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2. DALLA COMUNITÀ AL LAVORO INTEGRATO

2.2 Rete e integrazione dei servizi

2.2.1 Lavoro di/in rete

Moreno J. L. (1934) fu il primo che utilizzò l’idea di ponte come collegamento tra le reti e di densità come grado d’interconnessione reciproca fra i componenti della rete86.

Ugualmente, nel secondo dopoguerra, gli antropologi sociali della scuola di Manchester impiegarono il concetto di rete per capire le società complesse. Barnes J. (1954)87

utilizzò lo studio delle reti per comprendere il sistema sociale di classe e il funzionamento dell’azione collettiva. Attraverso la ricerca, in una piccola comunità norvegese di pescatori, individuò alcune rilevanti caratteristiche delle reti sociali (o di relazioni) quali l’ampiezza (quantità di attori), la densità (quantità di legami e transazioni esistenti e possibili fra gli attori), le interconnessioni (il numero medio di legami necessari per connettere ogni punto della rete a tutti gli altri) e i sottoinsiemi (le sub-unità in cui la rete è scomponibile).

La rete sociale (social network) è un complesso di strutture sociali che implicano un insieme di punti e un gruppo di legami che connettono questi punti: i punti possono essere persone, gruppi, organizzazioni o istituzioni.

Oggi, con il concetto di rete sociale si indica “un insieme specifico di legami che si

stabiliscono tra un insieme specifico di persone; le caratteristiche peculiari di questo legame permettono di dar senso e comprendere i comportamenti sociali delle persone che vi sono coinvolte”88 e, con il termine social network, s’intendono “l’insieme dei

contatti interpersonali per effetto dei quali l’individuo mantiene la sua identità sociale, riceve sostegno emotivo, aiuti concreti, servizi, informazioni oltre alla possibilità di sviluppare rapporti significativi”89.

E’, a questo punto, opinione comune tra gli studiosi e gli operatori della salute che il lavoro di rete (networking) risulta un processo che tende a legare tra loro tre o più persone in una maglia di relazioni interpersonali dotate di significato.

Detto questo, si comprende che non si tratta di un fenomeno recente: la storia dell’umanità è storia di legami significativi tra persone, ma è negli ultimi anni che si sono definite strategie operative attuabili nel lavoro clinico, nell’ambito dei servizi 86Folgheraiter F., Teoria e metodologia del Servizio Sociale. La prospettiva di rete, F. Angeli, Milano, 2002

87Ivi 88Ivi, p. 71 89Ivi, p. 79

sociali e sanitari, nella salute mentale, nei servizi di psicologia e psicoterapia e nel lavoro di sviluppo comunitario.

Per gli operatori è importante avere la consapevolezza che il nostro fare è inserito nella reticolarità dei nostri rapporti, che siamo parte di reti (familiari, sociali, professionali) che contribuiamo a costituire e che ci costituiscono. Per affrontare problemi complessi, le reti tra organizzazioni sono una delle strategie più ricorrenti in quanto riguardano, necessariamente, servizi interdipendenti. Infatti, il lavoro di rete si definisce come approccio integrato, poiché opera sui diversi elementi (individuale, sistemico, funzionale, strutturale, psicosociale) che costituiscono quel contesto specifico, facendo leva sull’interdipendenza delle parti. L’interdipendenza, man mano che si lavora anche su un elemento o una sua parte, comporta il modificarsi di tutti gli elementi che tendono a un nuovo equilibrio dinamico e quindi a costituire un nuovo sistema. La premessa secondo la quale l’interdipendenza tra i soggetti rappresenta la peculiarità propria della rete richiede che le strategie e le azioni del lavoro di rete e di gruppo debbano in primo luogo essere indirizzate agli attori affinché diventino coscienti della loro interdipendenza: “quel che ne costituisce l'essenza non è la somiglianza o la

dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza”90. In

conformità a questa consapevolezza è possibile definire obiettivi comuni per orientare le azioni dei singoli attori della rete in un’ottica di cooperazione reciproca. È una prospettiva di tipo strategico e metodologico integrata, con la quale si superano molte delle tradizionali divisioni standardizzate del lavoro sociale; in linea di principio, c’è un rapporto di simmetria di tutte le componenti, in quanto l’enfasi è sulla collaborazione tra diverse organizzazioni e tra differenti tipi di persone91. Lavorare dal punto di vista

della rete, permette, inoltre, di superare la concezione dicotomica o scissa della persona, del gruppo e del contesto, a favore di una visione olistica in cui l’interdipendenza del contesto individuo–rete-comunità-società è una componente trasformativa e partecipativa92.

La settorializzazione impedisce un approccio olistico allo studio e alla valutazione del caso, non consentendo la messa in evidenza di tutti gli aspetti correlati e rilevanti all’interno del processo d’aiuto. La costruzione della rete, l’integrazione dei servizi e il

90Mazza R., Pensare e lavorare in Gruppo, Erreci Edizioni, Potenza, 2013 p. 11

91Cesaroni M., Lussu A., Rovai B., Professione Assistente Sociale, Del Cerro, Tirrenia, 2000 92Folgheraiter F., 2002, op. cit.

lavoro in gruppo all’interno dei territori contrastano la settorializzazione e permettono di attivare risorse formali e informali.

Il lavoro sociale, inquadrato all’interno di una visione semplicistica della realtà sociale, assumeva un atteggiamento individualistico nei confronti della stessa: le persone erano concepite come portatori di problemi in virtù di condizioni sfortunate o d’insuccessi personali e per nulla erano presi in considerazione i fattori esterni alla sfera individuale. Tale impostazione indica una visione assistenzialistica e riparatoria del lavoro sociale, il cui obiettivo non era un percorso d’aiuto all’interno di un progetto d’intervento, ma un’azione tampone o un sollievo momentaneo.

Negli anni '70, l’ottica della divisione del lavoro era presente anche nel lavoro delle èquipe pluriprofessionali (separatezza dei compiti), l’attenzione era posta sull’area comune delle professionalità per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi, con la conseguente riduzione degli aspetti specifici. In questi anni c’è stata una ricerca d’identità. Per vari motivi intervenuti (organizzazione dei servizi, istituzione degli ordini professionali, elaborazione dei codici deontologici, nuovi itinerari della formazione di base) le professioni hanno dato spazio alla riflessione sui loro compiti e sulle condizioni per attuarli e, in modo prevalente, lo hanno fatto separatamente per singole professionalità. E’ doveroso ora tentare di trovare gli elementi comuni per una trasformazione positiva dei servizi e delle stesse professioni. L’organizzazione deve prevedere e promuovere, per tutte le professioni sociali che lavorano mediante relazioni interpersonali, lo spazio di libertà, di creatività e di ricerca personale93. E’ necessario

perciò andare oltre alla visione individuale del lavoro sociale e acquisire un’ottica in cui assume notevole rilevanza sia il lavoro sulla famiglia sia quello di rete “ma soprattutto

attiva una rete di pensieri che coinvolgono i vari servizi...”94.

L’integrazione nella nostra tradizione è intesa come apporto di competenze professionali per una progettualità condivisa, in un’ottica di globalità, indirizzata ai problemi delle persone che si realizza attraverso la capacità di prendere in esame unitariamente le questioni metodologiche, relazionali, etiche, organizzative ed economiche. Tutti fattori diversi, in apparenza eterogenei, ma che insieme possono assicurare maggiore efficacia e qualità del lavoro di aiuto: “non può esserci globalità, umanizzazione dei servizi, aiuto

93Bianchi E., “Introduzione”, in Dimoede Canevini M, Vecchiato T. (a cura di), L’integrazione delle professionalità nei servizi alle persone, Fondazione Zancan, Padova, 2002

reciproco senza una profonda condivisione di responsabilità tra operatori, persone, famiglie”95.

La frammentazione, in particolare nei servizi sociali e sociosanitari, è causa di non appropriatezza e crea squilibrio nella misura in cui ostacola il lavoro dei diversi attori coinvolti nel direzionarsi verso il raggiungimento di un obiettivo comune, in quanto facilita chi dispone di maggior risorse relazionali e conoscitive e riesce meglio a districarsi nella confusa rete dei servizi: le persone devono confrontarsi con un insieme complesso di servizi eterogenei (spesso scarsamente collegati tra loro) senza disporre di adeguati strumenti conoscitivi arrivando così al paradosso che diventino i case manager delle situazioni problematiche di cui sono protagoniste.

Dunque, come precedentemente accennato, l'integrazione è sempre più necessaria, quanto più aumentano le situazioni di complessità: i problemi che arrivano al servizio sono spesso di natura composita, che vengono scomposti per esigenze di comprensione, in base a diverse matrici scientifiche e di organizzazione, e la difficoltà di standardizzarli sollecita la necessità di interagire. Chi opera nel campo sociale, socio- assistenziale e socio-sanitario è dentro la complessità e con questa deve lavorare: pertanto vanno rilevate le responsabilità istituzionali e organizzative necessarie per rendere fruttuose le collaborazioni ponendo molta attenzione anche alla dimensione interpersonale.

Come afferma Benson96 (1988), gli effetti di una politica pubblica o di un programma

d’intervento di rete sono legati ai vincoli politici e dalle risorse a disposizione, ma anche ai modi di realizzazione da parte dei servizi e/o organizzazioni coinvolte e dal tipo di relazioni (reciproche, intense, collaborative, o conflittuali) che tra essi intercorrono. Le influenze reciproche, che all’interno della rete possono essere caratterizzate sia da atteggiamenti cooperativi sia da forti ostilità, sono una dimensione che concerne la realtà dei gruppi di lavoro e che diventano dis-funzionali se tali espressioni non sono previste e gestiti in maniera efficace.

La metodologia del lavoro in rete, molto spesso, rappresenta una vera e propria sfida per gli operatori, in particolare nei casi in cui le situazioni che afferiscono ai Servizi siano costituite da famiglie multiproblematiche97.

95Benvegnù Pasini G., “Presentazione”, in Canevini M. D., Vecchiato T., 2002, p. 8 op. cit. 96Folgheraiter F., 2002, op. cit.

97Definizione questa, da riportare fondamentalmente all’universo sistemico-relazionale, denota tutte quelle famiglie e situazioni “seguite contemporaneamente da più Servizi e con almeno il 50% dei membri che presenta patologie o difficoltà nell’area psichiatrica, educativa, socio-legale, coniugale, problemi di alcolismo o tossicodipendenza. Non necessariamente appartengono alla fascia di basso status socio-

“La rete -come la definisce Ferrario F. (1992)- è una metafora che esprime un concetto

intuitivo e multidimensionale sia nel linguaggio comune sia nel campo dell’intervento sociale. Parliamo di reti per riferirci a sistemi di circolazione, di comunicazione, di connessione di natura diversa”98. Folgheraiter sostiene che, nelle situazioni

caratterizzate da alta complessità, la metodologia operativa basata sul lavoro di rete non è solo applicare una metodologia professionale ma “è soprattutto una mentalità …” la cui caratteristica dominante è: “… essere una prospettiva di pensiero integrata, che è in

grado di generare, o incardinare al suo interno, teorie, modelli, tecniche di lavoro di tipo pluridimensionale […] esso porta a superare molte antinomie concettuali che da sempre hanno lacerato – teoricamente e organizzativamente – il social work (pubblico/privato, formale/informale, risorse tecniche/risorse umane, servizi specializzati/servizi despecializzati, operatori professionali/operatori volontari, operatori/utenti)”99.

In ambito psicologico sociale, il termine rete, oltre a descrivere l’insieme di rapporti tra persone, rappresenta i rapporti che esistono tra organizzazioni e sistemi sociali del territorio e, in questo caso, fa riferimento a modalità operative di lavoro sul territorio che configurano un’organizzazione a rete. Lo sviluppo delle politiche sociali, avviate negli anni Settanta con principi guida quali la desegregazione e la deistituzionalizzazione, ha messo sotto accusa la risposta unica, specifica e disumanizzata. L’esito di questa evoluzione è stato quello di differenziare e arricchire la capacità di cogliere e di rispondere alle necessità della popolazione, creando, parallelamente, sovrapposizioni di competenze e/o parcellizzazioni della richiesta dell’utente.

Nel lavoro di rete si riscontrano anche alcuni importanti elementi di connessione con l’ottica sistemica, co-costruttiva ed evolutiva.

Ai servizi appare riconducibile innanzitutto l’ottica sistemica: “attualmente, infatti, alle

istituzioni è chiesto di superare l’erogazione di prestazioni pensate in una logica autoreferenziale, in favore di risposte flessibili che tengano conto dell’interdipendenza dei sistemi dei servizi; […] la logica di rete richiede un cambiamento sostanziale nelle prassi operative, nei risultati dei processi di produzione nonché nella cultura economico […]. Il loro stile relazionale è caratterizzato da una fortissima carenza simbolica che le conduce ad agiti continui. Problematiche e agiti che si trasmettono da una generazione all’altra” Cabassi A., Zini M. T., L’assistente sociale e lo psicologo: un modello di lavoro integrato, Carrocci Faber, Roma, 2005, p. 33

98Francescato D., Tomai M., 2005, p. 45 op. cit 99Folgheraiter., 2002, pp. 43-44 op. cit

organizzativa e nella concezione e distribuzione del potere”100. Ciò, sempre nella visione

sistemica, sembra essere l’unica possibilità per rendere maggiormente efficaci gli interventi sull'individuo. Inoltre, pur con funzioni e ruoli diversi, nell’impostazione co- costruttiva, operatori e utenti sono coinvolti per la realizzazione del progetto d’intervento, l’identificazione degli obiettivi (a breve, medio e lungo termine) e nelle eventuali ridefinizioni in itinere del progetto stesso. Infine, l’ottica evolutiva è rintracciabile sia rispetto al lavoro con l’utenza, finalizzato allo sviluppo e all’emergere delle competenze all’interno della stessa, sia rispetto agli operatori che, nel lavoro di rete, possono trovare un’occasione per sviluppare e potenziare alcune abilità personali come il saper comunicare efficacemente, il pensiero critico e creativo, la capacità di risolvere problemi e la capacità di prendere delle decisioni.

Ci sono, inoltre, alcuni importanti elementi che influenzano l’efficacia del lavoro di rete, prima di tutto “il clima in cui si svolge l’attività lavorativa - Del Rio G (1990) -

cioè la qualità dei rapporti all’interno dei gruppi di lavoro”. E’ stato indicato, infatti,

come “la possibilità di incontrarsi e di confrontarsi sia condizione utile per evitare

situazioni di tensione”101 e Cherniss (1983) sottolinea come “il rapporto con i colleghi

permetta di discutere, di ricevere informazioni, di ricevere feedback, di percepire l’unità e la solidarietà del gruppo nel caso di conflitti e, infine, è occasione di reciproca stimolazione a operare meglio”102. Infine, s’ipotizza che, in situazioni in cui sono

esaurite le proprie risorse individuali, l’altro possa costituire un’importante risorsa e che, quindi, il lavoro di rete possa avere una rilevante funzione nella prevenzione del burn-out: “Il lavoro in èquipe è quindi lo strumento essenziale (ed il metodo più

efficace) per favorire il raggiungimento degli obiettivi professionali e per tutelare l'operatore dal rischio incombente della depressione, o del burn out professionale, tipico di chi è costretto a lavorare da solo...”103.

Bisogna, comunque, tener conto di come l’organizzazione aiuta il processo d’integrazione. Infatti, all’interno di questa, sono presenti condizioni stressanti oggettive relative alla struttura delle relazioni: in ogni ambiente di lavoro esiste un’interazione sociale spontanea, che può diminuire o accentuare le difficoltà di 100Ivi, pp. 46-47

101Baiocco R., Crea G., Laghi F., Provenzano L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto: la sindrome del burnout negli operatori, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickon, Trento, 2004, p. 53

102Ibidem

103Mazza R., “L'èquipe come risorsa nel lavoro dell'assistente sociale”, in Rassegna di Sevizio Sociale, XXXVI, 4/1997, p.37

comunicazione fra i ruoli delle persone. Quando il lavoratore percepisce che, all’interno del gruppo, ci sono divergenze interpersonali o quando s’instaurano conflitti di ambiguità e di ruolo tra colleghi, in una struttura lavorativa troppo rigida che limita le possibilità d’interazione spontanea, si può arrivare ad una situazione di stress e di disadattamento104. Maslach C. e Leiter P.105 pongono l’accento sul carattere pervasivo

del fenomeno burn-out in quanto, una volta sviluppatosi, è altamente trasmissibile tra le persone dello staff e ripristinare le condizioni di benessere lavorativo diventa molto difficile. La formazione, intesa come momento in cui si cerca di migliorare la professionalità, affinando le capacità relazionali fornendo strumenti per migliorare la comunicazione all’interno dell’èquipe di lavoro, può prevenire tale fenomeno.

E’ utile sottolineare il valore aggiunto del lavoro di rete, particolarmente in alcune situazioni bloccate, in cui la perdita di flessibilità pregiudica, inevitabilmente, la creatività che genera cambiamento. Lucarelli G., definisce la creatività come la “capacità di rompere gli schemi di pensiero ordinari e generare una molteplicità di idee

e punti di vista innovativi e realizzabili, di lasciare percorsi mentali noti e comprovati per avventurarsi in territori incerti e inesplorati, l’abilità di percepire, cogliere e pensare oltre…”106, il confronto con gli altri è una indispensabile opportunità per far

emergere o potenziare tali abilità e proprio “il ricorso al gruppo è particolarmente

efficace per analizzare, in modo creativo, problemi complessi o per approfondire, completare e perfezionare idee innovative. La pluralità di prospettive e punti di vista rappresenta una delle risorse più preziose e permette al gruppo di moltiplicare le energie e i risultati”107.

Occuparsi della rete e dell’integrazione dal basso (intorno al caso), costruirla e mantenerla viva permette di fronteggiare e di percorrere i diversi livelli di complessità istituzionale e di mettere a frutto le risorse e le competenze degli operatori dei servizi. Non si fa riferimento al lavoro di rete solo come a un gigantesco collegamento tra enti e strutture di un territorio, realizzato tramite accordi di programma o protocolli d’intesa, che favoriscono la costituzione e il funzionamento di èquipe multidisciplinari e interistituzionali integrate, in rete tra loro, ma a gruppi di lavoro (professionisti diversi 104Avallone F., Psicologia del lavoro, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994

105Maslach C., Leiter P., Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro, Feltrinelli, Milano, 2000

106Lucarelli G., Il gruppo al lavoro. Strategie e consigli per migliorare la performance e la creatività del vostro gruppo, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 78

nella stessa èquipe, professionisti diversi di diversi servizi, stessi professionisti di diversi servizi) che si costituiscono e si integrano sui bisogni, per prendersi cura e per affrontare la complessità. La scelta di lavorare in rete è quindi un cambiamento di prospettiva, sia a livello istituzionale, di pianificazione e organizzazione dei servizi, sia a livello operativo, nella gestione pratica del singolo caso diviso tra più servizi. Curare cioè le relazioni tra servizi come modo ottimale di curare le relazioni tra utenti è una strada per promuovere l’azione dei diretti interessati nel fronteggiare le difficoltà di vita: “curare le relazioni che curano”108 ai diversi livelli tra operatori e utenti, tra operatori

fra loro, e prima ancora tra chi pianifica i servizi. E’ un modo diverso di fare le cose, non è una cosa da fare in più, non è una moltiplicazione di prestazioni e compiti di ciascuno, è una pianificazione funzionale e coordinata delle azioni, nel processo di aiuto, tra i vari servizi che permette la ricostruzione integrata della famiglia nella sua complessità, che cura la frammentazione delle azioni dei singoli e la dispersione di energie in direzioni non concordate. Occorre, pertanto, imparare a vedere ogni operatore come portatore di competenze personali, professionali del servizio/ente per cui opera, come risorsa diversa dentro una rete di relazioni che permetta la connessione di pensieri sparsi, di servizi di culture diverse e di operatori con varie competenze.

La costruzione di buone relazioni fra operatori e servizi permettono infine di costruire un contesto di contenimento e di senso del processo di aiuto in grado di favorire la ricostruzione di legami e di relazioni sociali nella persona e nella famiglia.

Nell’ottica dell’empowerment indicata da Folgheraiter F. (2006), i professionisti si mettono in ascolto e al servizio del punto di vista dell’utente, della sua capacità di far fronte a situazioni difficili, riuscendo a tirar fuori risorse mentali ed emotive nascoste e impensate (coping) e di azione residua, le supportano e non le sostituiscono con l’azione professionale. Questo si attua, ove possibile, attraverso l’accoglienza, nelle decisioni della rete, dei diretti interessati e, in tutti i casi, attraverso una contrattualità chiara ed esplicita. Anche dove c’è una funzione di controllo, la logica non è mai punitiva. L’obiettivo è sempre quello, anche in questi casi, di facilitare la consapevolezza e la funzione normativa degli adulti di riferimento, evitando in questo modo posizioni di onnipotenza salvifica o d’impotenza vittimistica. Ciò comporta il passaggio da una visione e da una modalità di lavoro medico positivistico, in cui i servizi sono organizzati partendo dalla convinzione che l’assistenza o la terapia sia un prodotto erogabile e il professionista esperto studia i modi più ingegnosi di cura da somministrare all’utente 108Folgheraiter F., 2006 op. cit.

che passivamente la riceve, ad un modello e a servizi relazionali (o di rete), come li definisce Folgheraiter F., che descrive il processo di aiuto “come un incerto ma

fiducioso iter di ricerca, condivisa tra tutti i potenziali interessati alla soluzione del problema […] sono incoraggiati a uscire in parte dalla rigida polarizzazione dei loro ruoli per divenire agenti tendenzialmente alla pari nella ricerca del benessere cui sono cointeressati”109. Si tratta di uscire dal sapere costituito e dalle pratiche consolidate, ma

non sempre aggiornate all’attuale complessità, e, attraverso lo strumento della rete, diviene possibile generare soluzioni inedite e creative per fronteggiare le nuove sfide poste dalla multiproblematicità e dalla crisi in atto. “ Il fronteggiamento di problemi di

vita è una profonda e articolata dinamica relazionale. La sofferenza e i disagi si spandono lungo le relazioni sociali e dalle relazioni sociali prendono corpo le azioni di rilevazione di questo disagio e di approntamento dei contrasti via via più organizzati e intenzionali”.110

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