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La variazione diatopica: l’italiano regionale.

Le varietà prese in esame: tratti segmentali e prosodic

4.2 La variazione diatopica: l’italiano regionale.

Oltre alle modificazioni all’interno di una lingua, legate al suo sviluppo in diacronia, quelle derivanti da un’analisi sincronica sono invece legate a tre fattori fondamentali: lo spazio, la classe sociale, la situazione comunicativa.

La variazione legata all’asse spaziale, diatopica, è derivante dalla distribuzione dei parlanti sulla base o dell’area geografica di provenienza, o dell’area di diffusione di una varietà di lingua. Le varietà, dunque, potranno essere locali o regionali, o varietà nazionali, all’interno di comunità plurilingue.

La variazione sociale, o diastratica, è in relazione al gruppo sociale di appartenenza dei parlanti, e alla posizione che il parlante occupa nella stratificazione sociale.

La situazione comunicativa, infine, determina variazioni legate sia al canale attraverso cui avviene lo scambio comunicativo, dette anche diamesiche, sia variazioni funzionali, o diafasiche, dovute al contesto, cioè all’uso effettivo della lingua in diverse condizioni.

In realtà fra le diverse varietà non vi sono confini netti, ma sovra estensioni di diversi tratti, tanto che “ciascun asse di variazione si può concepire come un continuum che unisce due varietà contrapposte come poli estremi fra cui si collocano varietà intemedie” (Berruto 1993a:9). Una volta cioè riconosciuti i principali fattori di variazione, è difficile riuscire ad individuare i caratteri capaci di descrivere e definire ciascun tipo di varietà, poiché essi non si trovano “in distribuzione complementare”, e poiché “la stessa varietà può diventare di tipo diverso” (Voghera 1992:41-42).

Se ci si rivolge all’italiano ci si accorge come i tratti che ne consentono una diversificazione in varietà presentano i contorni di un continuum, cioè “una gamma di varietà sufficientemente ben identificabili, ma senza dei confini ben definibili tra loro” (Berruto 1993: 15). Gli assi di variazione, inoltre Sembrerebbe inoltre esservi un rapporto di inclusione tra gli assi di variazione, che determinerebbero contemporaneamente una data varietà. Ancora secondo Berruto, essi sembrano agire l’uno dentro l’altro, e più precisamente l’asse diastratico dentro quello diatopico, la diafasia dentro la diastratia, la diamesia dentro la diafasia (1993a: 9).

L’analisi svolta prende in considerazione le differenze linguistiche intervarietà legate all’asse diatopico. Tali distinzioni, generalmente, sono tanto più marcate e frequenti quanto più estesa è l’area di diffusione di una lingua, ma, nel caso dell’italiano, esse vanno attribuite alla ricchezza del sostrato dialettale da un lato, e alla lenta affermazione dell’italiano come lingua d’uso nazionale dall’altro. A partire dagli anni Venti, ma soprattutto a partire dalla seconda metà

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del Novecento, alla variabilità diatopica dell’italiano si è fatto riferimento in termini di italiano regionale, anche se, in questo caso, l’aggettivo non rimanda alle regioni amministrative, ma solo al carattere areale della varietà di lingua.

L’italiano regionale è infatti il risultato dell’incontro tra la realtà dialettale propria di ciascuna zona della penisola italiana, e la lingua nazionale, quella dell’amministrazione e della scuola prima, della maggioranza della popolazione poi. Nella nostra penisola la dimensione diatopica costituisce “l’elemento principale di variabilità e, per lo meno nell’uso orale, si sovrappone a tutti gli assi di variazione della lingua” (Cerruti 2009: 34). Essa investe principalmente gli aspetti prosodici e fonetici, ma anche tutti i livelli di analisi, fino al piano testuale e al sistema dei gesti (Diadori 1993), passando per tutti i livelli di analisi linguistica. Anche a livello fonologico, la dimensione diatopica si riflette sul sistema, con processi fonologici di varia natura (neutralizzazioni, fonologizzazioni..). Il livello fonetico è sicuramente quello più sensibile alla variazione, poiché, oltre alla variabilità legata ai fenomeni di coarticolazione, è sempre mancata una norma standard a cui fare riferimento. Ciò ha fatto sì che ogni parlante si è sempre rivolto al contesto areale, cioè al dialetto locale, in cui è inserito come modello su cui adattare la propria pronuncia.

Ai livelli più alti di analisi, nell’asse diatopico si inserisce, in misura maggiore che per il livello fonetico, l’asse diastratico. Molti tratti, infatti, come le variazioni nei sistemi pronominali o nell’ordine degli elementi, sono connotati diastraticamente come bassi o popolari.

Diverso, e particolare, il piano del lessico, senz’altro il più ricco di regionalismi o di contributi locali. La ricchezza del lessico, inoltre, si rileva dal fatto che un termine o un’espressione non sempre trovano corrispondenza nel dialetto della zona di diffusione, o anche perché i suoi confini d’uso non sempre coincidono con quelli del sostrato dialettale (D’Achille 2011). Il lessico, inoltre, non solo sembra resistere al processo di standardizzazione che investe gli altri livelli di analisi, ma anche arricchirsi, grazie a produttivi processi di formazione delle parole, anch’essi soggetti a variazioni di natura diatopica69

. Ai regolari meccanismi di derivazione, si aggiungono fenomeni più marcati diastraticamente, come quelli di ipercorrettismo o di formazioni analogiche.

La nozione di regionalità rimanda dunque ad un continuum, ad una realtà non discreta, i cui confini (dialetto da un lato, e italiano standard dall’altro) rappresentano l’unico aspetto

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L’impiego di suffissi derivazionali sembra infatti avere dei confini areali (“a Roma si sente spesso caruccio,

caruccetto invece di carino, carinetto; è certamente settentrionale la terminazione in –azzo/-a in paninazzo

«pagnottella»; il suffisso –accio/a è particolarmente frequente in Toscana, dove può avere anche non valore spregiativo; a Napoli risalgono dal dialetto i suffissi illo/élla in bellillo/bellélla «bellino/bellina»; in Sicilia è caratteristica non solo del dialetto ma anche della varietà d’italiano la produttività del suffisso –ina” (D’Achille 2011).

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sufficientemente descritto. All’interno di questi confini certi, sussistono realtà tutt’altro che omogenee e unitarie, sia perché il tratto di regionalità, come già detto, si combina con altre dimensioni, sia perché questa commistione diventa inestricabile se dal versante fonetico si passa ad altri livelli della lingua. Se, infatti, una mappa delle varie caratteristiche regionali è possibile, seppur difficilmente, su base fonetica, lo stesso non avviene per la morfosintassi, in cui non è possibile discernere tratti che siano propriamente regionali, o legati allo stile individuale. Ciò è dimostrabile anche su base esclusivamente linguistica, poiché “la probabilità statistica e la effettiva occorrenza della pronuncia regionale di un dato fonema è di gran lunga più elevata della probabilità e della occorrenza di un uso lessicale morfologico o lessicale o sintattico” (De Mauro 1970: 171).

Studi più recenti (Galli De’Paratesi 1994) hanno dimostrato che anche il versante fonetico sarebbe interessato da processi di standardizzazione, o di sovraregionalità, nel senso che molti tratti si starebbero diffondendo aldilà del loro territorio di origine, comportando, come nel caso della sonorizzazione di /s/ intervocalica, un riassestamento del repertorio fonematico dell’italiano (in questo caso dovuto alla mancanza di opposizione tra /s/ e /z/, che si verifica anche nelle affricate /ts/ e /dz/). Questo in molti casi è dovuto all’affermazione di caratteristiche di varietà avvertite come di prestigio, ma in altri si lega a tendenze già in atto nella lingua standard, in quanto si verifica su elementi più deboli del sistema stesso.

C’è anche chi, come Troncon Canepari (1989,) si è spinto a delineare delle “normative”, ai vari livelli, che consentano di distinguere l’italiano ‘regionale’ da quello ‘popolare’. “Per la pronuncia, è regionale ciò che deriva dall’influsso diretto o indiretto dei dialetti di sostrato e/o di adstrato”. La pronuncia popolare invece è caratterizzata da influssi analogici di altre forme. Lo stesso vale per le forme più grammaticali. Ma bisogna rilevare che un ruolo preponderante è giocato anche dalle caratteristiche individuali.

Un accento regionale può, infine, addirittura essere rivendicato come simbolo di una specificità, di una differenziazione rispetto a un altro gruppo che ne crei un’identità distinta; o, in senso contrario, essere svalorizzato e associato a cattivi costumi o abitudini locali, tanto da arrivare a essere mascherato o rifiutato.

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