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Traduzione e commento di capitoli scelti da "Translating Expressive Language in Children's Literature. Problems and Solutions" di B. J. Epstein

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I

Indice

PARTE I INTRODUZIONE ... IV Capitolo I 

1.LA VARIETÀ TESTUALE ... VI 

1.1 Tipi e generi testuali ... VIII 

1.2 Due generi a confronto: testo saggistico vs. testo specialistico ... XV 

1.2.1 Il saggio ieri e oggi... XVI 1.2.1.1 La forma del saggio ...XIX 1.2.1.2 Tradurre il saggio ...XXII 1.2.2 Testo e linguaggio specialistico ... XXV 1.2.2.1 Le dimensioni orizzontale e verticale nei testi

specialistici...XXVII 1.3 Il testo di B. J. Epstein ... XXVIII

Capitolo II  

2.IL TESTO SPECIALISTICO E L SUA TRADUZIONE ... XXXIV 

2.1 Caratteristiche testuali e retoriche ... XXXV 

2.2 Caratteristiche morfosintattiche ... XXXVI 

2.3 Caratteristiche lessicali ... XXXVII 

2.4 Competenza intertestuale del traduttore ... XXXIX 

2.5 I livelli specialistici ... XL

Capitolo III 

3.COMMENTO ALLA TRADUZIONE ... XLII 

3.1 Morfosintassi ... LII 

3.2 Tempi verbali e modalità ... LII 

3.3 Lessico ... LIV 

(2)

II CONCLUSIONI ... LX BIBLIOGRAFIA ... LXI PARTE II PROPOSTA DI TRADUZIONE ... - 2 - APPENDICE ... - 98 - 

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III

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IV

INTRODUZIONE

Per il lavoro di tesi si è scelto di affrontare la traduzione di alcuni capitoli dal libro di B. J. Epstein Translating Expressive Language in Children’s

Literature, un testo di recente pubblicazione (2012), e ancora inedito in Italia,

in cui l’autrice analizza la traduzione dall’inglese alle lingue scandinave di diverse modalità del linguaggio espressivo nella letteratura per l’infanzia, fornendo tutta una serie di casi esemplificativi.

In particolare, il lavoro di tesi è suddiviso in due sezioni: la prima, riguarda il commento traduttologico, mentre la seconda presenta la proposta di traduzione.

Nella prima parte del commento, il primo capitolo costituisce un’introduzione generale al concetto di varietà testuale, e si concentra sulla differenza tra ʻtipiʼ e ʻgeneriʼ, facendo particolare riferimento alle classificazioni tipologiche proposte da Werlich (1971), Biber (1989) e Sabatini (1999). In seguito, ci si sofferma su due generi discorsivi, quello saggistico e quello specialistico, cercando di delineare, da un loro confronto, le rispettive caratteristiche, per poi chiudere con una presentazione del libro scelto per la traduzione e delle sue peculiarità.

Il secondo capitolo è incentrato sul genere specialistico e sulle particolarità e specificità di tale varietà dal punto di vista retorico e stilistico, morfologico e testuale. Inoltre, si accenna alla differenza delle consuetudini redazionali dei testi in inglese e in italiano, di cui il traduttore deve necessariamente essere consapevole, e per concludere si presentano tre classificazioni dei livelli specialistici dei testi proposte da diversi studiosi.

Il terzo capitolo è dedicato interamente al commento vero e proprio della traduzione, al fine di mostrare le strategie e le scelte traduttive che sono state messe in atto.

Infine, la seconda parte si apre con la proposta di traduzione riguardante l’introduzione e i capitoli By Any Other Name? Translating Names e Life is

Just an Allusion: Translating Allusions, rispettivamente il terzo e il quinto, del

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V

raccolte le traduzioni in italiano di una parte degli esempi, tratti da libri per bambini, che l’autrice ha inserito nel testo.

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VI

Capitolo I

1. LA VARIETÀ TESTUALE

Oggi, quella della separazione tra aspetto pratico e aspetto teorico della traduzione, sta diventando sempre più un’idea datata e superata. Di fatto, si comincia a vedere la traduttologia come una disciplina in cui, al contrario, teoria e prassi debbano concorrere alla formazione di una figura professionale di traduttore competente, in grado di mettere in atto una strategia completa e coerente.

Per tale motivo, prima di entrare nel pieno delle riflessioni sui tipi testuali, sarà utile ripercorrere brevemente le tappe preliminari del processo traduttivo. A questo scopo, è di grande aiuto il contributo di Bruno Osimo che, nel corso delle sue proficue pubblicazioni relative all’ambito traduttologico, si sofferma in maniera specifica sul testo saggistico e definisce il processo traduttivo come una trasformazione che porta da un prototesto a un metatesto, in cui si riconosce una componente variante e una invariante.1 Tale processo traduttivo comincia ben prima dell’atto di traduzione vero e proprio, in primis con la lettura del testo da tradurre, cui si aggiunge in secondo luogo anche la lettura generale, personale e disinteressata del traduttore, fondamentale per l’acquisizione della sua competenza e di un suo bagaglio culturale.2 Inoltre, prima di affrontare la traduzione, il testo deve essere sottoposto a un’analisi linguistica e culturale approfondita. L’analisi linguistica è necessaria poiché prevede l’identificazione dell’argomento del testo e delle relative parole chiave, in modo da riuscire a rispettare e garantire la coerenza anche nel testo tradotto. Inoltre, è importante capire a quale genere testuale appartenga il testo nella cultura emittente per sapere se esiste in entrambe le culture e se ha, in entrambe, un ruolo simile (per maggiori approfondimenti sul genere testuale si

1B. Osimo, La Traduzione saggistica dall’inglese,Milano, Hoepli, 2007, p. 3 (corsivo mio). 2“Lettura, esperienza personale e professionale del traduttore garantiscono l’interpretazione che, grazie alla sua competenza comunicativa, verrà trasmessa e adattata alla cultura ricevente” (B. Osimo, La Traduzione saggistica dall’inglese, cit., p. 4).

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VII

veda paragrafo 1.1).3 Altri aspetti importanti da considerare nel corso dell’analisi linguistica sono: lo stile dell’autore, valutando comunque la sua posizione rispetto agli standard stilistici culturali prevalenti nel genere in cui scrive, e l’individuazione della marcatezza lessicale e sintattica, allo scopo di riportare e riprodurre nel metatesto lo stesso atteggiamento più o meno standard. Anche l’analisi culturale è molto importante per non produrre equivoci e residui comunicativi tra cultura emittente e ricevente. Infatti, il traduttore, oltre al codice linguistico, deve conoscere il codice culturale per poter intervenire sul messaggio della cultura ricevente e riformularlo, esplicitando in certi casi ciò che altrimenti non sarebbe comprensibile per quella cultura, e non esplicitando in altri, poiché risulterebbe ridondante.4

Un’ulteriore tappa fondamentale che il traduttore deve seguire prima della traduzione “per elaborare una strategia comunicativa sensata” è l’individuazione del lettore modello e della dominante del testo. Tradurre vuol dire infatti adattare un testo alle esigenze comunicative di qualcuno, nello specifico, adattarlo consapevolmente al prototipo del proprio destinatario, ovvero il lettore modello. A quest’ultimo è legato il concetto di dominante del testo, che indica tutti quegli aspetti e quelle informazioni testuali che il traduttore ritiene siano essenziali e importanti da trasferire al lettore modello. È ovvio che cambiando lettore modello e traduttore è possibile che cambi anche la dominante.5

“Ultimata l’analisi e individuata la strategia traduttiva, e quindi il lettore modello e le dominanti, il traduttore può cominciare a rendere in forma verbale il frutto della propria elaborazione”.6 Segue, quindi, la cosiddetta “prima

3Come sottolinea Osimo, “Attenzione a non confondere «genere testuale» con «genere letterario». Mentre quest’ultimo è un concetto che si applica esclusivamente alla letteratura finzionale e poetica, il concetto di genere testuale comprende tutta la produzione, letteraria e non” (B. Osimo, La Traduzione saggistica dall’inglese, cit., p. 5).

4B. Osimo, La Traduzione saggistica dall’inglese, cit., p. 6.

5Ogni traduttore, attraverso la propria analisi del prototesto, determinerà una gerarchia di dominanti e sottodominanti, fino ad arrivare al residuo traduttivo (aspetti impossibili da trasferire e che pertanto verranno sacrificati o, in certi casi, verranno “tradotti” fuori dal testo principale della traduzione, ad esempio nel paratesto) [B. Osimo, La Traduzione saggistica

dall’inglese, cit., p. 11].

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VIII

stesura”, che è solitamente caratterizzata da calchi lessicali e sintattici.7 L’ultima fase di revisione prevede, infine, la lettura (magari ad alta voce) del metatesto, pensando al pubblico e alla cultura che accoglieranno la traduzione, il controllo di eventuali sviste o omissioni, e l’adattamento alle convezioni editoriali e grafiche della cultura ricevente.

1.1 Tipi e generi testuali

Il procedimento traduttivo suggerito da Osimo vale per tutte le tipologie di testi. Per descrivere e dare conto della varietà dei testi reali e, allo stesso tempo, per raggrupparli in classi coerenti di “tipi testuali”, sono state elaborate svariate proposte tipologiche, le quali differiscono l’una dall’altra poiché ognuna è stata costruita assumendo come base un criterio differente. In generale, si può affermare che la classificazione dei testi in tipi si fonda sul concetto di “intertestualità”, ovvero la variabile che riguarda le correlazioni esterne di un testo con altri testi e, in particolare, il modo in cui la produzione e la ricezione di un testo vengono influenzate dai testi già prodotti all’interno di uno stesso contesto socioculturale.8

Qui ci si limiterà a presentare alcune tra le tipologie testuali più conosciute e utilizzate anche in ambito didattico. Nello specifico, si tratta di tipologie funzionali, vale a dire incentrate sia sulla funzione dominante del testo che sul rapporto autore/destinatario. La prima classificazione che si vuole proporre è quella di Werlich (1976), una tipologia funzionale e cognitiva allo stesso tempo, che è condotta sulla base di tre variabili fondamentali: lo scopo che l’emittente si prefigge, il destinatario a cui intende rivolgersi, le circostanze in cui avviene lo scambio comunicativo. Si tratta di una tipologia in cui si riconoscono i seguenti tipi di testo:9

7Osimo chiama la lingua della prima stesura traduttese, “una lingua che nella realtà extratraduttiva non esiste […] una sorta di lingua creolizzata illeggibile […]” (B. Osimo, La

Traduzione saggistica dall’inglese, cit., p. 12).

8F. Scarpa, La traduzione specializzata, Hoepli, Milano, 2001, p. 10.

9S. Masi, “I tipi testuali”, unità (con esercizi) in S. Bruti, S. George, S. Masi, Comunicazione

interculturale e traduzione specialistica, modulo per Master online di traduzione specialistica

dall’inglese verso l’italiano, Consorzio ICoN, Italian Culture on the Net (Pisa) (www.mastertraduzionespecialistica.it), 2008.

(9)

IX

1) Descrittivo - Fornisce al ricevente un’immagine di una persona, un paesaggio, un oggetto, ecc., considerati in un contesto spaziale. Si trova, ad esempio, nelle descrizioni tecniche di periodici e riviste specialistici, nelle parti descrittive di opere letterarie, nelle guide turistiche e nei blog di viaggio, in didascalie/leggende (di opere d’arte), ecc.

2) Narrativo - Fornisce al ricevente informazioni su fatti ed eventi visti nel contesto temporale. Si trova, ad esempio, nei racconti, nei brani narrativi dei romanzi, nei reportage, nelle biografie, ecc.

3) Argomentativo - Si basa sulle relazioni tra concetti, ovvero sostiene una tesi attraverso delle argomentazioni a favore di tale idea e/o contro idee opposte (funzione persuasiva). Si trova, ad esempio, negli articoli scientifici, in articoli e discorsi politici, pubblicità, ecc.

4) Espositivo - Fornisce informazioni utili su fatti, persone, ecc. (funzione informativa). Si trova, ad esempio, negli orari dei treni, in avvisi/annunci scritti o orali, in saggi informativi e articoli scientifici, nelle enciclopedie, ecc.

5) Regolativo - Fornisce istruzioni su cosa fare/non fare, e/o su come fare qualcosa. Si trova, ad esempio, in norme, regolamentazioni, istruzioni per l’uso, volantini, ricette, ecc.

Un’altra classificazione tipologica è quella proposta da Biber (1989), che si basa su criteri linguistici formali. In essa, si riconoscono 8 tipi testuali:10

1) Interazione privata (intimate interpersonal interaction), che compare soprattutto in generi quali conversazioni faccia a faccia o conversazioni telefoniche tra amici.

2) Interazione a fini informativi (informational interaction), in generi come, ad esempio, interviste, conversaazioni d’affari, ecc.

3) Esposizione tecnico-scientifica (scientific exposition), in prosa accademica scientifica di argomento tecnico (di ingegneria, medicina, scienze naturali).

10Ibidem.

(10)

X

4) Esposizione scientifico-umanistica (learned exposition), in prosa accademica scientifica di ambito umanistico, scienze sociali, legge, ecc.

5) Fiction/narrativa di argomento di fantasia (immaginative

narrative), fiction, romanzi d’avventura, ecc.

6) Esposizione narrativa generica (general narrative exposition), che costituisce il raggruppamento più ampio e include reportage, editoriali, biografie, ecc.

7) Reportage contestualizzato (situated reportage), per esempio, in trasmissioni sportive.

8) Testo con fini persuasivi/argomentativi (involved persuasion), in interviste, discorsi spontanei, lettere professionali, ecc.

Per concludere, si vuole porre particolare attenzione al modello pragmatico di Sabatini (1999), il quale si basa sulla “bilateralità” funzionale di qualsiasi testo.11 Tale tipologia cataloga i testi in base al loro grado di rigidità/esplicitezza e alla funzione per cui sono stati prodotti, e privilegia i vincoli posti al destinatario per la decodifica del testo, individuando un continuum su cui si trovano 3 macrotipi testuali:

1) Testi con discorso molto vincolante, che sarebbero anche massimamente espliciti (testi normativi, scientifici e tecnico-operativi);

2) Testi con discorso mediamente vincolante (testi divulgativi, espositivi, informativi);

3) Testi con discorso poco vincolante, che sarebbero anche minimamente espliciti (testi letterari prosastici e poetici).

Quindi, secondo tale tipologia, l’autore, nel selezionare una data ‘materia base’ e nel darle una determinata forma testuale, si rivolge a un certo tipo di lettore,

(11)

XI

che non è solo un elemento passivo ma è un vero e proprio interprete del testo, stabilendo quale margine di libertà intende lasciargli per la sua interpretazione. Nel far questo egli può avere l’intenzione:

1) di esporre concetti estremamente precisi intorno alla materia prescelta e quindi di ottenere dal lettore una interpretazione del testo identica, o quasi, alla propria […];

2) di rivolgersi a un lettore ancora non informato su quella materia, accontentandosi perciò di ottenere da lui un’interpretazione abbastanza vicina alla propria […];

3) di esprimersi mostrando parte di sé, lasciando al lettore un buon margine di libertà nell’interpretazione del messaggio, affinché faccia entrare nel testo anche il frutto della propria esperienza.12

Sabatini non si limita a proporre una tassonomia generale, infatti elenca anche una serie di caratteristiche formali tipiche di ogni categoria, come mostra la seguente tabella13:

Tabella 1. Classificazione tipologica di Sabatini

GRIGLIA DI TRATTI PER UNA

TIPOLOGIA TESTUALE

T. MOLTO

VINCOLANTI T. MEDIAMENTE VINCOLANTI T. POCO VINCOLANTI

TRATTI

CARATTERIZZANTI Scient. Giurid. Tecn. Studio Divulg. Prosa Poesia

1. “Ordine di costruzione” rigorosamente impostato ed

evidenziato (blocchi di testo abbastanza brevi, per lo più numerati e concatenati da chiari legamenti sintattici).

+ + + + - - -

12F. Sabatini, La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica dei testi, analisi logica, storia

della lingua. Loescher, Torino, 1990, p. 634.

13Si tratta della tabella proposta dall'autore nella sua grammatica del 1990 alle pagine 638-639 (in essa la presenza di un tratto linguistico è indicata dal segno <+>, l’assenza dal segno <->, una presenza variabile da <±>).

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XII

2. Riferimento a precisi principi e “concetti di partenza” ( del tipo assioma e postulato) esposti nel testo stesso o richiamati o sottintesi + + + + - - - 3. Definizioni esatte di fenomeni, comportamenti, oggetti, ecc. , e codificazione dei relativi termini

+ + + + - - -

4. Esposizione di alcune informazioni anche attraverso formule (con simboli e numeri), tabelle e grafici + + + + - - - 5. Uso frequente di legamenti sintattici a distanza + + + + - - - 6. Uso di legamenti semantici solo del tipo “ripetizioni”, sostituenti o iperonimi + + + ± - - - 7. Punteggiatura che rispetta sempre la costruzione sintattica dell’intera frase (non la interrompe quasi mai con punto e virgola e mai col punto fermo; i due punti sono usati solo prima di elenchi, definizioni, formule)

+ + + ± - - -

8. Prevalenza della costruzione passiva normale su quella col si passivante (ed

esclusione della frase “segmentata”) per esprimere la “direzione di osservazione passiva” degli eventi

+ + + ± ± - -

(13)

XIII

illustrare il discorso

10. I concetti vengono ripetuti in forme diverse

(“parafrasi”) - - ± + + ± -

11.Varietà di caratteri tipografici dentro il testo ( a prescindere dai titoli) - - + + + ± ± 12. Frasi incidentali - - - + + + + 13. Inizio di enunciati con E e Ma - - - ± + + + 14. L’autore si rivolge direttamente al lettore o ai lettori (usando il “tu”o il “voi”) o rivolge il discorso del testo a uno specifico destinatario

- - ± ± ± + +

15. Presenza di avverbi “frasali” (in funzione di

“espansioni”) - - - - + + +

16. Costruzioni impersonali col si (non considerando le frasi soggettive)

- - - - + + +

17. L’autore parla spesso in prima persona singolare (“io”) - - - - + + + 18. Ellissi di preannuncio - - - - + + + 19. Sinonimi - - - - + + + 20. Frasi interrogative ed esclamative - - - - + + + 21. Metafore, metonimie, sineddochi, - - - - + + +

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XIV litoti, ironie 22. Brani in discorso diretto - - - - + + + 23. Uso di anafora a breve distanza, per ricerca di effetto e non per necessità tecnica

- - - - ± + + 24. Paragoni - - - - ± + + 25. Coordinazione per asìndeto (o giustapposizione ) e per polisindeto - - - - ± + +

26. Uso della forma “media” dei verbi (o

“riflessivo di affetto”) - - - - ± + +

27. “Stile nominale” (assenza di verbi negli enunciati; enunciati anche di una sola parola) - - - - ± + + 28. Interiezioni e onomatopee - - - - ± + + 29. Coesione puramente semantica in parziale sostituzione di quella sintattica - - - + + 30. Coesione affidata anche alla prosodia e agli effetti sonori (ritmo, assonanze, consonanze, rime

- - - ± +

Occorre precisare che quando si parla di tipi testuali non si intende fare riferimento ai generi, e viceversa. In realtà si tratta di due concetti differenti: i

tipi testuali sono delle categorie astratte, delle norme idealizzate a partire da

criteri di differenziazione rigidi e teoretici, per la cui analisi bisogna considerare le caratteristiche formali del testo; l’analisi dei generi (discorsivi),

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XV

invece, si fonda sull’uso della lingua per determinati scopi comunicativi. Sono quei comportamenti linguistici che nascono da convenzioni proprie di un contesto sociale istituzionalizzato all’interno di una certa cultura e che vogliono raggiungere degli scopi ben precisi. I generi costituiscono, quindi, una categoria più ampia di quella del tipo testuale, in quanto di natura socio retorica, e sono in un numero molto più e elevato e difficilmente circoscrivibile a una lista chiusa. Ognuno dei vari tipi testuali può concretizzarsi in generi differenti, infatti i generi possono essere soltanto realizzati in testi completi, mentre i tipi possono caratterizzare segmenti testuali. Inoltre, i tipi testuali hanno una valenza transculturale, sono reperibili in tutte le lingue e le culture; i generi hanno invece una natura più determinata dal punto di vista storico-culturale: variano o possono variare da una cultura all’altra e, anche nell’ambito della stessa cultura, da un’epoca storica all’altra. I generi si collocano dunque a un livello di astrazione inferiore rispetto ai tipi testuali. Costituiscono, però, pur sempre classi astratte, cui sono riconducibili gli infiniti testi concreti in cui si cala l’attività linguistica dei parlanti.

Nessuno dei modelli tipologici qui proposti è rigido nella sua categorizzazione, quindi un particolare genere può contenere al suo interno diversi modi di presentazione, sebbene tra questi si possa riconoscere un tipo dominante. Di conseguenza è raro, anzi pressoché impossibile, l’esistenza di “tipi puri”, ma è più facile riscontrare una certa ibridazione testuale.

1.2 Due generi a confronto: testo saggistico vs. testo specialistico

Cominciamo a guardare più da vicino le caratteristiche di due generi in particolare: il testo saggistico e specialistico.

Si tratta di due modalità di scrittura assai diffuse nella stampa periodica e accademica e che spesso tendono ad essere confuse, in larga parte a causa della struttura indeterminata del genere saggistico e della sua natura interdisciplinare che a breve si mostrerà.

Interessante è il contributo di Monti all’interno del volume Tradurre

saggistica, curato da C. Montella, per cominciare a differenziare i due generi.

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XVI

rispettivamente il testo tecnico-specialistico e il testo saggistico; il primo è ʻchiusoʼ in quanto si propone di dare informazioni non ambigue e precise, il secondo è invece un testo ʻapertoʼ in cui l’autore esprime la propria opinione su un argomento specifico, “un genere testuale dai contorni non così nettamente individuabili, tant’è che spesso lo si confonde con la trattazione scientifica, in particolar modo quando l’argomento del saggio è per l’appunto di tipo scientifico”.14 Ciò conferma quanto si è detto sulla confusione generale riguardo alla forma saggistica, ma ancora una volta Monti cerca di chiarire le idee al lettore spiegando che il saggio si differenzia dal testo scientifico “per la formulazione soggettiva di una tesi e per la consapevolezza stilistica dell’autore”.15 A questo punto, passiamo a definire il più possibile le caratteristiche formali, e non solo, del testo saggistico.

1.2.1 Il saggio ieri e oggi

Come è noto, la modalità di scrittura saggistica rientra a pieno titolo nella classificazione universale dei generi letterari in prosa, poesia e teatro sotto l’etichetta della prima di queste tre macrocategorie. Ma che cos’è un saggio? Si cercherà di spiegarlo, cominciando col dare uno sguardo al passato per poi giungere al XXI secolo, momento in cui si è assistito a un consolidamento della discussione intorno al genere “saggio” – tradizionalmente considerato marginale rispetto alle letterature nazionali16 – che ha portato al riconoscimento e alla consapevolezza dell’importanza della scrittura saggistica di per sé. A questo proposito, Alfonso Berardinelli17, uno dei più accreditati teorici della forma-saggio nel nostro secolo, sostiene che nel corso del Novecento sia stata proprio la scrittura saggistica a prevalere, togliendo così alla forma-romanzo il primato e l’esclusiva di genere capace di dare dignità a un canone letterario

14C. Montella (a cura di), Tradurre saggistica. Traduttori, traduttologi ed esperti a confronto, Franco Angeli, Milano 2010, p. 149.

15 Ibidem.

16R. Ceserani, Convergenze, Milano, Mondadori 2010, p. 10.

17Alfonso Berardinelli (Roma, 1943), ex insegnante di letteratura contemporanea presso l’Università di Venezia, è un critico letterario e saggista che collabora con diversi quotidiani italiani (http://it.wikipedia.org/wiki/Alfonso_Berardinelli).

(17)

XVII

nazionale moderno.18 Il XX secolo – “secolo eminentemente critico e saggistico, riflessivo e autocosciente più che creativo” – in quanto epoca “di crisi e di rimescolamento dei generi letterari maggiori, cioè i più tradizionali e più consolidati nel loro rapporto col pubblico (tragedia, commedia, romanzo, novella, […], ecc.)”,19 ha favorito la diffusione e la penetrazione del saggio anche all’interno di altri generi, quali romanzo e poesia lirica. In entrambi i casi l’autore spiega che ciò è dovuto alla volontà di muoversi sempre più in direzione di un pubblico smarrito, “la cui stessa esistenza diventava sempre più problematica”,20 e fornisce anche degli esempi di autori rappresentativi: Proust, Mann e Musil, per il romanzo; Valéry, Eliot, Pound, Benn e Montale, per la poesia. Inoltre, presenta Karl Klaus e Simone Weil come i saggisti “allo stato puro” del secolo.

Non è così facile riuscire a trovare una definizione adeguata ed esaustiva del saggio come genere letterario autonomo e con caratteristiche proprie. Generalmente, il tentativo di definizione e ricostruzione di tale forma di scrittura tende a esaurirsi con un riferimento a Montaigne e ai suoi Essais, e in parte anche a Bacone. Certamente non c’è nulla di errato nel farne risalire l’origine a Montaigne e nel riconoscere in lui, come anche in Kierkegaard, l’inventore e il fondatore del genere, nonché l’archetipo del saggista moderno21, ma non è certo lì che si esaurisce il discorso. È necessario guardare anche al Settecento per capire come il saggio comincia a consolidarsi e ad acquisire quel tipico atteggiamento critico che lo caratterizza ancora oggi.22 Un atteggiamento critico che a partire da quel momento comincia a permeare definitivamente ogni ambito della cultura e comincia a diventare ispirazione primaria di tutti i saggisti, qualunque sia la finalità del loro scrivere. Sono proprio la nascita del giornalismo e dell’opinione pubblica, così come la curiosità enciclopedica dei philosophes, a favorire il predominio del genere

18A. Berardinelli, La forma del saggio. Definizione e attualità di un genere letterario, Venezia, Marsilio editore 2002.

19A. Berardinelli, La critica come saggistica, in Di Girolamo, Berardinelli, Brioschi, La

ragione critica. Prospettive nello studio della letteratura, Torino, Einaudi 1986, p. 51.

20 A. Berardinelli, La critica come saggistica, cit., p. 52. 21A. Berardinelli, La critica come saggistica, cit., pp. 43 - 44. 22A. Berardinelli, La critica come saggistica, cit., p. 47.

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XVIII

saggistico sopra tutti gli altri, il quale riesce a imporsi proprio per la sua efficacia, mobilità e duttilità.

Sui due precursori del saggio si sono esposti, a loro volta, due grandi critici-saggisti del Novecento, Adorno e Lukács (il primo scrive all’inizio del secolo, il secondo negli anni ʼ50). In una fase storico-politica problematica come quella in cui essi scrivono, è chiaro come il saggio possa, con la sua efficacia sociale e militante figlia del periodo Illuministico, riuscire a trovare il suo spazio e a porsi come battaglia contro la mistificazione universale. Entrambi gli scrittori vedono il saggio come l’unica via d’uscita dalla crisi della filosofia e dell’arte nella società contemporanea: “la modernità aveva riservato alla forma saggistica una centralità strategica”.23 Nel XX secolo il saggio abbandona quindi i caratteri propri del trattato, “meglio adatto ad esprimere un dogma, cioè una dottrina o teorizzazione in sé conclusa e ben fondata”,24 che aveva ereditato e fatto propri nel periodo del razionalismo illuministico.

Il cerchio si chiude: il Novecento, “secolo della crisi dei generi, chiede aiuto al più critico e instabile dei generi, al genere letterario della riflessione, dell’interpretazione e dell’autocoscienza”.25 In questo modo, con questa idea, aveva avuto inizio la nostra riflessione sul saggio. Un genere, quindi, che risponde pienamente alle esigenze espressive dei nostri giorni e che, per sua stessa natura, si trova enormemente a suo agio con la contaminazione dei generi propria della postmodernità.26 Da Calvino a Borges, da Pasolini a Kafka, sono tutti testimoni della crisi epistemologica e normativa dei generi letterari che paradossalmente ha portato a un loro recupero e successivamente a un’ibridazione e mescolanza tra generi “alti” e “bassi”. Da quanto detto, emerge chiaramente che il saggio, in quanto genere letterario del pensiero critico e antidogmatico, ha esercitato una funzione essenziale nello sviluppo

23A. Berardinelli, La forma del saggio e le sue dimensioni, in G. Cantarutti, L. Avellini, S. Albertazzi (a cura di), Il saggio. Forme e funzioni di un genere letterario, Bologna, Il Mulino 2007, p. 37.

24P. Pullega, Il piano e la sfera, in S. Benassi e P. Pullega (a cura di), Il saggio nella cultura

tedesca del ‘900, Bologna, Cappelli, 1989, pp. 37-39

25A. Berardinelli, La forma del saggio e le sue dimensioni, cit., p.37.

26M. Di Gesù, Palinsesti del moderno. Canoni, generi, forme nella postmodernità letteraria, Milano, Franco Angeli, 2005.

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XIX

della cultura occidentale.27 Basta allargare lo sguardo oltreoceano e soffermarsi sulla contemporaneità per accorgersi che la forma saggistica è la voce del mondo, è la voce dell’altro, la voce della globalizzazione. Di fatto, negli autori postcoloniali, nei Women o nei Queer Studies, essa diventa il veicolo per l’affermazione e la costruzione di un’identità propria.

1.2.1.1 La forma del saggio

La saggistica non è un genere letterario minore.28 Così Berardinelli apre il suo intervento al Convegno internazionale dal titolo «Il saggio. Forme e funzioni di un genere letterario» organizzato dall'Università di Bologna nel 2004 (dal quale è nata nel 2007 la pubblicazione omonima;), e così si vuole cominciare qui, col mettere da parte quella che per lungo tempo è stata la considerazione, ma anche il pregiudizio, sul genere saggistico, il quale, come accade per tutto quello che appare in qualche modo misconosciuto, tende ad essere stigmatizzato. Considerando che, come “il più mutevole e inafferrabile dei generi”,29 rifugge per sua stessa natura ogni tentativo di definizione, potremmo parlare, utilizzando l’espressione coniata da Hugo Freiderich30, di offene form, la quale intende raggruppare tutti quei testi che esulano dalla triade tradizionale e che non devono sottostare a norme già codificate. In quanto forma aperta sarà quindi guidata dal principio della libertà della scrittura, della frammentarietà, dell’apertura – o meglio “cattiva finitezza”31 – opposti a quello della pianificazione, pienezza e completezza del testo.32 La discontinuità, quindi, è la sua cifra stilistica e strutturale, la quale non si riscontra solo a livello tematico, ma si manifesta, appunto, come “forma stessa del saggio”,33 come l’ha definita Adorno. Quest’ultimo, insieme a Lukács e Bense, è uno di

27A. Berardinelli, La forma del saggio e le sue dimensioni, cit., p.35. 28 Ibidem.

29A. Berardinelli, La forma del saggio. Definizione e attualità di un genere letterario, cit., p. 17.

30H. Friedrich, Montaigne, University of California Press, 1991.

31G. Benvenuti, Saggio, racconto e autobiografia nell’ultimo Serra, in Cantarutti, L. Avellini, S. Albertazzi (a cura di), Il saggio. Forme e funzioni di un genere letterario, p. 93.

32S. Ruzzenenti Präzice doch ungenau. Tradurre il saggio, Frank e Timme, Berlino, 2013. 33T. W. Adorno, Il saggio come forma, in Note per la letteratura, Torino, Einaudi 2012, p. 21 sg.

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quegli autori del Novecento europeo che nella loro riflessione critica hanno dato spazio a una lunga e puntuale riflessione sul saggio, sebbene tenendone in considerazione diverse prospettive. Nonostante alcuni di essi siano mossi principalmente dalla volontà di conferire al saggio una forma di rappresentazione filosofica, le loro riflessioni risultano comunque utili nel tentativo di una messa a fuoco di tale modalità di scrittura. Essi pensano che il saggio si possa collocare a metà strada fra poesia e prosa, ovvero a metà strada fra atto creativo e riflessione etica, tra creazione e tendenza, le due categorie, rispettivamente appartenenti alla sfera estetica e a quella etica, recuperate da Bense proprio per la loro diversità e contrapposizione, allo scopo di mostrare la peculiarità e la posizione alquanto borderline di tale scrittura.34 Ma il saggio si divide anche tra scienza e arte, ovvero tra rigore scientifico e invenzione; esso “è aperto agli interessi scientifici come ai meri stati d’animo, può esprimersi in formulazioni ma può anche narrare”.35 Per la sua tendenza critica, così come per la sua volontà di ricercare la verità, il saggio potrebbe sembrare più vicino alla scienza, ma se ne discosta invece per le modalità di raggiungimento del suo obiettivo, che in realtà non sarà mai raggiunto perché ciò che esso si propone è la semplice osservazione e riflessione parziale del suo oggetto. Ecco che torniamo al carattere incompleto, frammentario, aperto, della scrittura saggistica, il quale non è assolutamente paragonabile alla finitezza del discorso scientifico e sistematico. Bense, nell’opera Sulla prosa del saggio, definisce la forma-saggio come “antisistematica”, contrapponendo la sua relatività ai pensieri e agli oggetti assoluti della forma-trattato. Diversamente da quanto avviene con gli altri generi letterari, la peculiarità della scrittura saggistica sta nel fatto che, anche nel contesto di invenzione letteraria, la realtà empirica non sarà mai messa da parte, la coerenza razionale, l’efficacia logica, e il punto di vista morale e conoscitivo di chi scrive sono – e tali devo essere – sempre manifesti.36 Come dice Berardinelli, “in saggistica non avremo mai a che fare

34M. Bense, Sulla prosa del saggio, trad. it. di C. Simonato, in S. Benassi e P. Pullega (a cura di), Il saggio nella cultura tedesca del ‘900, Cappelli, Bologna 1989.

35H. Friedrich, Montaigne, University of California Press, 1991.

36A. Berardinelli, La forma del saggio, in F. Brioschi, C. Di Girolamo (a cura di), Manuale di

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con una fondamentale finzione (come nel romanzo o nel teatro) né con la nuda, o pura, o assoluta soggettività (come nella poesia). Il saggista si attiene alla realtà”.37 Berardinelli, inoltre, stabilisce lo spazio e la dimensione della forma saggistica tra “forma e vita”.38 Secondo Adorno, la verità del saggio risiede proprio nella sua mobilità e mancanza di solidità e, proprio per tale ricerca della verità, crede che il saggio debba collocarsi al di fuori dell’aesthetic

realm.39 Non bisogna però lasciarsi fuorviare da tale affermazione; con il

saggio rientriamo comunque nel terreno della produzione letteraria (nel senso più ampio del termine e, ovviamente, nell’ambito della non fiction): esso ha forma, ritmo e sintassi propri, che assumono un ruolo portante per l’intera esposizione; la sua struttura si fonda sui concetti che si regolano e si argomentano vicendevolmente, i quali spesso possono presentarsi come frasi essenziali e brevi, facilmente memorizzabili, riutilizzate spesso in citazione; “sono le proposizioni elementari di un saggio che possono appartenere tanto ad una poesia quanto ad una prosa”.40 Tale precisione estetica permette, così, di accostarlo alla poesia, ma è anche per tale ricerca di esattezza e per il senso della scoperta che il saggio si avvicina alla scienza. Da quest’ultima se ne distingue però per il suo linguaggio comunicativo e per la mancanza di finitezza e sistematicità tipica del discorso scientifico. Ecco che si è più volte ripetuto che si tratta di una forma impura, sfuggente, difficilmente definibile, come si evince sin dal testo fondatore del genere, gli Essais di Montaigne, in cui lo stesso autore ammette di provare piacere nel seguire à sauts et à

gambades […]; ma basta soltanto soffermarsi sul significato della stessa parola essai – che vuol dire “prova, tentativo” – per cominciare a riconoscerne subito

il carattere discontinuo e mutevole.

Alla base del saggio non vi è un oggetto di “pura invenzione” ma un oggetto preesistente che viene esplorato secondo nuove prospettive. Un oggetto, oltretutto, che non verrà mai esaurito poiché lo scopo del saggio non è trovare

37A. Berardinelli, La forma del saggio e le sue dimensioni, cit., p. 42.

38A. Berardinelli, La forma del saggio. Definizione e attualità di un genere letterario, cit., p. 21.

39T. W. Adorno, Il saggio come forma, in Note per la letteratura, cit., p. 22.

40M. Bense, Sulla prosa del saggio, in Benassi, Pullega (a cura di) Il saggio nella cultura

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l’essenza del suo oggetto, ma mostrarne, in un rapporto comunicativo col pubblico, un solo dettaglio; “ciò che il saggio descrive non è, quindi, un dato, come nell'esperimento scientifico, bensì un'esperienza, un'avventura della comprensione”.41 Il tema di un saggio può essere inteso come il rapporto che si instaura tra l’oggetto di conoscenza e di riflessione e un soggetto pensante con il suo particolare punto di vista e la sua propria esperienza. Tutto ciò pone l’attenzione su due ulteriori caratteri tipici della forma saggistica, la soggettività e la modalità dialogica. Lo scrittore da un lato stabilisce un rapporto individuale con la pagina bianca, dall’altro instaura uno scambio comunicativo con il pubblico, o meglio con il lettore, dando vita a un’esperienza di scrittura meno conformista e meno astratta, e quindi non idealista e non teorica.

1.2.1.2 Tradurre il saggio

Nel precedente paragrafo è stata proposta una descrizione del genere saggistico cercando di fare riferimento agli scritti più importanti dei grandi esperti del settore. Si è scelto volutamente di mantenere un approccio globale, volendo toccare in breve tutte le tappe fondamentali del percorso teorico e riflessivo che si sono susseguite soprattutto nel secolo scorso. Ad ogni modo, prima di parlare di traduzione, è il caso di provare a fornire una catalogazione di tale forma di scrittura e tentare di riconoscere le diverse tipologie di saggio.

Berardinelli, all’interno di un suo contributo dal titolo La critica come

saggistica, dà una classificazione del saggio in tre modalità: saggio di

invenzione e di illuminazione epistemologica, saggio di storia e critica della cultura, saggio come autobiografia e pedagogia letteraria, mantenendosi però sempre nell’ambito del saggio critico, che tra l’altro è lo spazio in cui egli si trova pienamente a suo agio e su cui si sofferma maggiormente, sia dal punto di vista teorico che pratico. La scrittura saggistica, proprio per tutte quelle caratteristiche di cui si è parlato in precedenza, si presenta come un mezzo duttile adatto sia alla comunicazione intra-specialistica, ovvero tra esperti dello

41A. Tagliapietra, Saggi su un’epoca che gira a «Zig zag», in «Il Gazzettino», 19 novembre 1999, p. 25.

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stesso settore, che a quella extra-specialistica, diretta a un pubblico più ampio ed eterogeneo, colto ma non specializzato.42 Prendendo in considerazione le tre macro-modalità di comunicazione proposte in Scarpa,43 ovvero comunicazione tra specialisti, comunicazione con intento didattico (in cui lo specialista si rivolge ai non specialisti usando la lingua speciale44), comunicazione con intento divulgativo (diretta ai non specialisti con prevalente uso della lingua comune), si può facilmente collocare il saggio all’interno dell’ultima tipologia testuale, dal momento che esso, per mezzo del suo autore, che si presenta come una figura intermedia tra lo scienziato e il profano, intende rivolgersi ad un pubblico ampio.

Gli studi traduttologici sottolineano spesso il fatto che nella traduzione di un saggio emergono grandi difficoltà: rispetto al forte carattere denotativo dell’articolo scientifico il saggio presenta un tessuto verbale denso di connotatività e di rimandi intertestuali, spesso anche impliciti, ed è quindi necessaria la capacità di individuarli e, successivamente, di tradurli nel modo più opportuno in funzione della dominante del testo e del lettore modello. Si tratta di due delle caratteristiche basilari del testo che spetta al traduttore individuare durante la fase di analisi linguistica di cui si è parlato all’apertura del capitolo, la quale precede l’effettivo lavoro di traduzione: la prima indica la caratteristica essenziale del testo intorno alla quale esso si costituisce come sistema integrato, con la seconda ci si riferisce al lettore immaginario che l’autore si prefigura.45

Inoltre, è importante ricordare che il saggio è per sua natura molto più interdisciplinare di qualsiasi testo scientifico tout court e, anche se più

42S. Ruzzenenti, Prazise doch ungenau. Tradurre il saggio, cit., p. 85.

43F. Scarpa, La traduzione specializzata. Lingue speciali e mediazione linguistica, Hoepli, 2001, p. 14.

44Per lingue speciali si intendono “le varietà di una lingua usate da gruppi particolari di persone e caratterizzate dall’uso di un lessico s. (terminologie esclusive di quel settore o termini appartenenti al lessico comune o ad altri settori della lingua e usati con accezioni peculiari); in questo senso, l’espressione comprende sia le varietà d’uso più ristretto e specialistico, come per es. la lingua della chimica, sia quelle meno rigidamente codificate e dunque accessibili da parte di ampi settori della comunità linguistica come il linguaggio televisivo, politico, giornalistico ecc.; per questi linguaggi, caratterizzati da un limitato grado di specializzazione, è anche usata la denominazione di linguaggi settoriali” (http://www.treccani.it/enciclopedia/lingue-speciali/, 13 febbraio 2014)

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divulgativo di un articolo scientifico, nel senso che si rivolge ad un pubblico non specialistico, per quanto riguarda il linguaggio in cui è espresso e la comprensibilità della terminologia può risultare molto complesso.46 È quindi necessario che un bravo traduttore si mostri sensibile e dimostri di avere una buona padronanza in vari stili, dal divulgativo allo scientifico, dal letterario dotto al giornalistico.

Ma vediamo in che cosa consiste nella pratica la traduzione saggistica, cercando di circoscrivere il tipo di testi che sono effettivamente l’oggetto della nostra riflessione. La traduzione saggistica riguarda i testi che non sono né di narrativa né di poesia, quindi rientra nel campo della non-fiction. Mentre in un articolo scientifico tutte le affermazioni devono derivare o da altri articoli scientifici citati oppure da esperimenti empirici condotti dal ricercatore che scrive, in un saggio l’eleganza della trattazione permette di essere più liberi e di dare altresì spazio al pensiero personale dell’autore. Inoltre, a differenza di un testo scientifico o settoriale, nel testo saggistico anche la componente estetica è di grande importanza, per cui esso si presenta solitamente più elegante e letterariamente impreziosito rispetto a un articolo scientifico, aiutato in questo anche dal suo carattere più di riflessione generale. L’argomento trattato può essere filosofico, politico, letterario, scientifico o di costume (a differenza della narrativa, quindi, è sempre legato a un campo organizzato del sapere), e spesso può accadere che il saggio chiami in causa una serie di conoscenze in discipline diverse tra loro e addirittura diverse da quella generale indicata come specifica del volume. Inoltre, come è stato già detto in precedenza, a differenza di un articolo scientifico, caratterizzato da una forte denotatività o referenzialità, il saggio contiene moltissimi rimandi connotativi e intertestuali che ovviamente hanno ricadute molto importanti sul piano della traduzione. La presenza di questo tipo di riferimenti esterni, anche di carattere implicito, è tipico della produzione saggistica, come è anche tipico il fatto che lo stile della prosa non sia un piatto resoconto di dati di esperimenti, ma abbia uno stile

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significativo, firma personale dell’autore e testimonianza di quella soggettività precedentemente ricordata tra le caratteristiche della scrittura saggistica.

Per una più precisa comprensione della tipologia di testi appartenenti all’ambito della saggistica è utile citare nuovamente Bruno Osimo, traduttore, teorico della traduzione, il quale spiega che

“Se si escludono da un lato i libri di fiction e poesia, da una parte, e i libri tecnici o scientifici specializzati dall’altra, tutti gli altri appartengono alla saggistica, al cui interno si può distinguere la saggistica denominata «varia» (libri di attualità, instant book, libri di self help, libri di costume, diete ecc.) e la saggistica d’autore (autori noti che prestano la propria opera in ambito saggistico).[…]Se si escludono le riviste specializzate settoriali e le riviste scientifiche, quasi tutti gli altri periodici contengono testi di saggistica […]. In particolare, quotidiani e settimanali sono quasi esclusivamente terreno di testi saggistici […]”.47

Ecco che, dopo tutte le nozioni teoriche e generali dei precedenti paragrafi, finalmente questo autore ci mette davanti a una sorta di enumerazione delle possibili modalità di testo saggistico, che un traduttore potrebbe ritrovarsi tra le mani durante il suo lavoro. E non si tratta affatto di un lavoro semplice; il traduttore di saggistica incontra di fatto una duplice complessità, poiché nella traduzione saggistica si sommano le difficoltà terminologiche della traduzione settoriale (sebbene di solito il livello di specializzazione sia inferiore) e le difficoltà connotative della traduzione letteraria.

1.2.2 Testo e linguaggio specialistico

Quando si parla di testo specialistico si indica, in generale, un tipo di testo che veicola un contenuto atto a soddisfare i bisogni referenziali specialistici di un gruppo socio professionale di parlanti, e che lo fa, per l’appunto, con un linguaggio di tipo specialistico. Bisogna sottolineare che per descrivere e distinguere le varietà della lingua tipiche di questi testi non si è ancora

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riconosciuta una stabilità terminologica tale da garantire un uso di un’etichetta condivisa unanimemente dagli studiosi (si passa dalla dizione più generale di lingue speciali, a lingue/linguaggi specialistici, lingue settoriali, tecnoletti, ecc, designazioni differenti che non sono state distinte in modo preciso).48

È interessante dare uno sguardo alle classificazioni che di tali varietà linguistiche danno Berruto e Sobrero. Il primo distingue tra lingue speciali in

senso stretto, ovvero i sottocodici, oggetto della traduzione specializzata,

caratterizzati da un lessico speciale e da tratti morfosintattici e testuali omogenei che le contraddistinguono in maniera distintiva,49 e lingue speciali in

senso lato, cioè i linguaggi settoriali che, pur essendo tipici di certi argomenti e

ambienti comunicativi (es. i mass-media), non sono varietà linguistiche caratterizzate da tratti distintivi omogenei (ad esempio, nel discorso politico sono presenti tratti della lingua giuridica, economico-finanziaria, amministrativa,ecc.).50 Sobrero51, invece, propone una classificazione in lingue

specialistiche, che riguardano le discipline caratterizzate da un alto grado di

specializzazione (ad esempio l’informatica), e linguaggi settoriali, che riguardano settori non specialistici (ad esempio la lingua della pubblicità).52

48Per quanto ci riguarda, in Italia non è stata ancora elaborata una terminologia unica per designare le diverse varietà specialistiche esistenti all’interno di una lingua. In generale è molto diffusa la dizione “lingue speciali”, e Michele Cortellazzo (1994) ne dà una definizione precisa («una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi […] di quel settore specialistico»), che è quella più diffusa e ripresa nei manuali; Gotti (2005) riconosce una classificazione in lingue specialistiche e linguaggi settoriali, in cui le prime possiedono un livello più alto di specializzazione rispetto alle seconde.

49

Il linguaggio tecnico-scientifico rappresenta l'esempio più tipico di lingua speciale in senso stretto.

50G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci, 1987, p.156. 51A. Sobrero (a cura di), Introduzione alla linguistica contemporanea. La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 239.

52Ovviamente, qui sono presenti solo alcune delle diverse classificazioni proposte dai vari linguisti, i quali, come si è già detto, non condividono unanimemente una definizione e una categorizzazione delle varietà linguistiche a cui si sta facendo riferimento. Per esempio, si noti come la suddivisione in lingue speciali e linguaggi settoriali non trovi riscontro in Beccaria (1973) e Trifone (1994), secondo i quali con “linguaggi settoriali” si indicano in maniera generica, oltre al linguaggio della pubblicità e della politica, anche i linguaggi scientifici e la lingua del diritto

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Scarpa riconosce cinque requisiti funzionali e stilistici dei testi specialistici, i quali garantiscono una comunicazione efficace ed efficiente53:

 precisione, di cui fanno parte l’uso di termini tecnici, la monoreferenzialità, la definitezza, ecc. ;

 oggettività, cioè l’impersonalità, il distacco che l’emittente deve mostrare verso ciò che scrive;

 economia, ovvero la compattazione dell’informazione e la riduzione dell’estensione (che si ottengono, ad esempio, con l’uso di sigle, abbreviazioni, giustapposizioni, ecc.) allo scopo di ottimizzare le strutture linguistiche;

 chiarezza e appropriatezza, che implicano la competenza comunicativa e la conoscenza delle convenzioni che regolano una certa situazione comunicativa.

1.2.2.1 Le dimensioni orizzontale e verticale nei testi specialistici

Le lingue speciali sono influenzate da diverse componenti contestuali, sono cioè soggette a variazione. In particolare, possiamo individuare due dimensioni della variazione:

 dimensione orizzontale, che è il rapporto tra lingua e argomento;  dimensione verticale, che è il rapporto tra lingua e uso.

La dimensione orizzontale, come è stato anticipato, si riferisce al contenuto cognitivo delle discipline e suddivide i linguaggi specialistici, o le lingue speciali che dir si voglia, in base all’argomento. In questo senso possiamo stabilire una prima grande suddivisione tra scienze fisiche o naturali (fisica, biologia, matematica, chimica, medicina, ecc.) e scienze umane o sociali (diritto, economia, sociologia, psicologia, storia, ecc.), basata essenzialmente su tre grandi differenze:54

- la diversa natura dei fenomeni esaminati: oggetti misurabili e per lo più immutabili per le scienze dure, e oggetti complessi, multiformi e instabili per le scienze umane;

53F. Scarpa, La traduzione specializzata, cit., pp. 18-19. 54F. Scarpa, La traduzione specializzata, cit., p. 4.

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XXVIII

-la verifica empirica delle ipotesi di partenza: diversa metodologia di ricerca, da un lato verifica scientifica, dall’altro impossibilità di verifica oggettiva; - il diverso grado di certezza dei risultati: quasi assoluti in un caso, più vaghi e aleatori nell’altro.

La dimensione verticale, invece, rappresenta un criterio di variazione più pragmatico, costituito da una serie di parametri che influenzano l’uso della lingua speciale in base al contesto della situazione comunicativa. Tali parametri possono essere schematicamente rappresentati nell’acronimo SPEAKING del linguista americano Hymes.55

Setting Participants Ends Acts Keyes Instrumentalities Norms Genres

Quindi, la dimensione verticale, in base ai fattori funzionali contestuali, determina il grado di specializzazione del discorso e i suoi vari gradi di differenziazione dalla lingua comune. A proposito del rapporto tra linguaggi specialistici e lingua comune, è interessante segnalare – come la stessa Scarpa fa nel suo testo – Berruto, il quale riconosce alle lingue speciali, come ad ogni altra varietà linguistica, le seguenti caratteristiche:56

- tratti comuni a tutte le varietà (il cosiddetto common core); - tratti comuni ad alcune varietà (anche se con diversa frequenza);

- tratti peculiari di una determinata varietà (rispecchiano le differenze dei contenuti, delle procedure e dei tipi di argomentazione tipici delle varie discipline specialistiche).

1.3 Il testo di B. J. Epstein

In questo paragrafo ci si vuole soffermare in maniera specifica sul libro dal titolo Translating Expressive Language in Children’s Literature, oggetto della

55http://www.farum.it/intro_terminologia/ezine_articles.php?id=15, 15 marzo 2014. 56G. Berruto, Le varietà del repertorio, in F. Scarpa, La traduzione specializzata, cit., p. 3.

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XXIX

traduzione proposta nella presente tesi. Nello specifico, si è scelto di tradurne tre sezioni, ovvero il capitolo introduttivo, in cui vengono poste le basi teoriche che serviranno per la lettura e la comprensione delle parti successive, e i capitoli 3 e 5, rispettivamente dedicati alla traduzione dei nomi e delle allusioni. L’autrice del testo è B. J. Epstein, professoressa di letteratura e traduzione presso la Est Anglia University di Norwich, in Inghilterra, nonché scrittrice e traduttrice dallo svedese all’inglese.

Se dovessimo andare in libreria o in biblioteca è ovvio che non troveremmo il libro in questione nella sezione di ʻnarrativa e fictionʼ, ma lo potremmo trovare solo nella sezione di ʻsaggisticaʼ. Di certo non basta solo questo per definire la varietà testuale a cui appartiene il nostro testo. Dando uno sguardo alla quarta di copertina, un gesto automatico che la maggior parte dei lettori compie prima di scegliere, comprare o iniziare a leggere un libro, cominciano ad emergere le prime informazioni sul libro. La quarta di copertina in breve spiega che “il libro propone un nuovo approccio ai translation studies per affrontare le sfide della traduzione della letteratura per l’infanzia. Si focalizza sul linguaggio espressivo […] e dispensa consigli ai traduttori su come tradurre tali elementi linguistici […]. Il testo fornisce delle strategie efficaci sia per i traduttori esperti, sia per coloro che sono nuovi del mestiere […]. Questo manuale offre anche contributi originali alla teoria della traduzione alla luce dei problemi traduttivi, soprattutto alla letteratura per l’infanzia”. Si capisce che si tratta di un testo specialistico riguardante il campo specifico della scienza della traduzione avente finalità sia scientifico-divulgative, sia divulgativo-pedagogiche. Si può notare, quindi, un livello di specializzazione del libro piuttosto composito, poiché l’autrice intende comunicare a diversi tipi di destinatari. Innanzitutto, Epstein si rivolge agli esperti del settore, volendo proporre il suo lavoro come un vero e proprio contributo alla ricerca sulla traduttologia; in secondo luogo, si dirige a studenti di traduzione, ovvero a dei destinatari meno esperti ma che comunque possono già possedere competenze su tali tematiche; infine, cerca anche di coinvolgere i “nuovi del mestiere”, ovvero dei destinatari che si suppone non abbiano mai avuto a che fare con tali nozioni tipiche della scienza della traduzione. Si può dire, a questo punto, che

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si tratta in realtà di un testo ibrido, da collocare tra il saggio e il testo scientifico-specialistico. Infatti, è possibile riconoscere nel libro quelle che sono state indicate in precedenza come le proprietà tipiche del testo saggistico, cioè la soggettività e, in una certa misura, la ʽconsapevolezza stilistica dell’autoreʼ.57

È lo stesso Osimo a dire che il testo saggistico è un genere particolare in cui si confondono caratteristiche del testo scientifico e di quello narrativo, un testo finzionale nella forma e scientifico nel contenuto.58 È quindi tipica del saggio la possibilità di sovrapporsi, in qualche modo, al testo scientifico. Però, il saggio non pretende di essere esaustivo: in esso l’autore semplicemente dice la sua su un argomento senza fare riferimenti tecnici ad altre opere. Al contrario, il testo della Epstein è quasi totalmente costruito e fondato su precisi riferimenti ad altre fonti, opere e autori. Sebbene coinvolga una componente suasoria (volta all’affermazione di un approccio nuovo nell’ambito di studi, un contributo originale), la ‘soggettività’ e ‘la consapevolezza stilistica dell’autore’ tipiche del testo saggistico appaiono qui come tratti poco o meno pertinenti di altri. La visione personale dell’autore relativamente ai fenomeni presi in esame emerge soprattutto da constatazioni empiriche legate all’analisi di esempi, in modo più affine all’argomentazione scientifica oggettiva. Pertanto, le caratteristiche della scrittura saggistica sono sì presenti, ma in maniera meno pertinente rispetto ad altre, nonostante i fini persuasivi resi espliciti dalla stessa autrice. Inoltre, la grande presenza nel libro di parti esemplificative, così come la grande attenzione alla specificazione delle fonti bibliografiche, sono testimonianza dell’enfasi posta sull’aspetto pedagogico-didattico del testo. Sembra quasi che Osimo stia prendendo a esempio proprio questo testo quando dice:

[...] un testo sulla traduzione può essere considerato scientifico – contiene informazioni basate su altri testi scientifici a cui si fa il debito riferimento e/o su informazioni derivanti da constatazioni empiriche – oppure saggistico – in

57J. Monti, Alla ricerca della conoscenza. Quali strumenti per la traduzione saggistica?, in C. Montella (a cura di), Tradurre saggistica, cit., p. 149.

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questo caso presenta la visione personale dell’autore, esposta con gusto e stile personale.59

Siamo quindi di fronte a un duplice intento di scrittura: da un lato un fine argomentativo, che è legato al porsi del testo come contributo specifico all’interno di una comunità scientifica ed è esemplificato anche nella struttura del testo (in cui ogni capitolo è composto da introduzione/corpo/conclusione, e con la ripartizione in sezioni ben definite da titoli chiari), dall’altro un vero e proprio intento divulgativo manifesto nei confronti dei futuri traduttori (anche qui gioca un ruolo importante la struttura del testo). Infatti con il concetto di divulgazione si intende proprio “la trasmissione di conoscenze specialistiche a fini di istruzione e informazione”.60 L’elemento principale che differenzia il testo divulgativo da quello specialistico vero e proprio consiste nell’assenza nel primo di un’elaborazione di nuovi contenuti scientifici che apportano un accrescimento nel bagaglio concettuale di una certa disciplina. Ma tale principio discriminatorio da solo non è pienamente sufficiente, e per questo occorre introdurre un altro elemento che può servire maggiormente a stabilire la differenza, ovvero il pubblico destinatario. Nel fenomeno della divulgazione, infatti, il referente del messaggio non è più identificato in un gruppo di esperti di una data disciplina, bensì in un pubblico di non-specialisti.61 Bisogna aggiungere che, se non accompagnata da altri parametri, l’elencazione di vari gruppi di referenti può portare ad un’insufficiente caratterizzazione formale dei vari tipi di testi esistenti. Infine, un criterio più soddisfacente e completo per distinguere le due tipologie testuali è quello di considerare la finalità principale dei testi stessi. Infatti, i testi che si rivolgono a un pubblico di non-specialisti si possono distinguere in testi istruttivi e testi divulgativi. I primi sono quelli che si propongono di dotare lo studente di quella secondary culture (Widdowson 1979) tipica dell’esperto disciplinare, come fanno i libri universitari e i manuali; i secondi sono quelli che si rivolgono a un pubblico più vasto usando

59B. Osimo, La traduzione saggistica dall’inglese, cit., p. 26.

60M. Gotti, Il linguaggio della divulgazione: problematiche di traduzione intralinguistica, in G. Cortese, Tradurre i linguaggi settoriali, Torino, edizioni Libreria Cortina, 1996, p. 218. 61Ibidem.

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il più possibile un lessico di tipo generale e che intendono ampliare la cultura primaria del destinatario. Esempi tipici di quest’ultima tipologia sono le riviste di divulgazione scientifica, i libri destinati a un largo pubblico, le enciclopedie, gli articoli di argomento specialistico che appaiono nei giornali comuni, ecc.62 Ancora una volta, il libro di B. J. Epstein si trova tra questi due generi di discorso, poiché possiede allo stesso tempo intenti istruttivi e divulgativi, i quali ovviamente si ripercuotono sulla struttura interna del testo (che sarà esaminata nel dettaglio nel commento alla traduzione). Anticipando un concetto che verrà analizzato nella prossima sezione, si può quindi notare che il testo di B. J. Epstein, nella sua pluridimensionalità, copre tutti e tre i livelli di specializzazione considerati da Gotti (1991), in quanto l’autrice si rivolge nel contempo ad altri specialisti che condividono il suo sapere, e a non specialisti, con un intento sia didattico sia divulgativo.

Alla luce di tali considerazioni, e tenendo conto del discorso di Scarpa sulle differenze del processo traduttivo nei testi letterari e in quelli specialistici, si può infine proporre una generale delucidazione dell’orientamento traduttivo e delle strategie messe in atto nella traduzione di Translating Expressive

Language in Children’s Literature di B. J. Epstein. Nella traduzione di un testo

specialistico, il traduttore, come è stato già detto, ha a che fare con testi chiusi da cui scaturisce un’unica possibile interpretazione corretta e che non può dare luogo a più interpretazioni, o dove le perdite da una lingua all’altra sono considerate inevitabili. L’approccio alla traduzione deve quindi essere principalmente orientato a e vincolato sia dalla funzione e dai destinatari della traduzione, sia da norme e convenzioni di redazione.63 Le variazioni riguarderanno principalmente, o solamente, aspetti formali del testo, in modo da non comportare alcuna perdita o distorsione delle informazioni del testo di partenza. Ci si è posti, quindi, come principio guida la riproduzione totale delle informazioni dell’originale e il loro adeguamento alle norme e convenzioni redazionali della lingua e cultura di arrivo, cercando di non perdere di vista i

62M. Gotti, Il linguaggio della divulgazione: problematiche di traduzione intralinguistica, in G. Cortese, Tradurre i linguaggi settoriali, cit., p. 219.

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criteri della accuratezza e trasparenza del testo di arrivo, i quali non possono essere messi da parte proprio ai fini della chiarezza e accessibilità dello stesso. Nel complesso, è quindi un approccio traduttivo di tipo “familiarizzante” in cui la lingua di partenza viene appunto avvicinata al lettore di arrivo, dato che si tratta di un testo avente in primo luogo una funzione informativa e pedagogica. Si tratta, in un certo senso, di una traduzione basata su una strategia orientata al lettore e alla cultura di arrivo, la quale però non intende assolutamente sminuire e stravolgere il testo di partenza (anche perché è lo stesso carattere di testo scientifico-specialistico a non consentirlo), rimanendo comunque al suo servizio nonostante, allo stesso tempo, cerchi di adattarlo a un nuovo contesto che possiede chiaramente norme linguistico-formali ed espressive differenti. Nel capitolo tre, dedicato al commento della traduzione, si cercherà di rendere esplicite le scelte traduttive appena accennate.

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Capitolo II

2. IL TESTO SPECIALISTICO E L SUA TRADUZIONE

Questo capitolo si propone di approfondire le conoscenze sul testo specialistico. Prerogativa di tale tipologia di testi è ciò che Snell-Hornby definisce uno stile “trasparente”, ovvero uno stile che rispecchi l’uso corretto e corrente del destinatario del testo, e che debba garantire l’efficacia e l’efficienza della comunicazione, soddisfacendo tutti e cinque i requisiti elencati nel paragrafo 1.2.2, cioè precisione, oggettività, economia, chiarezza e appropriatezza. Inoltre, la comunicazione specializzata, per poter definirsi tale, deve soddisfare le tre condizioni proposte da Sager:1l’intenzione dell’emittente del messaggio di aumentare, confermare o modificare le conoscenze del destinatario (intention condition); la conoscenza più approfondita dell’argomento da parte dell’emittente rispetto al destinatario (knowledge

condition); l’uso di un codice convenzionale che aiuti il destinatario a

concentrarsi quanto più possibile sul contenuto e sulla complessità del messaggio (code condition). Cohen e Cunningham riconoscono che si tratta di testi in cui in primis si tiene conto delle esigenze del destinatario-utente, senza mai tradire il cosiddetto «principio di cooperazione» tra gli interlocutori formulato da Grice, il quale prevede una continua collaborazione tra parlante e destinatario nella comunicazione. Tale principio, inoltre, si basa su delle massime, di quantità, rilevanza, maniera e qualità, che, se non violate, garantiscono la non ridondanza, la pertinenza, la chiarezza e la veridicità delle informazioni.2

Tornando per un attimo ai suddetti requisiti funzionali e stilistici del testo specialistico, si vuole sottolineare che (conseguenza anche di quel fenomeno della divulgazione che è stato introdotto in precedenza) non si tratta di principi totalmente indicativi ed esclusivi delle lingue speciali, soprattutto nel caso della precisione, oggettività ed economia. Infatti, all’interno della nostra

1J. C. Sager et al., English Special Languages. Principles and Practice in Science and

Technology, in F. Scarpa, La traduzione specializzata, cit., p.18.

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società sempre più tecnologica e “interconnessa”, si tende continuamente ad assicurare una fruizione più allargata del sapere specialistico e, quindi, a far circolare tale tipo di testi anche tra la gente comune, il più delle volte per scopi didattici ma non solo. Ne consegue un superamento della concezione di una ricerca scientifica elitaria veicolata da un linguaggio tecnico indirizzato a pochi, in favore di una sempre maggiore diffusione dell’idea secondo cui il sapere scientifico non sia così complesso, tanto da poter essere condiviso anche attraverso la lingua comune.3 A questo proposito Ahmad rileva che il discorso scientifico risente, soprattutto nelle scienze emergenti, di una continua tensione tra la tendenza alla razionalità e oggettività e l’esigenza di insegnare agli studenti, promuovere i propri risultati, convincere i colleghi.4

Ai fini della traduzione specializzata è necessario che il traduttore abbia una certa dimestichezza col testo anche a un più concreto livello linguistico-formale, sia per quanto riguarda il testo di partenza che quello di arrivo (perché, come si vedrà più avanti, molto spesso le consuetudini redazionali di uno stesso genere in lingue differenti possono non coincidere). Oltre ai requisiti che caratterizzano i tipi e generi specialistici a livello intertestuale, si possono riconoscere delle marche testuali che li definiscono a livello intratestuale. Si tratta di tratti formali di superficie propri di tali testi, i quali hanno a che fare, principalmente, con il livello testuale e retorico, il livello morfosintattico e il livello lessicale.5 Di seguito si cercherà di mostrare brevemente le caratteristiche principali relative a tutti e tre gli ambiti e, in determinati casi, si farà riferimento alla classificazione dei tipi testuali di Sabatini (introdotta nel capitolo 1) in molto vincolanti (MV) e mediamente vincolanti (mv).

2.1 Caratteristiche testuali e retoriche

Come è facile capire, le caratteristiche tipiche dei testi specialistici hanno a che fare in particolare con l’organizzazione retorica del discorso e con la testualità vera e propria. Nel primo caso si indica il modo di esporre, ovvero la struttura e

3F. Scarpa, La traduzione specializzata, cit., p. 21. 4Ibidem.

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