano attivamente alla decodifica dell’informazione para ed extralinguistica. Due di queste risultano sicuramente familiari, consistendo nelle modalità di aggiunta (addition) e di specificazione (specification) già citate in un lavoro precedente della stessa Perego (2003) riguardo la definizione di esplicitazione nel senso più ampio del termine: con il primo tipo di intervento, si inseriscono degli elementi linguistici assenti nel testo di partenza; nel secondo caso invece, si opera al livello lessicale della lingua, sostituendo un’unità lessicale del source text con una che sia di natura più specifica e precisa nel terget text. La terza forma di esplicitazione che si va ad unire alle precedenti due è la tecnica della riformulazione (reformulation), la quale opera al livello testuale e comporta la sostituzione di una frase – o di una qualunque parte di questa – del prototesto con un’altra che risulti maggiormente esplicativa ed informativa nel metatesto.

Vitucci (2017, p. 90), in riferimento alla sottotitolazione di prodotti audiovisivi in lingua giapponese, pone l’attenzione specificatamente sulla difficoltà di interpretazione di quei gesti che si manifestano attraverso deittici e usi simbolici delle mani e del corpo, situazione che impone al sottotitolatore di avere già familiarità con la società in cui si realizzano tali gesti per riuscire in una loro corretta interpretazione e, conseguentemente, in un’esauriente loro decodifica e conseguente esplicitazione nel metatesto in lingua target.

[…] the interpreter will also need solid background information about the cultures they are working with, particularly the geography and contemporary social and political history. These form the backbone of a culture’s cognitive environment. This also means being aware of the popular culture (the culture’s heroes, TV, films, personalities, etc.) (Katan, 1999, p. 13)

Inoltre, non solo i segnali rappresentativi (representative signals) – come i gesti di asserzione o di diniego in varie lingue – ma anche i così detti segnali simbolici (symbolic signals) risultano ben connotati culturalmente e geograficamente,

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perdendo il loro significato se esportati in un contesto diverso da quello della linguacultura in cui si realizzano (Tassan, 2005, p. 47). Vitucci (2017, p. 90-99) individua quindi cinque casi specifici di esplicitazione innescata da quella specifica cinesica locale inconsciamente utilizzata dagli attori su schermo, attraverso la quale si riesce a mantenere la coesione semiotica del testo audiovisivo, risultante proprio dall’interazione del dialogo con i suddetti input iconico-acustici:

1) Esplicitazione indotta dalla decodifica di gesti simbolici. Kress (2010) afferma che la gestualità dipende essenzialmente dal background storico e culturale di ogni singolo paese. In Giappone, ad esempio: toccarsi il naso con la punta del dito indice significa indicare sé stessi; formare un anello con le dita a mano rovesciata vuol dire fare riferimento al denaro; colpirsi il ventre con il pugno serrato è un richiamo al suicidio rituale (seppuku); oppure far scivolare il pollice dall’alto verso il basso sulla guancia indica l’appartenenza di qualcuno all’associazione mafiosa giapponese conosciuta come yakuza (Vitucci, 2016, p. 49). La decodifica di una scena al cui interno si ritrovino alcuni tra i qui sopra indicati gesti simbolici, presuppone quindi sia una conoscenza di tipo intraculturale del significato del gesto in questione nella comunicazione giapponese, sia la necessità di andare a disambiguare il dialogo – caratterizzato da una evocatività espressa dall’uso pragmatico del gesto e dal contemporaneo vuoto linguistico che sovente vi si accompagna – grazie ad un’esplicitazione tramite specificazione (specification);

2) Esplicitazione indotta dalla decodifica iconica di elementi della cultura source. Anche nei casi in cui a essere citati iconicamente siano degli elementi tipici – quali cibi, oggetti tradizionali o prodotti commerciali molto famosi nella linguacultura source – senza che però all’interno della colonna sonora ve ne siano dei riferimenti, la migliore soluzione è ancora una volta quella di una esplicitazione tramite specificazione (specification) che trasmetta così l’intero evento semiotico. Considerando infatti l’alta probabilità che la target audience non abbia familiarità con tali elementi, al livello interlinguistico è necessario agire risolvendo il rebus iconico per consentire una chiara comprensione di ciò che sta accadendo nella scena (Taylor, 2016; Pym, 2010). Il sottotitolatore deve quindi farsi promotore di una conoscenza

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interculturale, andando a decifrare sia quelli che sono i pensieri (way of thinking; Vitucci, 2016, p. 50) sia lo stile di vita (way of life; ibid.) della linguacultura source che attraverso il cinema vengono esportati e mostrati in contesti molto diversi tra loro. Così facendo, si possono inoltre evitare casi di sostituzione culturale (cultural substitution; Vinay e Darbelnet, 1995), cioè quel processo di adattamento per cui un elemento culturale del prototesto viene sostituito nel metatesto con uno più familiare alla cultura target, aumentando sì la velocità e la capacità di comprensione di quanto avviene su schermo, ma finendo per alterare l’identità stessa del testo audiovisivo e conseguentemente eliminare qualunque possibilità di approfondimento conoscitivo dello spettatore. Grazie all’esplicitazione tramite specificazione invece, si riesce a limitare lo sforzo cognitivo e, allo stesso tempo, di avvicinare l’audience di arrivo alla linguacultura source67.

3) Esplicitazione indotta dalla decodifica di gesti iconici deittici. L’interazione costante tra la colonna sonora e il canale iconico dà vita spesso a fenomeni di ibridazione semiotica non sempre facili da riconoscere e classificare. Come si è già avuto modo di vedere, il traduttore dovrà puntare al raggiungimento della migliore mediazione possibile tra il minimo sforzo cognitivo da imporre agli spettatori e il massimo grado di efficacia del sottotitolo per garantire la comprensione globale di quanto avviene su schermo, secondo il principio della rilevanza (Kovačič, 1994)68. Grazie alla multimedialità del testo audiovisivo, si ha di conseguenza sempre la possibilità di eliminare alcune parti della colonna sonora in presenza di messaggi veicolati dalla sfera extraverbale (Chuang, 2006), consentendo così al traduttore di attuare nel sottotitolo una esplicitazione tramite ellissi (ellipsis).

4) Esplicitazione indotta dall’incrocio tra gesti deittici e ricorso evocativo del linguaggio. Vi sono particolari scene che raccolgono alcuni degli aspetti più rappresentativi del dialogo giapponese, come la circolarità, la collaboratività

67 Questo viene chiamato da Cavagnoli (2012) il “fine etico dell’atto traduttivo”.

68 È meglio puntare ad un sottotitolo più breve ma con un maggior carico cognitivo, oppure ad

un altro più lungo ed informativo così da risultare meno impegnativo dal punto di vista della decifrazione? Ciò che importa dovrebbe in realtà essere una valutazione del contesto e della velocità del dialogo, e del genere di film: questa analisi permette così al sottotitolatore di concentrarsi sui bisogni dalla audience di arrivo e di valutare caso per caso se ci siano gli estremi per attuare una riduzione della colonna sonora originale.

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e l’evocatività69: quest’ultima in particolare è spesso responsabile della presenza nel dialogo di una totale ellissi del verbo, che viene “suggerito” allo spettatore originale del prodotto audiovisivo in lingua source dal canale iconico sottoforma, per esempio, di gesti deittici e/o dell’ambientazione stessa dove si svolge la scena. In questi casi, la soluzione proposta è quella di una esplicitazione tramite aggiunta (addition), giustificata in primis dalle differenze sintattiche tra la lingua giapponese e una lingua come quella inglese o italiana che non rendono possibile la formulazione di una frase di senso compiuto senza la presenza del predicato. Grazie all’aggiunta si può non solo quindi aiutare lo spettatore a meglio contestualizzare la narrazione, ma si riesce anche ad ovviare ad una qualunque inconsistenza pragmatica al livello interculturale.

5) Esplicitazione indotta da rebus iconici non verbalizzati. Come si è già più volte cercato di far notare, spesso gli spettatori appartenenti alla linguacultura target non riescano a decifrare i gesti, le espressioni facciali e i movimenti non appartenenti alla loro sfera culturale. Partendo da questo punto come presupposto, si cerchi di immaginare il caso in cui ad un quadro già difficilmente intelligibile per una audience diversa da quella source, si unisca il tentativo del regista di suscitare un’emozione particolare in chi guarda – come ad esempio l’umorismo – esclusivamente tramite riferimenti e rebus iconici non basati sulla colonna sonora: superfluo dire che la situazione si complica molto in tali circostanze, col sottotitolatore che deve riuscire a colmare in qualche modo il gap comunicativo così creatosi. Rispetto ad una narrazione quindi dove vi è la chiara scelta di non volersi affidare ai dialoghi per la trasmissione del messaggio originale, il traduttore può tentare di risolvere la situazione grazie ad una strategia di esplicitazione tramite, per esempio, l’aggiunta (addition) di una nota pop-up nel tentativo di svelare il significato nascosto dietro al canale iconico.

In conclusione, senza il ruolo di mediatore non solo linguistico, ma soprattutto culturale, interpretato dal traduttore, comprendere interamente – nella sua

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complessità polisemiotica – un testo audiovisivo appartenente ad un contesto linguistico e culturale completamente diverso da quello di un eventuale pubblico target, risulterebbe impossibile. Le strategie qui riportate sono quindi alcune delle possibili risposte a quei punti critici della traduzione di un testo audiovisivo che permettono non soltanto di garantirne una migliore fruibilità, ma anche di alleviare il carico cognitivo dello spettatore, il quale non bisogna mai dimenticare essere impegnato simultaneamente in un triplice processo di visione-lettura-ascolto (Vitucci, 2017) durante la fruizione di un prodotto audiovisivo.

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Capitolo 4

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Nel seguente capitolo si presenta il lavoro di sottotitolazione dal giapponese all’italiano del film 「ジャージの二人」 Jāji no futari70, adattamento cinematografico dell’omonimo libro di 長嶋有 Nagashima Yū. In particolare, si intende soffermarsi sull’analisi del tessuto polisemiotico del testo audiovisivo, andando a prendere in esame quei casi definiti da Leppihalme (1997) cultural bumps, ossia quei veri e propri momenti di distanza culturale che se non correttamente esplicitati in fase di sottotitolazione, rischiano di minare la corretta e completa fruizione del messaggio originale da parte dello spettatore finale. La mediazione del traduttore diventa dunque imprescindibile non solo da un punto di vista linguistico, ma anche culturale, a dimostrazione del fatto che, essendo il significato finale dato dall’unione dei vari canali semiotici che compongono il testo (coesione intersemiotica), il sottotitolatore dovrà riuscire a decodificare anche quelle parti di informazioni altrimenti lasciate implicite al tessuto linguistico e culturale del testo di origine.