2. DALLA COMUNITÀ AL LAVORO INTEGRATO
2.2 Rete e integrazione dei servizi
2.2.2 Lavorare insieme
L’integrazione è un argomento complesso sia nella sua accezione descrittiva sia nella sua prassi applicativa. Indubbiamente con il tempo si è evoluta la capacità di lettura dei problemi: oggi le analisi sono molto più perfezionate e articolate. In risposta a questa maggior raffinatezza di lettura si è contemporaneamente sviluppata una risposta strutturata e complessa che ha favorito lo sviluppo di una rete di strutture e servizi specialistici capaci di rispondere al bisogno in modo approfondito, anche se spesso settorializzato: la persona esprime una domanda unitaria a cui molte volte viene risposto in modo frammentario, per effetto della complessità della situazione e per l’alta specializzazione dei servizi. Ciò può implicare, per la persona, la costruzione del processo integrativo in quanto impegnata nella ricomposizione e nell’unificazione delle molteplici risposte ricevute da servizi differenti, con il rischio di essere soggetta a fraintendimenti ed errori. Ne deriva che tale funzione di connessione non può essere lasciata ad esclusivo appannaggio della persona, non sempre in grado di integrare e collegare le singole parti, ma va demandata al servizio, unico soggetto, in quanto struttura, in grado di svolgerla adeguatamente e correttamente111.
109Ivi, p. 162 110Ivi, p. 40
111Dimoede Canevini M, Vecchiato T., L’integrazione delle professionalità nei servizi alle persone, Fondazione Zancan, Padova, 2002
L’aumentata complessità dei problemi sociali e sanitari, le caratteristiche delle organizzazioni in termini di moltiplicazione e frammentazione dei servizi e dei centri decisionali spingono verso una maggiore necessità di integrazione tra professionisti, fra interventi e fra strutture di servizio. Pertanto, la responsabilità di produrre migliore qualità di servizi alle persone investe tutti i livelli delle organizzazioni: i processi d’integrazione sono lenti e si realizzano con il coinvolgimento di tutti i livelli e di tutti i soggetti interessati. Sono processi che, accanto e forse prima di condizioni organizzative favorenti, richiedono una dimensione mentale dei singoli soggetti attori delle organizzazioni. La capacità e la disponibilità integrative vanno considerate requisito qualificante per la stessa professionalità nella misura in cui i processi d’integrazione sono sempre meno degli accessori e sempre più dei fattori decisivi per l’efficacia di molte risposte. Diventa importante, quindi, riflettere sull’aspetto del concetto d’integrazione come pensiero integrativo e integrante, come dimensione interna dei protagonisti giacché elemento essenziale per la sua realizzazione.
Nei servizi alle persone, se non sempre è necessario o possibile un lavoro d’integrazione tra diverse professionalità, è però sempre fondamentale agire con una mentalità integrativa: è una dimensione del pensiero, un’apertura mentale che permette di non farsi sfuggire la complessità dei problemi sociali e la parzialità-limitatezza strutturale di ogni professione, di ogni intervento, di ogni servizio.
Mentalità integrativa intesa in più sensi: in primo luogo, qualsiasi sia l’intervento professionale e del servizio, esso non deve mai minacciare l’unitarietà e l’integrità della persona, tanto più quando i problemi da affrontare riguardano direttamente la rottura dell’equilibrio psico-fisico-sociale della persona, o la disgregazione familiare e/o tutela minorile, o l’emarginazione sociale; inoltre, non vi è evoluzione e sviluppo della propria professionalità se non aprendosi a diversi confronti e ascolti di saperi, di altri ambiti disciplinari, di altre competenze, da cui possono derivare punti di vista nuovi. Ovviamente ciò è fattibile se il professionista ha acquisito un’identità professionale forte e al contempo aperta e critica, in grado di ampliare il proprio bagaglio culturale nel corretto utilizzo di acquisizioni scientifiche altre. Basti pensare, per fare un esempio, all’applicazione di conoscenze e metodiche proprie dell’ingegneria o dell’informatica alla medicina o alla chirurgia. Oggi, una gran quantità di problemi si affrontano solo con conoscenze e interventi compositi, interdisciplinari e interprofessionali e la prima condizione, perché questa integrazione si realizzi, in relazione alla continua ri- definizione del prodotto del lavoro, è la consapevolezza che la propria identità
professionale si plasmi nel confronto con altre identità. Inoltre, la professionalità si acquisisce e si alimenta, al di là della preparazione scolastica e della formazione, dal costante confronto fra teoria e prassi. Pertanto vi sono parti del sé professionale e personale che ogni professionista ha bisogno di integrare. Operando si accumula esperienza che deve diventare fonte preziosa di professionalità, non solo nell'affinamento di abilità e tecniche, ma soprattutto nella valorizzazione della stessa come luogo di conoscenza originale e non del tutto sovrapponibile a teorie generali e modelli standardizzati: la complessità e l’estrema varietà dei problemi umani e sociali, la loro dinamicità e imprevedibilità richiedono specifiche abilità nel leggere la realtà quotidiana e acquisire da questa saperi continui e indicazioni operative112.
Ciò è particolarmente importante per le professioni di tipo psico-sociale, che si occupano di cambiamenti nelle persone e negli ambienti di vita spesso poco tangibili, non misurabili, poco definibili secondo schemi e regole certe, e fortemente influenzate dalla soggettività e dalle rappresentazioni mentali dei professionisti. Integrare teoria e prassi vuol dire metterle in rapporto dialettico e circolare: la prassi si alimenta con il ricorso costante a quadri teorici aggiornati, la teoria si rivitalizza attraverso l’esperienza, con acquisizioni e ipotesi nuove. Inoltre, nelle professioni di aiuto non è sempre facile rappresentarsi l’aiuto come integrazione anche perché su questo pesano molto le rappresentazioni collettive, le pressioni e gli stereotipi sociali, particolarmente quando si tratta di integrare necessità di tutela e di controllo, bisogni individuali e interessi collettivi, difesa dei più deboli e diritti della collettività.
Riferita all’ambito organizzativo, un forte deterrente dei processi d’integrazione professionale è la separazione tra pensiero e azione, che spesso equivale allo stereotipo della distinzione tra chi pensa e chi fa (o esegue). Qualora poi coincida con la distinzione tra professioni forti e professioni deboli, può nascondere la tendenza a difendersi da relazioni più ravvicinate e attente agli svariati e inquietanti risvolti delle situazioni degli utenti; può celare la rinuncia ad un pensiero attivo che mette in discussione e che stacca dalla routine, o può sostenere l’esigenza di conservare certi meccanismi di potere/dipendenza113.
Per finire, si richiama la pre-condizione per una mentalità integrativa dei professionisti, che è la consapevolezza della propria strutturale parzialità e la capacità di agire di conseguenza. Non è da confondere con il senso d’impotenza di fronte a problemi 112Ivi
insormontabili o a eccessiva scarsità di risorse, ma dovrebbe essere lo stimolo che spinge alla ricerca di una lettura più completa, integrata dei problemi e delle risposte più vicine alle esigenze reali delle persone.
Nelle organizzazioni i processi integrativi tendono a rompere alcuni schemi classici del funzionamento gerarchico. Non è possibile integrare ciò che a livello della gestione e dell’organizzazione è rigidamente frammentato e un’effettiva integrazione delle risposte non può solo essere imposta o prescritta a chi materialmente fornisce tali risposte. Il modello classico di organizzazione attribuisce responsabilità via via più attenuate dai vertici alla base, l’integrazione richiede la sovrapposizione di un riconoscimento e di una promozione di responsabilità a tutti i livelli, differenziati in base agli obiettivi da raggiungere e non alle posizioni gerarchiche stabilite nell’organizzazione. Questo comporta, da parte dei vertici, sopportare il formarsi di aggregazioni spontanee tra professionisti e, nello stesso tempo, da parte di quest’ultimi, l’assunzione della consapevolezza e la gestione delle proprie responsabilità, che spesso includono capacità di negoziazione sia con i dirigenti, sia con altri soggetti dell’organizzazione. Implica inoltre sapersi rappresentare le relazioni professionali e interprofessionali in modo paritetico, anziché di sudditanza o di dominio. Il lavoro integrato non è semplicemente un lavoro fatto insieme, è un percorso condiviso tra professionisti nel “terreno mobile
del rischio” di perdere la propria individuale integrità e di una destrutturazione
organizzativa114.
Kaneklin C.115, dalla sua lunga esperienza di formazione al lavoro di gruppo nelle
organizzazioni, individua “due aree critiche” che contraddistinguono la produzione di gruppo e i processi d’integrazione nelle organizzazioni. La prima area concerne il valore dell’azione personale che si attenua tanto più il risultato dipende dall’interazione e dal contributo di più persone, quanto più è rilevante la fiducia realistica che ciascuno pone nella efficacia collettiva del gruppo. La seconda area attiene al concetto che, per operare in contesti fluidi, in organizzazioni flessibili, è necessario accrescere la visibilità del senso, del significato del lavoro e non perdere o recuperare il mandato sociale e gli obiettivi organizzativi, in modo da poter far fronte alla frammentazione inscritta nelle organizzazioni. Kaneklin C. supera queste criticità attribuendo ai processi d’integrazione una forte funzione di apprendimento collettivo, consentito dallo sviluppo di capacità riflessive rivolte concretamente all’oggetto comune di lavoro, ai successi ed 114Neve E., “Integrazione e formazione”, in Diomede Canevini M. e Vecchiato T., 2002 op. cit.
agli insuccessi che man mano si presentano. Trattandosi di un ambito di lavoro caratterizzato da servizi, quindi, predefinibili solo a grandi linee, è inevitabile che siano condizionati dalle rappresentazioni mentali di coloro che li erogano e di coloro che li ricevono. Il processo d’integrazione risponde alla necessità della loro identificazione attraverso una ricorsiva definizione da parte dei professionisti che, a fronte della perdita di qualche abitudine e certezza, potranno ottenere, come contropartita, nuove conoscenze e nuove capacità in relazione a risultati più efficaci. Dentro un processo ricorsivo di azioni i singoli operatori possono contestualmente sviluppare conoscenze e competenze individuali e di pensiero. In questo processo il mandato istituzionale e la ridefinizione degli obiettivi del lavoro hanno la forza di allentare tensioni e rivalità tra i membri del gruppo facendo emergere con spontaneità modi concreti d’integrazione fra aspetti professionali bloccati nell’arroccamento in una malintesa difesa della propria specificità professionale. I processi d’integrazione chiamano fortemente in gioco la disponibilità, la sensibilità e le convinzioni personali; infatti, ferma restando la rilevanza degli apprendimenti forniti dall’esperienza lavorativa e dal patrimonio curriculare, questi non sono sufficienti per formare una mentalità integrativa.
Si può fare molto per rimuovere gli ostacoli che contrastano i processi integrativi, per educare all’integrazione, per sostenerla e incentivarla, ma in ultima analisi bisogna che tutte le parti in gioco vogliano integrarsi: bisogna crederci!