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In questo capitolo si analizzerà la traduzione delle allusioni nella letteratura per l’infanzia: si mostrerà cosa sono, come si possono usare in letteratura e nei libri per bambini, e come possono essere tradotte. Segue poi un’analisi di sette strategie traduttive che si possono applicare alle allusioni.

Il modo in cui le allusioni – cioè i riferimenti ad altri testi o altri elementi culturali – possono condizionare un testo dipende in parte da quali elementi di una determinata cultura sono considerati più importanti; tra questi possiamo includere la Torah e il Talmud, il Nuovo Testamento, il Corano, i classici, le opere di Shakespeare, filastrocche o canzoncine per bambini, celebrità o personaggi politici, e molti altri. Se un autore in un testo cita altre opere, altri personaggi o eventi storici e culturali, oppure altre idee, sta al traduttore capire perché e se tali allusioni possono essere lasciate così come sono, o devono invece essere sostituite con elementi della cultura di arrivo.

Le allusioni

Intertestualità è un termine letterario usato per la prima volta da Kristeva per indicare il modo in cui un autore può riprendere la trama, lo stile, un’espressione o un personaggio dell’opera di un altro autore. Esso è stato usato soprattutto per i testi letterari, invece il termine allusione indica un riferimento, spesso indiretto, a qualcosa che è stato creato o usato in precedenza, e può trattarsi di una canzone, di un personaggio politico o di qualsiasi altro elemento. In altre parole, allusione è un termine più ampio, nonostante alcuni critici, come Irwin, preferiscano usarlo perché è più facile da definire (2004). Qui si userà soprattutto il termine allusione, sebbene vi sia una forte sovrapposizione tra allusione e riferimento interculturale. L’allusione è “materiale linguistico pre-esistente” (Leppihalme 1997, p. 3), un espediente stilistico che, se riconosciuto dal pubblico, può subito richiamare uno scenario,

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un sentimento o comunicare un messaggio. Può trattarsi di una semplice parola, di un’espressione, una caratterizzazione, una scena o altro. Le allusioni possono essere riferimenti a persone famose o quasi famose, a libri, film, prodotti, idee, situazioni/eventi o stili e, in certi casi, possono persino trovarsi all’interno di battute comprese solo dall’autore e magari da pochi altri.

I testi, finzionali e non, possono alludere in tanti modi a persone, a libri, opere d’arte o altri elementi. Tra i vari esempi troviamo la citazione diretta (qualche volta, ma non sempre, tra virgolette), la scelta di nomi specifici per oggetti o personaggi, l’uso di descrizioni o di caratteristiche che evocano ricordi, di un riferimento ma in una situazione ribaltata (rendendo uomo un personaggio femminile, per esempio, o una frase affermativa negativa), l’impiego di una frase nota o di un modo di dire, e/o dare una certa quantità di informazioni su di un particolare riferimento, ovviamente con la speranza o l’aspettativa che il lettore riesca a intuire il resto. Alcuni autori si aspettano che i loro lettori abbiano già le conoscenze necessarie per comprendere il riferimento, mentre altri sperano che le loro allusioni possano incoraggiare i lettori a fare delle ricerche e a imparare.

Le allusioni in letteratura

Lefevere scrive che “possono incontrarsi regolarmente nella letteratura inglese quattro tipi di allusioni: bibliche, classiche, culturali e letterarie” (1992, p. 22). È importante spiegare che tali allusioni possono differenziarsi in base alla lingua in cui il testo è stato scritto e in base all’età e alla formazione culturale del pubblico a cui esso è destinato. Uno scrittore non sempre sceglie intenzionalmente di impiegare un’allusione: il fatto di conoscere o essere ispirato da un libro o da un film può far sì che l’autore ne venga inconsciamente influenzato. Ad ogni modo, esistono tanti possibili motivi per cui l’autore abbia voluto usare le allusioni, anche se il lettore/traduttore ne è raramente al corrente. Lefevere spiega che “gli scrittori alludono spesso ad altri

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lavori della letteratura di cui partecipano (o a testi di altre letterature) per rendere consapevole il lettore di somiglianze e differenze tra ciò che stanno leggendo e ciò a cui si allude” (1992, p. 25). Leppihalme accenna alle seguenti possibilità: “il desiderio di richiamare l’attenzione sull’insegnamento o sull’intera produzione di qualcuno”; “arricchire il testo apportando nuovi significati e associazioni”; “il tentativo di caratterizzare la gente o di trasmettere ai personaggi pensieri, o impressioni e atteggiamenti inconsci”; o “incrementare il significato di un testo generalizzando o trasmettendo l’idea di universalità” (1997, p. 7). Inoltre, le allusioni tematiche possono creare “un’intensificazione dell’emozione, un desiderio di suggerire che nel contesto allusivo è presente qualcosa, nella situazione o in un personaggio, che è più importante di quello che il lettore potrebbe invece pensare, e che può essere di fondamentale importanza per l’interpretazione di tutto il testo” (1997, p. 37).

A tutto questo si può aggiungere che le allusioni sono una sorta di abbreviazione pigra, un modo per descrivere o suggerire qualcosa senza dover fare un grande sforzo. E se le allusioni possono essere un modo con cui l’autore si dà delle arie o sfoggia tutto il suo sapere, come dice Leppihalme, nel testo si possono usare allo stesso scopo anche per i personaggi. Inoltre, il lettore, nel riconoscere e comprendere un’allusione, o nel riuscire a decifrare a cosa si riferisca l’autore, potrebbe sentirsi più intelligente. Può anche essere vero il contrario: le allusioni potrebbero mostrare che i personaggi di un libro non siano eruditi e, inoltre, quei lettori che si accorgono dell’uso di un’allusione, ma che non riescono a capirla, potrebbero finire per arrabbiarsi con se stessi o con l’autore. Potrebbero persino smettere di leggere il testo in segno di protesta, di disagio o di fastidio, come se percepissero che quel determinato testo non sia adatto a loro. Tutto ciò si collega al post- colonialismo, in quanto tali allusioni potrebbero destabilizzare il lettore che non è in possesso di quel codice culturale.

Le allusioni si possono anche usare in modo umoristico, ad esempio se l’autore le modifica leggermente e in qualche modo ci gioca, o se si usano per parodiare altri testi. Per esempio, Carroll nel suo primo libro di Alice si burla delle filastrocche; è curioso che le sue parodie abbiano tenuto in vita i testi

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originali molto più a lungo di quanto altrimenti non sarebbe stato, dato che esse sono famose, mentre gli originali si ricordano per lo più in connessione con le opere di Carroll. Come già detto, le allusioni si possono usare anche all’interno di battute tra pochi, ad esempio se l’autore si riferisce al suo lavoro o alla sua vita, o come un modo di ammiccare al lettore che ne è “al corrente”. All’interno della letteratura per bambini, se ne trova un esempio in Campione

in gonnella di David Walliams. Quando il personaggio principale, Dennis,

viene scoperto mentre indossa un vestito da donna, suo padre dice: “That’s it. No more watching that show Small England or whatever it’ called where those two idiots dress up as ʽlaydeesʼ. It’s a bad influence”. David Walliams, l’autore del libro, si ritrova anche a essere l’attore David Walliams, che compare in un programma comico chiamato Little Britain dove qualche volta indossa veramente un vestito da “laydee”. Per recepire tale allusione il bambino lettore dovrebbe sapere chi sia l’autore del libro e quali altri ruoli abbia in società, e inoltre dovrebbe rendersi conto che “Small England” nel libro è un riferimento umoristico a “Little Britain”. Ci si aspetterebbe dal bambino una conoscenza culturale troppo elevata, ma Walliams può avere inserito l’allusione come battuta per chiunque sia stato in grado di capirla. Alcuni autori aggiungono dei riferimenti semplicemente per divertirsi e/o mostrare il loro gradimento di una determinata influenza.

Inoltre, le allusioni possono essere un modo con cui gli autori si riferiscono ad argomenti che altrimenti si potrebbero considerare inappropriati o difficili, poiché insinuano senza che lo scrittore abbia bisogno di affermare direttamente qualcosa. Più avanti verranno proposti degli esempi di allusioni usate per riferirsi all’argomento tabù della morte.

Le allusioni possono servire ad anticipare ciò che in un testo o in una serie avverrà in seguito. Si possono usare delle finte allusioni, magari per ingannare il lettore, un personaggio o altro, per creare un mondo diverso dalla realtà esistente.

In un senso più ampio, “l’allusione rifugge le semplici gerarchie causa- effetto perché non è né un’originale, una copia, una totalità, né una parte di un tutto, ma sono linee parallele tra loro che portano avanti il significato in modo

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differente” (Orr 2003, p. 139). Quindi, l’uso di allusioni può essere parecchio complicato e il modo in cui il lettore/traduttore percepisce una determinata allusione può di fatto influenzare la lettura dell’intero testo.

Daniel Handler, riguardo alla sua scelta di usare così tante allusioni nei libri di Lemony Snicket, ha scritto:

I Baudelaire esistono in un mondo circoscritto da libri, tutti i poteri e i segreti del mondo sono contenuti nelle pagine dei libri che i bambini trovano in varie biblioteche. Era ovvio secondo me che le persone di questo mondo facessero quindi riferimento a delle opere letterarie e alla cultura. Ancora meglio se questo spinge più la gente a leggere Les fleurs du mal. (17 novembre 2007)12

In altre parole, egli ha intuito che il contesto della serie richiedeva o avrebbe comunque tratto vantaggio dall’uso di allusioni. In questo caso, non importa che i lettori comprendano le allusioni. La loro sola presenza può creare l’atmosfera che secondo l’autore è necessaria al testo. Come dice Desmet, “ciò che è importa non è tanto il collegamento ma l’uso che l’autore fa di quel collegamento, intenzionalmente o no” (2006, p. 123). Handler spiega che tali allusioni possono anche dare un insegnamento ai lettori, perché possono sentirsi stimolati a cercare il riferimento e a impararlo. Tor Edvin Dahl, traduttore in norvegese di Roald Dahl e di Lemony Snicket, crede che la comprensione delle allusioni non sia fondamentale, ma che piuttosto aggiunga un qualcosa in più al piacere della lettura:

Anche se la maggior parte dei lettori non lo ha compreso tutto, gran parte del libro è stata divertente e interessante solo perché era strana. Non era necessaria una spiegazione, ma è stato un piacere in più per coloro che lo avevano capito. (23 aprile 2010)13

In altre parole, come suggerisce Dahl, l’atto di alludere può avere significati diversi al di là della stessa scelta dell’allusione.

12Corrispondenza privata con l’autore [tradotta in italiano N.d.T.]. 13Corrispondenza privata col traduttore [tradotta in italiano N.d.T.].

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I bambini e le allusioni

Ovviamente, nel caso della maggior parte delle funzioni qui discusse, i lettori devono riconoscere l’allusione, anche se solo nel semplice senso di riscontrarne l’ uso, senza coglierne necessariamente le connotazioni. Il lettore, o il traduttore, raramente può essere certo di ciò che l’autore ha voluto intendere, a meno che non l’abbia detto esplicitamente e, persino in questo caso, potrebbe non aver detto la verità o non ricordare esattamente quali fossero le intenzioni iniziali. Non tutte le persone appartenenti a una cultura o a una subcultura riconoscerebbero automaticamente un’allusione, specialmente se è passato del tempo tra il momento in cui l’argomento a cui si allude è stato sollevato o diffuso per la prima volta e quando vi si allude, o quando il testo a cui si allude viene letto. Ci può anche essere un altro tipo di distanza tra lettore e testo, per esempio un’allusione riguardante una area culturale specifica a cui non tutti i lettori hanno accesso. Tutto ciò è addirittura più complicato nella letteratura per l’infanzia, poiché all’interno di una cultura non tutti i bambini ricevono la stessa educazione o la stessa esposizione ai testi o agli eventi storici e culturali, di conseguenza gli scrittori devono porre più attenzione quando scelgono di usare delle allusioni in testi che saranno letti dai o ai bambini. Come conferma Lathey, “un elemento di sviluppo che riguarda il traduttore di testi per bambini è quello del suo inevitabile limitarsi al mondo conoscitivo dei piccolo lettori. Non possiamo aspettarci che essi abbiano acquisito la piena comprensione di altre culture, lingue, geografie date per scontato per il pubblico adulto” (2006, p. 7).

Le allusioni, quindi, hanno a che fare con la questione delle conoscenze culturali e storiche e con ciò che è considerato un sapere condiviso o necessario all’interno di una società. Nel Diario di una schiappa di Jeff Kinney, il personaggio principale, Greg, per Natale riceve una Barbie beach fun (2007, p. 118) nonostante avesse in realtà voluto la casa di Barbie da poter usare come fortificazione per i suoi soldatini (2007, pp. 116-117). Greg è continuamente preoccupato dall’essere considerato una “schiappa” ed è quindi importante che il lettore riconosca cosa sia la Barbie e quali connotazioni implichi. Le

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conoscenze culturali qui sono essenziali affinché il lettore capisca Greg e la sua situazione. Alcuni libri, comunque, lasciano pensare che le conoscenze culturali siano importanti, anche se in un secondo momento potrebbero non rivelarsi tali. Per esempio, nel suddetto romanzo di David Wallians, l’autore si riferisce agli “Hobnob” (2008, p. 24), biscotti inglesi che molti bambini riconoscerebbero, come anche ad altri dolcetti per bambini, ad esempio i cioccolatini “Maltesers”, il “Toblerone”, il “Bounty”, le gelatine, le patatine “Skips”, “Moster munch”, gli ovetti “Cream eggs” e la Coca Cola Light (2008, p. 126). E ancora, menziona Loose Women (2008, p. 29), un programma televisivo che i bambini possono o no aver visto, o di cui potrebbero aver sentito parlare; Vogue (2008, p. 39), una rivista di moda che sicuramente i bambini non leggono; e stilisti di moda, compresi Yves Saint-Laurent, Christian Dior, Tom Ford, Alexander McQueen, Louis Vuitton, Marc Jacobs e Stella McCartney (2008, p. 48), che neppure il protagonista Dennis conosce e che quindi potrebbero essere sconosciuti ai giovani lettori, i quali non sono così tanto interessati alla moda come lo è Dennis. In altre parole, tali allusioni possono essere note a certi lettori, ma possono risultare estranianti e confonderne degli altri. Tutte richiedono un certo livello di conoscenze culturali, sebbene si potrebbe argomentare che dire che un personaggio mangia gli “Hobnob” implica il riferimento a un tipo di cibo, e mostrare un personaggio che guarda un’edizione di Vogue suggerisce che si tratta di un qualcosa da leggere. In certi casi, quindi, l’effettiva allusione può essere meno rilevante della categoria a cui appartiene. In termini di potere, tutto ciò non toglie potere al lettore più di quanto avverrebbe con qualsiasi altro tipo di allusione.

Al contrario, gli autori possono decidere di inserire delle allusioni per spingere l’interesse del bambino verso tematiche che essi (cioè gli autori) pensano che questi (i bambini) debbano imparare. Per esempio, un riferimento a una citazione, al titolo di un libro, a un brano musicale, potrebbero stimolare i bambini curiosi a fare una piccola ricerca e provare a saperne di più sull’argomento – come Handler/Snicket sembra sperare – o spingere gli insegnanti e i genitori a trarre insegnamento da tale allusione. Una serie di

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sfortunati eventi di Lemony Snicket è un insieme di tredici romanzi sui piccoli

Violet, Klaus e Sunny Baudelaire e le loro sfortunate avventure. All’interno di questi libri sono presenti diverse allusioni, a cominciare dai nomi dei bambini: il loro cognome fa riferimento all’autore francese Charles Baudelaire. Snicket potrebbe avere scelto questo cognome perché ammira l’opera di Baudelaire o solo perché gli piaceva questo suono, oltre che per altri motivi più validi come voler volutamente collegare l’origine dei bambini, o i fatti della loro vita, a qualcosa di simile in quella di Baudelaire. Non importa quali possano essere state le sue intenzioni, resta il fatto che l’allusione si trova lì sin dall’inizio della serie. L’allusione a Baudelaire continua, perché nel secondo libro c’è una serpe chiamata Mamba du mal. Come lo stesso Handler ha già spiegato prima, si riferisce alla raccolta di poesie di Baudelaire Les fleures du mal, o I fiori del

male, e il male è un tema presente in tutta la serie. Qui l’autore adulto sta

usufruendo della sua posizione privilegiata di potere e sta pensando di educare i “nativi”, ovvero i bambini.

Esiste almeno un sito web che si propone di analizzare tutte le allusioni dell’opera di Snicket. Handler ha spiegato: “non ho passato molto tempo su quei siti, ma sembra che stiano creando una community di lettori appassionati, il che tutto sommato mi sembra positivo. Non ci vedo niente di male nel rendere più semplice per i giovani l’approccio a Baudelaire” (10 dicembre 2007).14 Ancora una volta questo ci mostra che uno dei suoi obiettivi è educare i lettori e permettere loro di “avvicinarsi a Baudelaire” o ad altri autori. Uno di questi siti web spiega che Violet Baudelaire viene chiamata così dopo che la domestica si era uccisa per lo stress dovuto al rapimento del figlioletto dei Lindbergh, e che i nomi dei suoi due fratelli minori sono dovuti alla situazione seguente: “il ricco imprenditore Claus Von Bulow fu condannato per aver iniettato a sua moglie, Sunny, un cocktail letale di insulina. Il verdetto più tardi vene ribaltato. La storia in seguito è diventata un film: Il mistero Von Bulow. Mentre Klaus in questa serie ovviamente non uccide la sorellina Sunny, i tre fratellini subiscono davvero un capovolgimento della sorte: già dopo poche

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pagine del primo libro perdono in un incendio i loro amorevoli genitori e la loro casa, e sono portati dal signor Poe, il banchiere – il nome di uno dei suoi figli è Edgar, e dell’altro è Albert (non Allen) – a vivere presso il terribile e avaro conte Olaf. Casualmente, anche Edgar Allen Poe rimase orfano quando era piccolo, e più avanti nella serie si fa riferimento a una delle sue poesie, il che suggerisce che l’opera di Poe ha influenzato Handler tanto quanto h fatto quella di Baudelaire.

La serie è consigliata ai bambini tra i 9 e i 12 anni, e viene da chiedersi quanti di questi bambini conoscerebbero, per esempio, Robert Frost (decimo libro), Giuseppe Verdi (dodicesimo libro), Il gabinetto del dottor Caligari (nono libro), Giorgio Armani (sesto libro), Le avventure di Huckleberry Finn (tredicesimo libro), Genghis Khan (quinto libro), il mostro Scilla dell’ Odissea di Omero (settimo libro), la Pèsach (secondo libro), Il canto d’amore di J.

Alfred Prufrock di T. S. Eliot (quinto libro), Duke Ellongton (undicesimo

libro), o qualsiasi altra delle numerose allusioni, soprattutto letterarie, che compaiono nei tredici libri. Molto probabilmente non tutti i bambini riconoscerebbero tutte queste informazioni culturali e storiche, ma il lettore curioso potrebbe fare delle ricerche, per esempio nel suddetto sito web, o potrebbe chiedere a un adulto ben informato. Chissà, ad ogni modo, se i piccoli lettori preferirebbero cercare le allusioni sconosciute o semplicemente saltarle e andare avanti.

Le poche allusioni bibliche della serie, come quella del serpente che nel tredicesimo libro dà ai personaggi una mela, sono più facili da riconoscere, sebbene ci si potrebbe chiedere se i bambini inglesi di oggi siano al corrente dei fatti della Bibbia come lo erano in passato. Tutto ciò, quindi, ci riporta alle questioni delle funzioni, delle conoscenze culturali e del potere degli adulti sui bambini. Forse Snicket ha inserito tali allusioni per divertire se stesso e/o tutti i lettori adulti dell’opera, escludendo quindi i bambini, e rendendo questi libri non proprio dei libri per bambini; o magari le ha inserite per mostrare il proprio ingegno, o per spingere il lettore a partecipare attivamente alla costruzione del significato di tali testi (cioè sono “testi scrivibili”, e non “leggibili”, come dice Barthes [1974]). Un’altra possibilità sarebbe che invece, – o in aggiunta, –

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Snicket abbia voluto usare questi libri soprattutto per insegnare qualcosa ai bambini (come il concetto della scelta di Hobson dell’undicesimo libro), ma è poco probabile per il modo in cui i libri sembrano in generale andare contro la tipica struttura, la lingua e gli obiettivi della letteratura per l’infanzia. Tradizionalmente, tanti libri per bambini sono stati usati a scopo pedagogico, quindi Snicket potrebbe aver voluto evitare il tono moralista, da predica, di alcuni di questi libri, nonostante nella serie egli insegni molte parole nuove, anche se non sempre in modo corretto (si veda il capitolo 2 per saperne di più sui neologismi). Per le sue idee l’autore potrebbe anche essersi affidato alle proprie conoscenze letterarie e culturali, e potrebbe non essere consapevole di come questi influssi si siano insinuati nel testo. Qualunque sia il vero motivo che sta dietro alle allusioni, si può dire che questi libri per bambini non siano