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7. Italiano accademico o Academic English?

7.4 Il laboratorio glotto-disciplinare

Il format glottodidattico, che meglio sembra incarnare la necessità di mescolare linguaggi, discipline e competenze, pare identificarsi nel ‘laboratorio di lingua e disciplina’. La metodologia che più si adatta all’insegnamento/apprendimento di tipo laboratoriale dedica ampio spazio alla progettazione e all’azione e, al pari della didattica C.L.I.L., ‘immerge’ docenti e discenti nel compito da svolgere e nel problema da risolvere (BERTOCCHI, 2005).

42Si veda, tra gli altri, il progetto ‘Do.Re.Mat’ che affronta il problema dell’insegnamento interdisciplinare mediante un metodo che abbina l’insegnamento della matematica e della musica. Dettagli più specifici sono presenti nel sito del progetto:

http://dorematleonardo.eu/index.php/it/. Ultima consultazione: 18.01.2016.

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Un laboratorio generalmente presenta queste caratteristiche:

a. presenza di tecnologia. Le attività che vi si svolgono o sono realizzabili mediante mezzi multimediali, oppure presentano possibilità di ulteriori applicazioni tecnologiche;

b. aspetto creativo sia nel processo didattico che nel risultato finale. Laddove interagiscono saperi e abilità differenti, il compito da risolvere richiede largo impiego di creatività e di soluzioni impreviste nei singoli campi disciplinari;

c. tendenza a lavorare in squadra. L’aspetto cooperativo e collaborativo, che si instaura fra docenti dei diversi ambiti disciplinari con i discenti e fra discenti stessi, è il ‘collante’ di tutto il processo didattico e costituisce il motore che permette ad abilità e competenze di svilupparsi e potenziarsi;

d. carattere di interdisciplinarità. Il focus dell’azione didattica è puntato sul discente e sulle sue capacità. Questo aspetto favorisce non solo l’impiego di abilità differenti, ma anche l’utilizzo e l’interazione di competenze che agiscono mediante discipline diverse. Tutte le discipline coinvolte assumono, così, pari grado nella gerarchia delle risorse necessarie alla realizzazione del compito e ciascun soggetto coinvolto è esso stesso risorsa per il progetto.

Nel laboratorio, che, grazie alla compresenza di più linguaggi e più aree disciplinari, si può, quindi, denominare ‘glotto-disciplinare’, la lingua –L1, L2, LS– è solo uno dei linguaggi possibili. Ciascun soggetto può veicolare il suo sapere grazie al linguaggio –verbale e non verbale– che gli è proprio e ‘situare’ la propria conoscenza trasversalmente a diverse aree disciplinari. Nel laboratorio glotto-disciplinare, dunque si realizzano tre obiettivi:

a. educare al linguaggio. La lingua è solo uno dei veicoli possibili per trasmettere il sapere, che può essere veicolato anche attraverso altri codici;

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b. formare alla collaborazione. La presenza dello stesso messaggio attraverso più codici ‘costringe’ tutti i partecipanti all’appropriazione dei codici altrui e ciascun membro del gruppo è risorsa per l’altro;

c. umanizzare la scienza. Se lo scopo è risolvere un compito attraverso uno o più linguaggi, l’attenzione didattica non viene posta solo su ‘cosa’ si apprende, ma soprattutto su ‘come’ e su ‘chi’ apprende. Scienze umane e tecniche divengono, dunque, una sola cosa e chiunque partecipi alla costruzione della conoscenza è soggetto protagonista del processo.

La realizzazione del laboratorio glotto-disciplinare sembra trarre ottimi spunti anche dal ‘modello motivazionale’ (BERNE, 2000). Questo modello

individua alcuni fattori che costituiscono i motori dei bisogni degli apprendenti. Tra questi, il bisogno di ‘fare’, ovvero di sperimentare e scoprire con e attraverso gli altri. Questo bisogno può essere soddisfatto attraverso attività di scaffolding predisposte non solo dai docenti disciplinaristi e linguisti, ma anche da altri apprendenti che hanno competenze in linguaggi diversi.

Tali attività sono realizzabili, se corredate da adeguate tecniche didattiche che:

a. richiamino esperienze personali e conoscenze requisite; b. favoriscano lo scambio di conoscenze;

c. siano coerenti con la necessità di rendere accessibili input complessi.

Queste tecniche (per un esame di tecniche che corrispondano a questi requisiti, si veda, tra gli altri, TORRESAN, 2008) trovano la loro naturale

collocazione in un modello che si ispira alla ‘lezione circolare’, ma che, sostanzialmente, sembra ribaltarlo (TORRESAN, 2014).

Esso, infatti, pone come prima tappa del percorso di apprendimento la produzione libera dell’apprendente, tesa al recupero delle sue conoscenze

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pre-requisite ed esperite. Successivamente interviene il docente che presenta le strutture chiavi dell’input linguistico o disciplinare. In questa fase si assiste alla possibilità di collaborazione di docente linguista e disciplinarista, che condividono i medesimi concetti chiave attraverso linguaggi differenti. Nel reimpiego delle strutture apprese si assiste alla condivisione dei saperi da parte dei discenti che condividono il bisogno di risolvere il compito attraverso linguaggi differenti e che divengono, così, l’uno risorsa per l’altro.

Questo percorso non appare troppo dissimile dal modello di unità di acquisizione microlinguistica descritto precedentemente, ma sembra enfatizzare particolarmente la fase di richiamo delle pre-conoscenze in L1 e sembra garantire ampio spazio a una didattica cooperativa e collaborativa. Nell’unità di acquisizione di microlingua, invece, la fase motivazionale può essere omessa, in quanto gli apprendenti sono già specialisti della disciplina. Questo tipo di percorso didattico consente di affrontare l’insegnamento/apprendimento di diversi linguaggi.

Trasponendo, quindi, questi concetti alla didattica glotto-disciplinare in ambito accademico, il dibattito se sia più opportuno creare curricoli interamente in inglese, o se, invece, la lingua nazionale debba comunque recitare un ruolo importante, passa in secondo piano. Ciò che in ambito accademico appare rilevante risulta, invece, la costruzione del sapere e la valorizzazione della ricerca, in qualunque lingua questi obiettivi possano essere perseguiti.

Si auspica, dunque, che il sistema di formazione universitaria offra non soltanto e non esclusivamente insegnamenti o interi curricoli in lingua inglese, ma risorse utili al potenziamento di un’educazione plurilingue, come auspicato dai principi costitutivi della Comunità Europea.

Tali risorse possono essere rese disponibili solo se divengono patrimonio imprescindibile delle strutture e dei soggetti coinvolti e si concretizzano in quattro passaggi:

a. istituzione di moduli di Academic English. Hanno la funzione di preparare tutto il complesso dei discenti a divenire linguisticamente parte attiva della comunità accademica internazionale e a interagire con i colleghi stranieri. Hanno, altresì, lo scopo di divulgare a un

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pubblico internazionale la ricerca promossa in ambito nazionale e permettono alla comunità accademica di esercitare il soft power; b. istituzione di moduli di microlingua nella lingua che più produce

letteratura scientifica per ogni ambito disciplinare. Hanno lo scopo di permettere ai discenti di accedere alle fonti primarie del sapere e di educarli parimenti al rigore scientifico e alla compresenza di più linguaggi;

c. istituzione di moduli di italiano accademico. Hanno lo scopo di consapevolizzare i parlanti L1 degli strumenti linguistici propri del proprio ambito scientifico e trasversali all’ambiente accademico e di fornire ai parlanti LS e L2 gli strumenti per integrarsi con la comunità accademica locale;

d. istituzione di laboratori glotto-disciplinari, in cui docenti linguisti e disciplinaristi e discenti concorrano, mediante i reciproci linguaggi e saperi, alla costruzione di una conoscenza situata per ambito glotto-disciplinare. In questi laboratori il compito da svolgere è prioritario rispetto alla lingua da prediligere e questa è conseguente al processo didattico che viene messo in atto.

I centri linguistici, generalmente, offrono corsi di Academic English e, laddove presente, italiano accademico. Tuttavia, questi corsi risultano attività accessorie e non annoverabili alla formazione curricolare. Nei curricoli universitari sono, invece, presenti corsi di microlingua, che godono del diritto di ricevere crediti e sono, quindi, annoverabili nel cursus studiorum degli studenti. Non sembrano essere sperimentati ancora istituzionalmente laboratori glotto-disciplinari né in centri di sostegno agli studenti, né nei dipartimenti. In quest’ottica appare, dunque, utile una riflessione sullo spazio che l’italiano accademico ricopre nel novero dei linguaggi glotto-disciplinari del contesto universitario.