La guerra, ieri come oggi, in ogni luogo dove essa si propone,
scombussola gli animi dei popoli e presenta una preminenza assoluta
della visione della morte e della salvezza eterna. Si prega per la vittoria
delle armi e si parla di fine vittoriosa ma l’accento cade, necessariamente
ed incessantemente, sulla pace, sull’incolumità dei soldati e delle
popolazioni mentre la guerra è considerata un castigo divino.
Ovviamente si tratta, questo, del punto di vista del Clero e non dei regimi
per i quali le guerre avevano, ieri ed hanno ancora oggi, tutt’altro
significato. La guerra, la Seconda Guerra Mondiale, dall’analisi fatta
attraverso i documenti della Chiesa, non poteva essere accettata come una
lotta per il predominio del mondo e la sottomissione dei popoli. La
guerra, questa guerra, doveva inevitabilmente essere spiegata in altro
modo e la Chiesa, brava interprete delle paure della gente, non poteva
che giustificarla con il castigo divino, con l’espiazione delle colpe umane
e delle cattiverie commesse dagli uomini contro Dio. Come abbiamo già
visto nel primo capitolo, la Chiesa fece delle pubbliche preghiere il
proprio motto e portò avanti questa consapevolezza, da inculcare nei
fedeli, non solo nel periodo della guerra ma anche oltre, fino alla fase di
ricostruzione del paese e delle anime. L’atteggiamento del Clero, difatti,
cambiò completamente in quegli anni tragici, anni in cui la Chiesa capì
appieno come sfruttare la guerra asservendo i fedeli al proprio potere e
richiamandoli ai valori cristiani e di fede con l’obiettivo della conversione
a Dio, a Cristo e alla religione cristiano-cattolica. Nulla di più facile c’era,
infatti, nella prospettiva a lungo termine del Clero, di sottomettere i
molisani alla parola di Dio in cambio della tanto ricercata pace, illusoria o
realistica che fosse stata.
Dopo la catastrofe del 10 settembre 1943, come ricorda nel suo libro
anche la scrittrice molisana, Ada Trombetta, che visse in prima persona
quei tragici giorni di terrore e di disumanità, e dei quali il papà Alfredo
fu bravo interprete con la sua instancabile macchina fotografica, si
invocava continuamente il Signore per riportare la pace nelle terre
martoriate. Anche lo scrittore isernino e poi giornalista sportivo, nel suo
sopravvivere sotto le bombe, implorò la salvezza attraverso la preghiera:
“…Te solo invocammo, mentre i vivi morivano ed i morituri
sopravvivevano. E Tu solo confortasti le agonie, Tu solo soccorresti le
rinascite”. (A. Trombetta,1943-1944… e fu guerra anche nel Molise, Editrice
Arti Grafiche «La Regione», Campobasso, 1993, p. 44). Non bastavano
più le preghiere esistenti, ne vennero coniate anche delle altre. Sulle
pressioni perseveranti della Chiesa che chiedeva ai fedeli di recitare, in
ogni momento del giorno e della notte, le preghiere e il Santo Rosario,
perché solo così sarebbe tornata la pace, si improvvisano continue
invocazioni ogni giorno per richiamare l’attenzione di ogni tipo di Santo,
così come racconta anche l’autore Roberto Violi nel suo libro “Religiosità
e identità collettive”. “La Preghiera della madre alla Vergine dell’Arco
per il figlio soldato contiene – scrive Violi – l’invocazione che si affretti il
trionfo della patria ed è incentrata sul tormento di un cuore materno che
chiede soprattutto che il proprio figlio esca indenne da ogni pericolo,
affinché, compiuto il proprio dovere, possa presto tornare a casa. La
Preghiera alla Vergine dell’Arco per i soldati esalta l’esposizione eroica ai
pericoli e ai nemici, da cui i soldati vanno protetti, chiede che ogni
soldato sia un eroe, che ogni battaglia sia vinta e ogni combattimento
risulti un trionfo, ma che tutti possano ritornare. I caduti siano dalla
Vergine assistiti e sia dato conforto, anche in questo caso, a madri, padri,
spose e figli che vivono nella trepidazione. La Preghiera del soldato alla
Vergine dell’Arco, infine, chiede forza per combattere per la propria bella
patria e insiste sull’assistenza della Vergine nel dolore e nella morte,
invocando per i familiari speranza o rassegnazione ai voleri divini e
orgoglio di aver dato il sangue di un congiunto all’Italia” (R. Violi,
Religiosità e identità collettive. I santuari del Sud tra fascismo, guerra e
democrazia, Studium, Roma, , 1996, pp. 103-104).
Ma la preghiera quanto poteva essere efficace contro le armi?
Quanto poteva realmente aiutare chi, a costo del supremo sacrificio della
vita, difendeva la propria Patria? “Per niente” era la giusta risposta della
Chiesa che sapeva realmente, dal canto suo, che una guerra non poteva
assolutamente risolversi invocando Dio ma che, comunque, continuava a
servirsi della fede per tenere buono il popolo devoto, in gran parte
analfabeta, e asservirlo così alla causa cristiana di conversione e rispetto
della religione. Infatti, come risultò evidente già nel corso della Grande
Guerra, il Clero delle diverse nazioni belligeranti non seguì le direttive di
Benedetto XV, prima, e di Pio XI e Pio XII, dopo, che invocarono, da
subito, la fine del conflitto, ma, piuttosto, cercò, scaltramente, di
identificarsi con gli interessi del proprio Governo pregando per la vittoria
militare del proprio Paese. Una situazione questa, forse, dettata anche
dalle pressioni che le Istituzioni locali facevano sui propri sacerdoti per
cercare di mettere in evidenza, con il Governo centrale, l’obbedienza del
popolo agli ideali del Fascismo:
“[…] Di molta risonanza è stata in questo capoluogo l’orazione pronunziata nella Chiesa Cattedrale dal Vescovo della diocesi durante la messa celebrata in suffragio dei Caduti della Milizia dinanzi ad una fitta massa di popolo. Nell’incitare alla Fede e nello inneggiare al Duce ed al Regime l’insigne Presule ha affermato con vibranti parole che la protezione divina aleggia certa ed immancabile sull’Italia perché essa combatte pel trionfo della civiltà romana e cristiana contro il bolscevismo negatore e distruttore della Patria, della Famiglia e degli ideali più santi e più nobili dell’umanità […]”1.
La Chiesa, intanto, continuava a rappresentare il centro di unione
delle comunità soprattutto davanti ad un mondo sempre più dilaniato
dalla guerra e che si distruggeva nell’odio reciproco. Le terribili battaglie
e gli atroci combattimenti stavano producendo effetti tremendi sugli
uomini e le loro coscienze. In tale situazione, lo Spirito Santo raffigurava,
nell’immaginario collettivo ecclesiastico, il mezzo per scacciare i mali che
il mondo stava vivendo:
“[…] lo Spirito Santificatore, perché Egli sia conosciuto, sia adorato, sia invocato con fede perché torni a investire i cuori dei suoi ardori divini, perché soffi, aura confortatrice, sulle passioni umane, perché corrobori nella lotta contro lo spirito del mondo, perché illumini le anime, santifichi le famiglie, diriga i reggitori dei popoli e ridoni al mondo sconvolto l’ordine, la giustizia, la pace. […]”2.
E la religione, intesa come insieme di fede, insegnamenti, precetti e
speranze, doveva essere, stando ovviamente all’opinione del Clero, la
soluzione alla guerra e alle difficoltà del momento:
1 ASCB, Prefettura di Gabinetto II, b. 62 f. 393, Relazione mensile, Nota inviata dal
Prefetto di Campobasso, Cocuzza, al Ministero degli Interni - Situazione provinciale, 3 febbraio 1943.
2 ADIS, Inventario Sommario di Venafro, b. 8 f. 56, Lettere pastorali del Vescovo
“[…] l’attuale gravissimo travaglio dell’umanità è preparazione di un nuovo, giusto e perciò duraturo ordine della convivenza sociale. Per questo ordine nuovo, tanto proclamato, vagheggiato, atteso, quanto può fare la religione nostra? Noi, o filiani e cittadini, dobbiamo rispondere senz’altro che la religione nostra può fare moltissimo, e che anzi quanto essa può fare costituisce addirittura una parte preponderante. La pace, infatti, che debba essere vera e duratura, deve fondarsi sui principi eterni, divini della giustizia e della carità. Perché si abbia la pace vera fra gli uomini deve aversi prima la pace con Dio e questa pace con Dio è tutta nell’osservanza della legge fondamentale di Dio: amare Dio anzitutto e soprattutto e amare il prossimo come noi stessi. Nessun’altra pace può concepirsi vera e duratura, se non fondata su tale legge fondamentale. […] Iddio conceda che si cammini davvero e sicuramente verso quest’ordine nuovo, più equo ed unanime, e che la vittoria per l’Italia nostra, la vittoria per la quale dobbiamo tutti operare e pregare, affretti l’avvento di tale ordine. Cristiani e italiani noi formiamo concordemente voti fervidi e ardenti speranza per un avvenire migliore dell’umanità. L’adveniat regnum tuum che ripetiamo tante volte nella preghiera domenicale, si rivolge necessariamente anche a questo nuovo ordine, perché esso non potrà non fondarsi sulla legge eterna del Vangelo, su Cristo Signor nostro, che solo e sempre è la Via, la Verità e la Vita”3.
In questa condizione, i sacerdoti invocavano più amore per le stesse
chiese chiamando i fedeli ad incontrarsi in quei luoghi sacri e spesso
chiedendo anche offerte per la loro ristrutturazione e il loro
sostentamento, non senza rimarcare, a sostegno del popolo, la funzione
altamente sociale che ogni parrocchia rivestiva. Un esempio si ha con il
Convento di San Giovanni a Campobasso. Durante l’occupazione anglo –
americana era vietato costituire libere associazioni e i coltivatori diretti
del Molise furono appoggiati, nelle loro azioni, dal Padre Superiore del
Convento, che concesse loro i locali della chiesa per le proprie assemblee.
Mentre chi doveva difendere veramente i lavoratori, come in questo caso
doveva fare l’Unione Provinciale Fascista, se ne lavò le mani, come risulta
evidente dalla documentazione in nostro possesso a denuncia del
questore di Campobasso che rimprovera lo scarso interesse nei confronti
del settore agricolo per il quale ci doveva essere un’attenzione superiore
rispetto al resto, essendo l’agricoltura, per i molisani, la principale fonte
di sostentamento:
“Devo inoltre insistere sulla generale lagnanza, direi malcontento della stessa classe degli agricoltori circa il fattivo funzionamento in genere della loro Unione Provinciale Fascista, che in questa Provincia “Ruralissima”avrebbe
3 “Bollettino emidiano”, Bollettino parrocchiale di Agnone, “La parola del parroco”,
importanti compiti da assolvere e nella quale invece si nota e si deplora la mancanza di ogni azione efficace, tempestiva coordinatrice, e talvolta il più completo assenteismo, con grave danno agli interessi dell’agricoltura, che nel Molise, ripeto, sono preminenti e dovrebbero essere oggetto di maggiore attenzione da parte degli Organi Centrali”4.
Il Clero cercava, quindi, in tal modo, andando oltre le attività del
Governo e del Regime, di rimanere il più vicino possibile ai propri fedeli
anche per cercare di debellare un possibile effetto che la guerra avrebbe
potuto produrre e cioè quello di demolire l’unico sentimento che
accomunava gli italiani di qualsiasi ceto sociale: il sentimento religioso e
di appartenenza alla Chiesa. Le vicende della guerra, di fatti, misero in
evidenza che qualcosa andava cambiando e che presto si sarebbe dovuto
affrontare un mutamento sociale e politico molto profondo. Proprio per
questo i sacerdoti, diretti dai loro superiori, non smisero mai di impartire
lezioni di fede, di chiedere preghiere per invocare la pace, di professare il
Credo in Cristo Signore cercando di far aprire i cuori a tutti i fedeli e
soprattutto a quanti erano lontano dalla religione cristiana.
“La grande tribolazione della presente guerra si appresta a farci celebrare ancora un’altra Pasqua nella sofferenza e nel dolore! Molti, specialmente i più provati dal lutto e dalle privazioni di ogni genere, saranno per tale motivo tentati di disorientarsi di venir meno nella fede e nella fiducia in Dio. Orbene, la nostra Santa Fede possiede tali tesori di verità e tiene in serbo per noi tali realtà, che il nostro spirito da essa sostenuto non soltanto non ha alcuna ragione di abbattersi, ma ha invece motivo di erigersi a maggiore confidenza ed incrollabile fiducia. […] Si è vero. Le guerre, come le malattie, la stessa morte e tutti i mali fisici in generale, sono castighi di Dio, castighi di un altro male, il male morale, il vero male del peccato, di quello, cioè, dei nostri primi genitori e dei peccati nostri. Non ci sarebbero né la morte, né le malattie, né le guerre, se non ci fosse stata e non ci fosse tuttavia la ribellione a Dio; […]. Alla luce della Fede infatti questi mali sono castighi si, ma castighi di padre, di chi, cioè, ama ed ama come un padre può amare i propri figli, il quale, se li fa soffrire a ciò s’induce, perché non ha come diversamente procurare il loro bene; […]. Le tribolazioni sono adunque necessarie per darci la certezza che Iddio ci riconosce per i figli suoi! Se esse mancano, è segno che Iddio non si cura di noi, non ci corregge, ci abbandona. […]. E se vogliamo intuire la ragione di questa legge della sofferenza per appartenere a Cristo in eterno, basta che poi riflettiamo che, come l’oro si purifica soltanto col fuoco, così il nostro amore a Dio soltanto con la sofferenza si affina e si purifica. Infatti, fintantoché siamo soddisfatti e felici qui in terra, si può sempre dubitare che noi amiamo Dio non
4 ACS, Ministero dell’Interno – Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e
Riservati 1941, b. 50, Oggetto: Relazione sulla situazione politico – economica della provincia, Campobasso, 27 settembre 1941.
per Lui in verità, ma per i vantaggi terreni che ne vengono; ma, se queste gioie terrene ci vengono meno ed invece di esse ci sopraggiunge l’austera prova della privazione e del dolore e noi, ciononostante, non cessiamo di amare e di sperare nel Signore, allora veramente si deve dire che il nostro amore è sincero e che nessuna forza o avversità umana o diabolica valgano a spegnercelo; […]. Ho detto però: “Se veramente crede e spera in Dio, perché, se questa fede non c’è ed, al contrario la si ripone nella idolatria di sé stessi e negli umani accorgimenti, è inutile sperare che menti e cuori resistano alla prova e la superino. […]. Da ciò possiamo agevolmente comprendere come principalissimo fine che si prefigge il Signore nel permettere certi profondi e generali sconvolgimenti, quale l’attuale guerra, polverizzatrice di sistemi e concezioni di vita ritenuti il non plus ultra delle umane conquista, è quello di aprire gli occhi a tanti su la vacuità e l’inconsistenza dell’umano progresso non basato in Dio ed a costo anche di terribile esperienza, procurare loro il supremo beneficio di un saggio e salutare ritorno a Lui, al Dio della giovinezza di ciascuno e della comune civiltà; beneficio questo che, se si conseguisse in pieno, compenserebbe abbastanza la somma spaventosa di dolori e di sangue, anche di vittime innocenti, sborsata del genere umano per venirne in possesso. […]. Concludendo riportiamo adunque Iddio: 1) in noi stessi, ossia nelle nostre menti e nei nostri cuori, e non soltanto come idea-forza direttrice ed informatrice del volere e dell’operare, ma in modo reale e nel senso concreto della parola […]. 2) attorno a noi: nella nostra famiglia, nella nostra patria, nella società intera, esigendo, per quanto dipende da noi […]”5.
Le tribolazioni erano dunque necessarie, scriveva il Vescovo di
Trivento, per riconoscerci figli di Dio? Per sentire la sua vicinanza e la sua
protezione? A distanza di anni, oggi ne sono passati all’incirca 70 da quei
tragici eventi, le tesi sostenute dalla Chiesa sembrerebbero un po’
eccessive ed azzardate, ma nell’allora situazione di sconforto in cui si
trovava il Molise e l’Italia intera, la Chiesa cercava, in ogni modo, di
intervenire come meglio poteva per portare avanti la sua politica sociale e
di conforto per i sofferenti e le vittime delle ingiustizie belliche. Tutto il
Clero, a vario modo, era impegnato, assiduamente, in quest’opera di
recupero delle anime afflitte:
“Dopo una preparazione di due mesi di preghiere e di sofferenze richieste, agli istituti religiose e alle suore, nonché ai bambini di Campobasso, la sera di Domenica 27 Agosto alle ore 19 si è iniziato il corso di esercizi spirituali agli uomini di Campobasso, per poter attuare, dopo, l’opera dei Ritiri di Perseveranza. Sono stati invitati a questi esercizi, tenuti nella nostra chiesa del
5 ADTr, Bollettino Ufficiale della Diocesi di Trivento, “Le presenti tribolazioni alla luce
della Fede” Lettera pastorale dell’anno 1945 scritta dal Vescovo di Trivento, Epimenio Giannico, diretta a tutto il clero e ai fedeli della propria Diocesi, nella domenica di settuagesima per la Pasqua, gennaio 1945.
S. Cuore, tutti gli uomini dai 18 anni in su, avvisati per mezzo di manifesti e per mezzo di inviti personali in numero di 3500 rivolti ai capi-famiglia della città. Gli esercizi sono stati aperti al canto del Veri Creator, con un discorso di S. Ecc. Mons. Alberto Carinci, Vescovo di Isernia e Venafro, Amministratore apostolico di Boiano-Campobasso. Ogni sera sono state tenute due prediche, di cui la prima a dialogo, la seconda a meditazione. Esse sono state tenute dai diversi Padri del Convento, e cioè dal P. Emmanuele da S. Marco la Catola, Guardiano, P. Cristoforo da Vico del Gargano, Vicario, P. Antonino da S. Elia, Lettore, P.Aurelio da S. Elia, P. Vincenzo da Casacalenda, Lettore.[…]. La chiesa è stata ogni sera piena di uomini, che si vedevano assetati di pace in tempi calamitosi tanto. La sera del giovedì, 7 Settembre, si è tenuta una sola conferenza sull’Eucarestia per dare agio a tutti di confessarsi. La mattina del giorno 8 Settembre, venerdì, Festa della natività di Maria, alle ore 8 c’è stata la Comunione generale degli uomini durante la Messa celebrata dal Guardiano. La sera poi alle ore 19 dalla nostra chiesa del S. Cuore si è mossa una grandiosa Processione, composta dai soli uomini, che, cantando e pregando, sono andati, con i Padri del Convento in testa alla Cattedrale, ove Mons. Luigi Iammarino, Arciprete, dopo un breve fervorino, ha impartito la benedizione Eucaristica e la benedizione papale. S. Ecc. Mons. Alberto Carinci, Vescovo di Isernia e Venafro, amministratore di Boiano-Campobasso, è intervenuto per tre sere anch’egli alle prediche, e vi ha impartito la benedizione Eucaristica e poi è dovuto partire per Lanciano. Nelle altre sere la benedizione è stata impartita ora dal M R.P. Agostino da S. Marco in Lamis, Provinciale, trovatosi qui per varie ragioni, ora dal Rev.mo Arciprete ed ora dagli altri Parroci della città che sono intervenuti quasi ogni sera agli Esercizi. Il frutto spirituale sembra che sia stato grandissimo giacchè si sono visti degli uomini che hanno ricevuto la Comunione dopo venti, trenta e anche quarantacinque anni! Sia ringraziato Dio. La mattina così dell’8 Settembre si è fondata la sezione dei Ritiri di Perseveranza, che è la prima nell’Abruzzo e Molise. Voglia il Signore che questi uomini siano veramente perseveranti alla Confessione e Comunione mensile!”6.
La guerra, difatti, modificò fortemente gli uomini intaccando ogni
sfera della loro vita, sia nel privato che nel sociale. Lo scoppio della
Seconda Guerra Mondiale e tutti gli anni di durata del conflitto
determinarono lo sconcerto delle attività ordinarie ed uno stato di forte
depressione morale, economica e spirituale reiterato nel tempo:
“Le condizioni generali di vita permangono angustianti sia per la deficienza dei mezzi di comunicazione che per la persistente mancanza di alcuni generi alimentari di prima necessità […]”7.
6 Libro Cronistorico del Convento S. Cuore, Oggetto: Esercizi Spirituali a tutti gli
uomini di Campobasso, 27 Agosto-18 Settembre 1944.
7 ASCB, Prefettura di Gabinetto II, b. 62 f. 393, Relazione mensile - Oggetto: Situazione
generale della Provincia, Nota inviata dal Prefetto di Campobasso, Cocuzza, al Ministero degli Interni, 31 agosto 1944.
La fame era uno dei più grossi problemi per il popolo molisano,
soprattutto per quei tanti genitori che non riuscivano a sfamare i propri
figli. Ma le ristrettezze, dettate dalle difficoltà di guerra, erano, oltre
modo, state imposte anche dallo stesso Regime:
“Il popolo italiano, tutto, dai dirigenti ai più umili operai, sa che il razionamento di alcuni dei più importanti generi alimentari è una necessità assoluta imposta dallo stato di guerra. Lo sa e intende anche gli altri scopi che si prefigge il Governo con il razionamento: la parte maggiore del popolo ricorda bene i sacrifici sostenuti durante la guerra 1915-1918, quando noi, alleati con i nemici di oggi, soffrimmo per tutti. […] Il popolo italiano non ha mai dato segni particolari di reazione, quando è stato richiesto di sacrifizi e restrizioni per la sua causa, per la sua missione, per la tutela del suo onore e della sua millenaria