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Il ruolo della prosodia nella comunicazione

3.1. Lo statuto della prosodia

La prosodia, spesso confusa con una delle sue componenti privilegiate, l’intonazione, è una parte del sistema linguistico orientata a organizzare e a gerarchizzare l’informazione, e a ordinare le strutture sintattiche.

La prosodia è la modulazione dei parametri acustici di durata, intensità, e frequenza fondamentale della voce, che si estende su un dominio più ampio che il segmento fonologico50. Per la sua estensione ci si riferisce ad essa anche in termini di livello soprasegmentale51. Le dinamiche prosodiche si manifestano, dunque, in una dimensione pluriparametrica (Rossi 1999), dal momento che le sue ‘strutture’(accento, intonazione, ritmo) sono date dall’interazione dei tratti suddetti.

La prosodia manifesta una caratteristica unica per chi si interessa di fonetica, in quanto mentre una sequenza segmentale è necessariamente accompagnata da un profilo intonativo, uno schema prosodico, invece, può esistere senza contenere una sequenza segmentale o, ancora, appoggiandosi a una sequenza segmentale artificiale e asemantica conservando una sua capacità comunicativa. “Questo strumento imprescindibile per la comunicazione orale si realizza attraverso un meccanismo articolatorio estremamente economico: attraverso una variazione di poche decine di Hz rispetto alla frequenza fondamentale propria di ciascuno e determinata dalla anatomia individuale, o a una variazione di pochi millisecondi nella durata dei segmenti, o di piccole variazioni nella pressione dell’aria espiratoria, la prosodia, come abbiamo visto, riveste diverse funzioni e trasmette numerosi significati” (Albano Leoni 2001).

La grossa difficoltà nello studio della prosodia deriva dalla enorme variabilità che la caratterizza. Se questa sembra essere una caratteristica comune a tutte le realizzazioni fonetiche,

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Per un’analisi dettagliata dei correlati fonetici dei tratti prosodici si rimanda al volume di Sorianello (2006).

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Anche tale sinonimo, introdotto da Hockett (1942) ma già contenuto nella nozione di superposizione proposta da Trager (Crystal 1969: 49), crea della ambiguità. Se ne possono dare, infatti, almeno tre definizioni: a) la prima, quella di Hockett, si riferisce all’estensione, più ampia che un segmento fonologico; b) per la seconda, risalente a Martinet, è soprasegmentale ciò che non partecipa alla doppia articolazione del linguaggio (vedi discussione a testo); c) la terza, infine, si deve a Lehiste, secondo cui è soprasegmentale un tratto che non può essere identificato mediante opposizione paradigmatica, ma solamente per contrasto sintagmatico, in relazione, cioè, alla sequenza fonica (1970:1- 3).

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che si articolano e variano lungo un continuum adattandosi e modificandosi in base al contesto, la variabilita riguarda ancora di più i fenomeni prosodici, per diversi motivi. Albano Leoni (2009) fa una chiara sintesi dei fattori problematici che interessano il dominio prosodico. Il primo che l’autore riconosce è quello fisico: “tutte le variabili fisiche che la determinano (il tempo e l’intensità per il ritmo, la frequenza per l’intonazione) si dispongono lungo un continuum del quale non esiste una rappresentazione discreta già data (come è invece, grazie alla scrittura, per fonologia, morfologia, lessico e, in parte, sintassi)”(Albano Leoni 2009: 41).

Il secondo fattore rintracciato dall’autore riprende la concezione di doppia articolazione di Martinet. Secondo Martinet (1962; 1964) i tratti prosodici sono “marginal phenomena because an utterance is properly linguistic in so far as it is doubly articulated” (1964: 93), e ancora “some prosodic features like intonational contours are not distinctive in the sense in which a phoneme is distinctive, but directly meaningful” (1962: 30). Ritornando alla schematizzazione di Albano Leoni “la prosodia non è facilmente scomponibile e meno che mai è riducibile al modello della doppia articolazione [...] anche se in certi casi è possibile isolare qualche porzione di prosodia, come nel caso dell’interrogazione, ed equipararla, sia pure con qualche forzatura, a un monema, queste porzioni non sono ulteriormente analizzabili come la combinazione di un numero finito di unità ricorrenti. Infatti i valori fisici che determinano la prosodia sono sempre e tutti radicalmente relativi, valutabili e interpretabili solo in rapporto a ciò che segue e a ciò che precede all’interno dell’intera unità prosodica considerata. Di conseguenza l’unità prosodica (ad esempio l’unità tonale o i suoi costituenti minori) è piuttosto il risultato di una dinamica tra grandezze variabili, definite solo all’interno di una configurazione data. Quindi, di un segmento vocalico in sé, del quale posso descrivere in modo ‘oggettivo’ l’altezza, l’intensità e il timbro, nonché la durata, anche se con qualche incertezza dovuta ai problemi di segmentazione, non posso dire se sia linguisticamente acuto o grave, lungo o breve, intenso o debole. Insomma, la prosodia è tutta nei rapporti, continuamente mutevoli, tra grandezze, anche esse continuamente mutevoli e che noi percepiamo come forme (Gestalten)”(2009: 41-42).

Il terzo fattore è derivante dalla “natura particolare della fortissima variabilità prosodica [...] una caratteristica fondamentale di tutte le manifestazioni foniche (e non solo foniche) delle lingue. Ma, mentre la variabilità nella realizzazione dei suoni che costituiscono la stringa è, in qualche modo e almeno in parte, riconducibile a una qualche altra forma di variazione (diatopica, o diastratica, o diafasica che sia), per cui non concorre a determinare il contenuto semantico dell’enunciazione, la variazione prosodica, a parità di condizioni diatopiche, diafasiche e diastratiche (che essa pure manifesta), è sempre il riflesso di una sia pur lieve differenza nelle intenzioni comunicative del parlante, nei suoi atteggiamenti, nelle sue emozioni, nei suoi stati

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d’animo: ad una variazione prosodica corrisponde sempre una variazione semantico-pragmatica dell’enunciato, perfettamente chiara a chi ascolta” (2009: 42-43).

Anche per quanto riguarda gli studi percettivi, solo negli ultimi anni alcuni ricercatori hanno rivolto la loro attenzione al versante prosodico, studiando i processi di riconoscimento di accento e di parole. Nonostante i numerosi studi sulla percezione dei fonemi isolati, ancora poco si sa riguardo al modo in cui le informazioni fonetico-acustiche, elaborate dalla periferia del sistema uditivo, siano usate dai successivi meccanismi di elaborazione, situati lungo le vie neurali e nella corteccia cerebrale, nei compiti che richiedono il riconoscimento di parole e la comprensione del linguaggio. Si sa ben poco anche su come i cambiamenti nella struttura segmentale e/o soprasegmentale del segnale possano intaccare l’intelligibilità, e, di conseguenza, la comprensione del messaggio linguistico. Ma “a fronte di queste difficoltà nella descrizione della prosodia, c’è la constatazione del fatto che i parlanti ne conoscono alla perfezione il funzionamento e ne usano a pieno le potenzialità. Dunque la prosodia dispone di una sua grammatica che consente la trasmissione di un numero grandissimo di sensi a partire da una stessa sequenza e che inoltre si intreccia sia con la sintassi, grazie ai complessi processi della focalizzazione, della messa in rilievo, della dinamica informativa, della articolazione in unità, sia con la semantica (il caso più evidente è quando la prosodia contraddice il contenuto lessicale di un enunciato)” (Albano Leoni 2009: 44-45)

I risultati ottenuti fino ad oggi hanno mostrato che non è sufficiente identificare i tratti pertinenti dei fonemi per risolvere il problema della percezione, e della comprensione della lingua parlata; questo dipende dal fatto che la percezione del segnale vocale non si basa solo sulle informazioni strettamente interne al segnale ma è sempre influenzata dall'informazione esterna e dalle informazioni già presenti nel cervello nel sistema sensorio di chi ascolta. Percezione linguistica, infatti, non può essere sinonimo di percezione fonemica; isolare un solo livello del processo di percezione, se da una parte può avere dei vantaggi pratici, dall’altra può portare a limitare la nostra visione del processo percettivo, inducendoci ad ignorare i contributi e le interazioni con gli altri livelli. Questa limitazione, oltre a essere la causa della formulazione di teorie percettive incomplete e incorrette, finisce col rinnegare, in un certo senso, i risultati che riconoscono un ruolo primario ai fattori prosodici e ad altre fonti di conoscenza di livello superiore rispetto a quello fonemico. E’stato ampiamente dimostrato dalla letteratura del settore, infatti, che, nel parlato, il processo percettivo ricorre anche alle informazioni apportate dai tratti soprasegmentali: l’intonazione, le pause, il ritmo, la quantità, le variazioni di timbro e di velocità di eloquio, tutti elementi che segnalano le intenzioni di chi parla (Crystal 1969; Liberman and Sag 1974; Pierrehumbert and Hirschberg 1990), i confini interni dell’enunciato, la struttura

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informativa (Cresti 2000), e i punti di maggiore enfasi all’interno dell’enunciato. I tratti relativi alle variazioni timbriche (falsetto, sussurro, bisbiglio, voce rauca) forniscono, inoltre, informazioni riguardo allo stato emotivo del parlante (Fonagy 1983; Ohala 1983; Bolinger 1986; Gussenhoven 2002; Gussenhoven & Rietveld, 1998; Grabe, Post et al., 2000).

Il fatto più significativo è che lo studio della prosodia, nell’ambito della linguistica, non è più esclusivo della fonetica, della fonologia o della ricerca sul trattamento automatico della voce, ma riguardante tutte le branche degli studi linguistici, dalla sintassi, alla semantica, alla pragmatica. L’elemento che accomuna i vari punti di osservazione può essere rintracciato nell’aspetto funzionale che finalmente viene riconosciuto alla prosodia.

Come per gli altri livelli di analisi linguistica, anche nell’intonazione sono riconoscibili due piani di osservazione: quello funzionale, e quello concreto, sebbene quest’ultimo risulti spesso instabile e difficoltoso, a causa appunto delle diverse interpretazioni, o dei metodi di descrizioni utilizzati. L’intonazione comunque può essere definita come fisiologicamente, e anche filogeneticamente, antecedente al linguaggio, in quanto acquisita già dal bambino subito dopo la nascita (Mehler et al. 1988).

Esistono, dunque, delle norme e delle regole, interne a ogni lingua, applicate alla pronuncia e all’intonazione, condivise da tutti i parlanti madrelingua, determinate e controllate logicamente e antropologicamente dalla comunità linguistica. L’intonazione dunque corre parallelamente alla struttura sintattica di un enunciato, ed è strettamente legata alla logica e alla psicologia, che ne fanno un aspetto davvero generale e universale della comunicazione. E’ la base logico-semantica a determinare le strutture intonative; tuttavia bisogna considerare e valutare anche tutte le componenti paralinguistiche che intervengono a complicare l’indagine, ma che sono determinanti per garantire il buon esito della comunicazione. Tali aspetti mettono bene in evidenza il punto più controverso e ‘paradossale’ del dominio prosodico: questo è, infatti, allo stesso tempo un universale linguistico, e uno dei tratti più idiolinguistici, non solo, infatti, le dinamiche prosodiche variano di lingua in lingua, ma, all’interno di uno stesso sistema di lingua, sono suscettibili allo stile del parlato, e alle attitudini e alle caratteristiche del parlante (Hirst, Di Cristo 1998).

Qual è dunque lo statuto dei fenomeni prosodici? E qual è, per i linguisti, la rappresentazione migliore per descriverli?

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